La ricettazione ed il principio di correlazione fra l'accusa contestata e la sentenza alla luce della giurisprudenza della Corte Edu

Roberto Carrelli Palombi
11 Gennaio 2016

Si è posto, frequentemente, il problema della diversa definizione giuridica di fatti contestati come furto e qualificati dal giudice come ricettazione o viceversa di contestazioni di ricettazioni derubricate in furti.
Abstract

Si è posto, frequentemente, il problema della diversa definizione giuridica di fatti contestati come furto e qualificati dal giudice come ricettazione o viceversa di contestazioni di ricettazioni derubricate in furti. Tradizionalmente si è voluto attribuire al principio stabilito dall'art. 521 c.p.p. un significato sostanziale e non formale, attribuendosi al giudice di merito il compito di stabilire se l'imputato aveva avuto la concreta possibilità di difendersi adeguatamente rispetto alla diversa definizione giuridica del fatto che gli era stato contestato. In questo contesto si è inserita la giurisprudenza della Corte Edu in tema di giusto processo e di violazione del principio del contraddittorio

I rapporti fra il delitto di furto e quello di ricettazione

I rapporti fra la ricettazione ed il delitto di furto, che rappresenta l'ipotesi più ricorrente di delitto presupposto, interessano particolarmente con riferimento alla problematica relativa alla qualificazione giuridica del fatto ed al conseguente rispetto del principio della correlazione fra l'accusa contestata e la sentenza di cui all'art. 521 c.p.p.

Relativamente al primo profilo la Cassazione ha avuto modo di precisare che il semplice possesso della refurtiva può ritenersi idoneo a provare che il detentore sia autore della sottrazione, qualora concorrano altri elementi fra cui quello temporale, atti ad escludere la provenienza del possesso da altra fonte (Cass. pen.,Sez. V, 20 gennaio 2010, n. 19453). Nel caso di specie si era ritenuta immune da censure una decisione nell'ambito della quale era stata riconosciuta la responsabilità dell'imputato a titolo di furto e non di ricettazione, considerato il limitato lasso di tempo, poco più di un'ora, intercorso fra la scoperta del furto e l'avvistamento dell'imputato nell'atto di entrare in un magazzino per sistemarvi all'interno la merce sottratta poco prima; tali circostanze di tempo e di luogo rendevano, secondo la decisione dei giudici di merito, considerata corretta dalla Corte di legittimità, inattendibile l'ipotesi che i beni fossero stati sottratti da altri e poi ceduti all'imputato in un brevissimo lasso temporale. E nella stessa direzione ma pervenendo alla soluzione opposta, si è ritenuto che debba rispondere di ricettazione l'imputato che, trovato nella disponibilità della refurtiva, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell'origine del possesso (Cass. pen.,Sez. II, 22 ottobre 2013, n. 5522). Deve, a questo riguardo, essere evidenziato che nel caso di specie la Cassazione aveva ritenuto immune da censure la valutazione operata dal giudice di merito in ordine alla qualificazione giuridica del fatto: segnatamente si era affermato che all'elemento della contiguità temporale fra la sottrazione e l'utilizzazione delle cose sottratte era stato, ragionevolmente, contrapposto da parte del giudice di merito, con valutazione ritenuta incensurabile dalla Corte di legittimità, l'assenza di indicazioni sul punto da parte dell'imputato. E su quest'ultimo specifico punto la Cassazione, nella decisione sopra citata, aveva avuto modo di precisare che, con un tale argomentare da parte del giudice di merito, non viene richiesto all'imputato di provare la provenienza delle cose, ma soltanto di fornire un'attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo, in questo modo, non ad un onere probatorio, ma ad un onere di allegazione di elementi che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice e che comunque potrebbero essere valutati dal giudice di merito nell'ambito del canone del libero convincimento.

