Prelievi biologici coattivi per accertare l'omicidio e le lesioni stradali: un'arma spuntata?

11 Maggio 2016

La legge 23 marzo 2016, n. 41, nell'introdurre i delitti di omicidio e lesioni personali stradali, ha predisposto anche uno strumentario procedurale volto a rendere più efficace l'accertamento dello stato di alterazione del conducente, consentendo di superare l'eventuale diniego di collaborazione da parte prelievi forzosi del materiale biologico.
Abstract

La legge 23 marzo 2016, n. 41, nell'introdurre i delitti di omicidio e lesioni personali stradali, ha predisposto anche uno strumentario procedurale volto a rendere più efficace l'accertamento dello stato di alterazione del conducente, consentendo di superare l'eventuale diniego di collaborazione da parte prelievi forzosi del materiale biologico. Tuttavia, estromettendo la matrice ematica dal materiale biologico prelevabile, il nuovo strumento investigativo rischia di rilevarsi poco utile. Aggrava la situazione un difetto di coordinamento sistematico che rende difficile all'interprete la ricostruzione dell'apparato sanzionatorio che correda il nuovo strumento di indagine.

I nuovi delitti di omicidio e lesioni personali stradali

Dopo un lungo iter, scandito da cinque passaggi parlamentari e due voti di fiducia, è stata approvata la legge 23 marzo 2016, n. 41 che introduce nell'ordinamento i delitti di omicidio stradale e lesioni personali stradali, unitamente a modifiche di coordinamento del codice penale, del codice di procedura penale, del codice della strada e del decreto istitutivo della competenza penale del giudice di pace.

Il provvedimento, figlio di una legislazione emotiva e propagandistica, incapace di predisporre adeguati strumenti di prevenzione, intende contrastare il fenomeno della criminalità stradale attraverso una progressione punitiva che parte dai delitti base di omicidio o lesioni con violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale, si snoda attraverso fattispecie di gravità intermedia (omicidio o lesioni commesse da conducenti non professionali in stato di ebbrezza “media” oppure attraverso il compimento di una delle manovre di guida pericolose tassativamente indicate dal legislatore), fino a raggiungere vette sanzionatorie da capogiro per le fattispecie più gravi (omicidio o lesioni commessi da conducenti non professionali in stato di ebbrezza “grave” o in stato alterazione psico-fisica dovuta all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope oppure da conducenti professionali in stato di ebbrezza “media”).

Sgombrando il campo dai numerosi dibattiti che si sono svolti sulla materia, i reati di cui stiamo parlando vengono configurati esclusivamente sotto il profilo della colpa. In particolare, del criterio minore di imputazione soggettiva vengono tipizzati gradi crescenti di intensità, corrispondenti a specifiche violazioni delle norme di comportamento previste dal codice della strada, che si traducono in un lungo elenco di ipotesi circostanziali che sottraggono spazio applicativo alla fattispecie base, ove la morte o la malattia sono la conseguenza della generica violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

Dal punto di vista topografico, i nuovi delitti di omicidio e lesioni stradali sono stati scorporati dagli articoli che disciplinano l'omicidio colposo e le lesioni personali colpose e collocati in autonome norme, gli artt. 589-bis e 590-bis c.p.

Nucleo centrale dell'omicidio e delle lesioni stradali, nelle loro declinazioni più gravi, è lo stato di stupefazione o di ebbrezza alcolica in cui si deve trovare il conducente di un veicolo a motore nel momento in cui, per colpa, cagiona la morte o una malattia ad una persona.