La qualificazione giuridica del fatto con riguardo alla possibilità per il giudice di merito di qualificare il furto come ricettazione

Passando all'altro aspetto della problematica può farsi il caso che nel decreto di citazione sia contestato il delitto di furto o eventualmente anche quello di rapina e, all'esito del dibattimento, il giudice, fermo restando il fatto materiale, ritenga sussistente la diversa ipotesi di reato della ricettazione. Si è ritenuto, al riguardo, che non risulti violato, in una tale evenienza, il principio di correlazione fra l'accusa contestata e la sentenza, in quanto il contenuto essenziale della ricettazione deve considerarsi compreso nella più ampia previsione dell'originaria contestazione di furto o di rapina. Questa era la posizione espressa dalla Corte di Cassazione con alcune datate, ma costanti decisioni (Cass. pen., Sez. II, 21 marzo 1988, n. 12215; Cass. pen., Sez. II, 17 dicembre 2003, n. 857). Oggi il principio non pare più consolidato come allora, avendo la Corte di legittimità riconosciuto, sia pure nella particolare fattispecie processuale del giudizio abbreviato, una violazione del principio del giusto processo, sotto il profilo del diritto alla difesa e del contraddittorio, nell'ipotesi della riqualificazione dell'originaria imputazione di furto in quella di ricettazione, se essa, in concreto, per l'imputato non sia stata prevedibile (Cass. pen., Sez. II, 12 dicembre 2012, n. 1625). Nel caso concreto oggetto della citata decisione la Cassazione rifacendosi alla decisione della Corte Edu Drassic c. Italia, di cui nel seguito si dirà, ha affermato il seguente principio di diritto Deve ritenersi violato il principio del giusto processo, sotto il profilo del diritto alla difesa e del contraddittorio, ove, all'esito del giudizio abbreviato incondizionato, l'originaria imputazione di furto venga riqualificata in ricettazione se, in concreto, per l'imputato non fosse sufficientemente prevedibile che l'accusa inizialmente formulata nei suoi confronti potesse essere riqualificata e, quindi, non sia stato messo in concreto nella possibilità di difendersi. Le genetiche affermazioni dell'imputato riportate nella comunicazione di notizia di reato redatta dalla Polizia Giudiziaria, non possono – nel giudizio abbreviato incondizionato – essere valorizzate ai danni dell'imputato in relazione al diverso e più grave reato di ricettazione, ove, sulle medesime, non sia stata attivata alcuna forma di contraddittorio.

La cosiddetta derubricazione della ricettazione in furto

L'ipotesi, senz'altro più ricorrente nella pratica è quella inversa, in cui ad una contestazione di ricettazione segua una condanna per furto. Ed anche in questa ipotesi si è ritenuta possibile la derubricazione sulla base di un inquadramento del principio della correlazione fra accusa contestata e sentenza sotto un aspetto finalistico; infatti il suddetto principio deve essere inteso, non in senso meccanicistico e formale, ma in funzione della finalità cui è ispirato, che è quella della tutela del diritto di difesa; non può trattarsi, quindi, di un mero confronto letterale fra l'imputazione contestata e la figura di reato ritenuta in sentenza ma deve essere valutata la reale possibilità per l'imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto.

E di certo non può verificarsi alcun pregiudizio per i diritti della difesa, laddove la diversa qualificazione del fatto scaturisca dall'accoglimento di un'interpretazione delle risultanze processuali più favorevole all'imputato e dallo stesso prospettata nel corso del suo esame. Con riferimento ad una tale fattispecie la Cassazione anche recentemente ha escluso una violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza qualora l'imputato, tratto in giudizio per rispondere del reato di ricettazione, sia stato condannato per il reato di furto dello stesso bene, non sussistendo, in tal caso, alcuna sostanziale immutazione de fatto in ordine al quale l'imputato era stato chiamato a difendersi (Cass. pen., Sez. V, 13 dicembre 2007, n. 3161; Cass. pen., Sez. V, 21 novembre 2013, n. 674).

La problematica della qualificazione giuridica del fatto alla luce dei principi affermati dalla Corte Edu

L'impostazione ora riportata merita di essere rivalutata alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza sovranazionale in tema di giusto processo; segnatamente con la sentenza 11 dicembre 2007 Drassic c. Italia, la Corte Edu ha affermato la regola di sistema secondo cui la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all'imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officioe la Cassazione ha ritenuto che detto principio è conforme a quanto stabilito dall'art. 111, comma 2, Cost., in quanto la garanzia del contraddittorio investe, non soltanto la formazione della prova, ma anche ogni questione che attiene alla valutazione giuridica del fatto commesso (Cass. pen., Sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807). A ciò consegue, secondo il ragionamento seguito dalla Cassazione, che al giudice è imposta un'interpretazione dell'art. 521 c.p.p. conforme ai principi sopra riportati.