Si ritiene che l'accertamento dei reati in esame richieda non soltanto la prova dello stato di alterazione psico-fisica del conducente al momento del sinistro ma anche che l'inosservanza della regola di condotta sia conseguenza della predetta alterazione dovuta all'ingestione di alcool o all'assunzione di stupefacenti, di talché il reato rimane escluso non solo se si accerta (o se rimane il ragionevole dubbio) che l'evento si sarebbe verificato anche in caso di osservanza della regola cautelare (diversa da quella che impone l'astensione dalla guida dopo l'assunzione di alcool o droga) violata (si pensi, ad esempio, ad un sinistro stradale addebitabile unicamente alla condotta della vittima) ma anche se si accerta (o se rimane il ragionevole dubbio) che la violazione della regola cautelare che ha portato alla causazione dell'evento letale si sarebbe verificata anche se il soggetto fosse stato in condizioni psico-fisiche normali (in tal caso il soggetto risponderà delle meno gravi fattispecie previste dal primo comma degli artt. 589-bis e 590-bis c.p., se ricorre una violazione di norme cautelari contenute nel codice strada, o delle fattispecie di cui agli artt. 589, comma 1, e 590, comma 1, c.p., se ricorre solo un profilo di colpa generica).

È di tutta evidenza, quindi, l'importanza, investigativa prima e processuale poi, dell'accertamento dell'assunzione di alcool o droga da parte del conducente e del consequenziale stato di alterazione psico-fisica al momento del sinistro.

La scelta della matrice biologica per l'accertamento dello stato di ebbrezza o di stupefazione

L'attendibilità del risultato investigativo non dipende soltanto dalla tipologia di strumentazione adottata per l'accertamento ma anche dalla scelta di una matrice adatta a poter essere utilizzata nell'accertamento dell'attualità d'uso.

Per quanto riguarda l'alcool, l'utilizzo di sistemi omologati atti a misurare la concentrazione di etanolo nell'aria espirata (etilometri) sono considerati dalla legislazione comunque attendibili, in quanto il valore espresso è rapportato alla concentrazione ematica tramite un fattore di calcolo.

Tuttavia, nei casi in cui tale misurazione non sia disponibile (es. soggetto che si rifiuta o non è in grado di eseguire il test), le uniche matrici idonee per poter valutare uno stato di alterazione psicofisica sono necessariamente costituite dal sangue ed eventualmente dal fluido del cavo orale (saliva).

Tuttavia, per quanto riguarda l'utilizzo della saliva, sebbene questa sia una matrice prelevabile con facilità e soprattutto in maniera non invasiva, nello specifico caso dell'alcool non risulta particolarmente attendibile, in quanto risente considerevolmente di assunzioni di poco antecedenti il prelievo, perciò nel caso di un suo utilizzo ai fini di accertamenti speditivi sarà sempre necessario far seguire un'analisi di verifica su un campione ematico.

Per quanto riguarda, invece, le sostanze stupefacenti o psicotrope, la scelta della matrice non può prescindere dal tipo di informazione che si vuole ottenere dall'accertamento. Infatti, in linea generale, si può effettuare diagnosi di uso recente, di uso abituale o, come nel caso specifico degli accertamenti inerenti il codice della strada, di attualità d'uso. In relazione, quindi, alla finalità dell'analisi si dovrà necessariamente scegliere la matrice in grado fornire quel determinato tipo di informazione.

Per quanto riguarda, in particolare, la diagnosi di attualità d'uso, l'urina risulta essere una matrice inidonea perché, in considerazione dei lunghi tempi di permanenza delle sostanze in questa matrice, non potrà mai essere in grado di indicare se il soggetto, al momento del prelievo, fosse sotto influenza di una determinata sostanza.

Altrettanto inidonea a diagnosticare l'attualità d'uso è la matrice cheratinica, abitualmente capello o materiale pilifero (sia esso pubico, ascellare o toracico o prelevato dagli arti). In questo caso può essere valutata soltanto l'abitudine all'uso di determinate sostanze e cioè se il soggetto le assume in maniera più o meno frequente.

Questa tipologia di analisi sfrutta il fatto che le sostanze – per diffusione dalla circolazione sanguigna, dalle ghiandole sudoripare e dalle ghiandole sebacee, sebbene possa esserci anche un contributo dalla contaminazione ambientale – vengono incorporate all'interno della struttura cheratinica dove permangono per un tempo pressoché indefinito, a meno che non intervengano fattori esterni, come ad esempio trattamenti con sostanze o procedimenti in grado di alterarne la struttura o di degradare le sostanze (ad esempio, alcuni trattamenti cosmetici o l'utilizzo di piastre riscaldanti).

In funzione di questa caratteristica il tempo di rilevamento delle sostanze nei capelli è correlato alla lunghezza degli stessi: come ormai ampiamente riportato dalla letteratura internazionale, la ricrescita media del capello in un soggetto adulto è di circa un centimetro al mese (valore medio estrapolato a partire da un numero statisticamente rilevante di soggetti di entrambi i sessi), per cui, in funzione dei centimetri di capello a disposizione, sarà possibile indagare periodi più o meno lunghi. Inoltre, questa caratteristica rende attuabile anche una ricerca mirata ad un determinato periodo o intervallo di tempo (analisi segmentale).

Una valutazione diversa relativamente al periodo indagabile deve essere fatta nel caso si utilizzi il materiale pilifero, il quale, non presentando una ricrescita omogenea e “standardizzata” come il capello, permette di indagare un arco di tempo che orientativamente copre gli ultimi 8-9 mesi antecedenti il prelievo, pur potendo arrivare in alcuni casi anche ad un anno. In questo caso, proprio per la ricrescita disomogenea nel tempo, non sarà possibile poter fare l'analisi su determinati segmenti ma il campione dovrà essere analizzato nel suo insieme, dando quindi una visione generale di quanto è stato assunto durante tutto il periodo.

Per quanto riguarda l'accertamento atto a valutare l'attualità d'uso e quindi destinato a determinare se il soggetto, al momento del prelievo o nell'arco di tempo di poco antecedente, si trovava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e/o psicotrope, l'unica matrice attendibile risulta essere il sangue, perché la sostanza attiva, per poter espletare la propria azione, deve trovarsi nel circolo sanguigno, tramite il quale potrà raggiungere gli organi bersaglio ed i siti d'azione.

Va detto che il codice della strada consente di eseguire accertamenti sia su campioni di mucosa del cavo orale che su campioni di fluido del cavo orale. Infatti, data la buona relazione che vi è tra la concentrazione ematica e quella salivare delle sostanze, il fluido orale viene considerato una matrice alternativa al sangue per poter valutare l'attualità d'uso, prevedendo peraltro una procedura di raccolta non invasiva.

La saliva, però, presenta diverse problematiche di cui bisogna tenere conto in quanto potrebbero determinare un'errata valutazione finale. Non esistono al momento procedure standardizzate da poter adottare ed il prelievo può avvenire o mediante l'utilizzo di appositi tamponi orali ovvero raccogliendo direttamente il fluido all'interno di un contenitore ma in entrambi i casi la raccolta deve avvenire senza che vi sia stata stimolazione salivare (ad esempio, mediante l'utilizzo di acido citrico) e, nonostante le minime quantità che si è in grado di ottenere, sarà necessario provvedere alla raccolta di un'aliquota da destinarsi a controcampione. Tale seconda raccolta potrà essere omessa solo nel caso in cui si sia provveduto contestualmente al prelievo di un campione ematico. Inoltre, la raccolta mediante l'utilizzo del tampone può interferire con la determinazione di alcune sostanze, come ad esempio il D9-tetraidrocannabinolo, in quanto questo ha la tendenza a rimanere legato al supporto nel momento in cui esso viene premuto per poter recuperare il fluido, comportando quindi una sottostima della reale concentrazione salivare.

Un'altra problematica non trascurabile che si ha utilizzando la saliva è quella relativa al rischio di contaminazione, soprattutto se il prelievo viene eseguito subito dopo un'assunzione per via inalatoria, endonasale o, ancor più, per via orale. In questo caso la concentrazione salivare non potrà certo essere assimilata a quella ematica, essendo la prima più elevata, per cui l'accertamento deve necessariamente essere fatto utilizzando un campione di sangue.