Ma è bene ribadire l'argomentare del giudice sovranazionale, in quanto la decisione ora citata è destinata ad incidere ulteriormente sulla giurisprudenza della nostra Corte di cassazione. Segnatamente in primo luogo la Corte di Strasburgo ha precisato che l'atto d'accusa svolge un ruolo fondamentale nel procedimento penale, perché l'art. 6, par.3 della Cedu riconosce all'imputato il diritto di essere informato non solo del motivo dell'accusa, ossia dei fatti materiali che gli vengono attribuiti e sui quali si basa l'accusa ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti (Pelissier e Sassi e. Francia GC, n. 25444/94, 51, CEDU 1999- 11). Ora si è affermato che la portata di questa disposizione deve essere valutata in particolare alla luce del più generale diritto a un processo equo sancito dal paragrafo 1 dell'art. 6 della Convenzione. In questa direzione, affermano i giudici di Strasburgo, una informazione precisa e completa delle accuse a carico di un imputato e dunque la qualificazione giuridica che la giurisdizione potrebbe considerare nei suoi confronti sono una condizione fondamentale dell'equità del processo, non essendo imposta al riguardo alcuna forma particolare. Da ciò consegue che, se i giudici di merito dispongono della possibilità di riqualificare i fatti per i quali sono stati regolarmente aditi, essi devono assicurarsi che gli imputati abbiano avuto l'opportunità di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva. Ciò implica che essi vengano informati in tempo utile non solo del motivo dell'accusa, cioè dei fatti materiali che vengono loro attribuiti e sui quali si fonda l'accusa ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti. In particolare, la Corte Edu, nella citata sentenza, ha precisato che, al fine di verificare se vi sia stata o meno violazione della Convenzione, il giudice deve procedere ad un triplice accertamento: a) deve, innanzitutto, verificare, in concreto se fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l'accusa inizialmente formulata nei suoi confronti fosse riqualificata; b) deve accertare la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti; c) deve verificare quali siano state le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente.

Alla luce di tali affermazioni la giurisprudenza della Corte di cassazione ha concentrato la sua attenzione sulla possibilità riconosciuta dal sistema processuale italiano all'imputato di potere interloquire e difendersi in merito ad una diversa definizione giuridica del fatto che gli era stato originariamente contestato. E così si è affermato che la garanzia del contraddittorio in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto deve ritenersi assicurata anche quando venga operata dal giudice di primo grado nella sentenza pronunciata all'esito del giudizio abbreviato, in quanto, con i motivi di appello, l'imputato è posto nelle condizioni di interloquire sulla stessa, richiedendo una sua rivalutazione e l'acquisizione di integrazioni probatorie utili a smentirne il fondamento (Cass. pen., Sez. VI, 14 febbraio 2012, n. 10093; Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2013, n. 37413); e più in generale si è affermato che la garanzia del contraddittorio in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto deve ritenersi assicurata quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire sul tema in una delle fasi del procedimento, qualunque sia la modalità con cui il contraddittorio è stato preservato (Cass. pen., Sez. II, 12 luglio 2013, n. 44615).

In conclusione

La giurisprudenza nazionale si sta progressivamente adeguando ai principi affermati dalla Corte Edu in tema di giusto processo e violazione del principio del contraddittorio. Segnatamente all'imputato deve essere riconosciuta la possibilità di difendersi adeguatamente anche in ordine alla definizione giuridica del fatto che gli è stato contestato e ciò po' avvenire in qualsiasi fase del procedimento e quindi anche attraverso il sistema delle impugnazioni. Ma perché sussista una violazione del principio del contraddittorio è necessario che, attraverso la modifica dell'accusa originaria, vi sia stato un concreto pregiudizio per la possibilità dell'imputato di difendersi, pregiudizio che non sussiste ove nella contestazione siano contenuti gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizione di difendersi dal fatto accertato in sentenza, inteso come accadimento storico oggetto di definizione giuridica da parte del giudice.

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