Da ultimo si ricorda, inoltre, che il passaggio delle sostanze nella saliva è influenzato anche dal pH della stessa, per cui sostanze in grado di alterarlo comportano una variazione della concentrazione salivare.

l prelievo coattivo di campioni biologici

Il prelievo di materiale biologico effettuato in assenza di consenso è inutilizzabile ex art. 191 c.p.p. per violazione dell'art. 13 Cost., che tutela l'inviolabilità della persona. Infatti, il prelievo effettuato al solo fine di accertare il reato va considerato una forma di restrizione della libertà personale, come tale da sottoporre alle previsioni di cui all'art. 13 Cost., come chiarito dalla Corte costituzionale (sent. n. 238/1996) nella declaratoria di illegittimità dell'art. 224, comma 2, c.p.p., che concedeva al giudice la facoltà di disporre, nell'ambito di operazioni peritali, misure incidenti sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi.

Per colmare il vuoto normativa censurato dalla Consulta, la l. 30 giugno 2009, n. 85, di ratifica ed attuazione del Trattato di Prüm, ha introdotto l'art. 224-bis c.p.p., che, nell'ambito della perizia, consente al giudice, in mancanza di consenso della persona interessata, di disporre, anche d'ufficio, con ordinanza motivata, l'esecuzione coattiva di prelievi di campioni biologici (capelli, peli o mucosa del cavo orale) e accertamenti medici, qualora sia indispensabile per la prova dei fatti.

Nel corso delle indagini preliminari, l'art. 359-bis c.p.p., anch'esso introdotto dalla legge del 2009, consente l'esecuzione coattiva dei prelievi biologici e degli accertamenti medici anche al pubblico ministero, previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, o, nei casi d'urgenza, da parte del pubblico ministero con provvedimento soggetto a convalida del giudice.

La suddetta disciplina era circoscritta ai procedimenti aventi ad oggetto delitti non colposi, consumati o tentati, punito con l'ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a tre anni. L'omicidio e le lesioni colpose commesse durante la circolazione stradale erano quindi estromesse dall'area operativa delle disposizioni in esame, di talché il loro accertamento era spesso condizionato dalla collaborazione dell'indagato, il cui consenso al prelievo diveniva requisito di utilizzabilità processuale dell'accertamento.

Per superare tali limitazioni investigative, la l. 41/2016 è intervenuta sul primo comma dell'art. 224-bis c.p.p., estendendo l'operatività della norma anche ai delitti di cui agli articoli 589-bis e 590-bis del codice penale.

Tuttavia, deve osservarsi che i tempi di svolgimento della perizia, anche se disposta in incidente probatorio (l'art. 392, comma 2, c.p.p. richiama l'art. 224-bis c.p.p.), non sono compatibili con l'urgenza imposta dall'accertamento dello stato di ebbrezza o di stupefazione, la cui fruttuosità è legata ai brevi tempi di metabolizzazione dell'alcool e della droga.

Ben più utile potrebbe essere, invece, l'inclusione dei delitti di omicidio e lesioni personali stradali nell'area applicativa dell'art. 359-bis c.p.p. (che richiama l'art. 224-bis c.p.p.), che attribuisce all'iniziativa del pubblico ministero il prelievo coattivo.

In particolare, per consentire un intervento ancor più rapido ed efficace degli organi investigativi, la riforma è intervenuta anche sulla predetta norma, aggiungendovi un nuovo comma 3-bis, che ripropone, per il prelievo biologico coattivo, lo schema procedurale del prelievo a fini di identificazione di cui all'art. 349, comma 2-bis, c.p.p.

La nuova disposizione prevede, infatti, che, nei casi di urgenza (ossia se vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini), qualora si proceda per i delitti di omicidio o lesioni personali stradali e il conducente rifiuti di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica ovvero di alterazione correlata all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, l'autorizzazione del pubblico ministero all'esecuzione coatta dei prelievi e degli accertamenti può essere data anche oralmente e successivamente confermata per iscritto.

La ratio di tale opzione legislativa risiede nella necessità di preservare l'utilità pratica degli accertamenti in parola, destinata inevitabilmente a scemare con il passare del tempo.

Tuttavia, occorre rilevare che i prelievi consentiti riguardano esclusivamente capelli, peli e mucosa del cavo orale. Si tratta di una elencazione da ritenere tassativa perché altrimenti si avrebbe un vulnus sul piano della riserva di legge prevista dall'art. 13, comma 2, Cost. Ne consegue che non è possibile imporre coattivamente il prelievo ematico, pur essendo il sangue la matrice biologica più affidabile per accertare l'assunzione di alcool o di droga e l'attualità d'uso della sostanza stupefacente.

Residua la possibilità di acquisire coattivamente un campione di mucosa orale ma per questa tipologia di rilievi, come visto sopra, la letteratura scientifica evidenzia numerose problematiche di natura tecnico-analitica, tra cui l'assenza di procedure standardizzate di prelievo e la possibilità di contaminazione orale a seguito dell'assunzione endonasale e/o inalatoria di una sostanza, con conseguente aumento della concentrazione salivare della stessa, indipendentemente dalla concentrazione ematica.

Per quanto riguarda, invece, la matrice cheratinica, abitualmente capello o materiale pilifero (sia esso pubico, ascellare o toracico o prelevato dagli arti), l'informazione ottenibile non è utile ai fini degli accertamenti previsti dall'art. 187 cod. strada perché riguarda unicamente l'abitudine all'uso di determinate sostanze e cioè se il soggetto le assume in maniera più o meno frequente, mentre nulla è possibile stabilire in merito alla correlazione con lo stato psico-fisico del soggetto al momento del prelievo.

Dal punto di vista operativo, gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono all'accompagnamento dell'interessato presso il più vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento e procedono all'esecuzione coattiva delle operazioni (sempre nel rispetto della dignità e del pudore dell'indagato), se la persona rifiuta di sottoporvisi (con esclusione, però, delle operazioni vietate dalla legge o che possono mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica e la saluta della persona o che possono provocarle sofferenze non lievi).

Del decreto e delle operazioni da compiersi è data tempestivamente notizia al difensore nominato dall'interessato (o, in mancanza, a quello designato d'ufficio), che ha facoltà di assistervi, senza che ciò possa comportare pregiudizio nel compimento delle operazioni. Il rinvio all'art. 365 c.p.p. conferma la natura di atti irripetibili ex lege del prelievo e degli accertamenti in parola.

Entro le successive quarantotto ore, il pubblico ministero deve richiedere la convalida del decreto autorizzativo e degli eventuali ulteriori provvedimenti al Giudice per le indagini preliminari, che provvede al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone immediato avviso al pubblico ministero e al difensore.

I dubbi sulle sanzioni processuali

Occorre segnalare che la disposizione in esame è stata inserita dopo il comma 3 dell'art. 359-bis c.p.p., che prevede la nullità delle operazioni e l'inutilizzabilità delle informazioni così ottenute qualora il provvedimento del pubblico ministero che autorizza il prelievo coatto non contenga tutte le indicazioni previste dall'art. 224-bis, comma 2, c.p.p., oppure il prelievo venga eseguito in violazione di espressi divieti di legge o in modo tale da mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o in modo tale da procurale sofferenze di non lieve entità o senza rispettare la dignità o il pudore di chi vi è sottoposto e senza privilegiare le tecniche meno invasive, oppure, ancora, qualora l'interessato venga trattenuto oltre il tempo necessario al compimento dell'atto.

Per un evidente difetto di coordinamento, il nuovo comma 3-bis non richiama le suddette sanzioni, di talché si pone il problema delle conseguenze derivanti dalla violazione degli artt. 132, comma 2, e 224-bis, commi 2, 4 e 5, c.p.p.

Il quadro che si delinea appare irrazionale, dato che la violazione delle suddette disposizioni dovrebbe generare effetti patologici quando il prelievo coatto è eseguito dagli organi di polizia su autorizzazione scritta del pubblico ministero, mentre dovrebbe rimanere priva di conseguenze in caso di autorizzazione resa oralmente dal magistrato inquirente e successivamente confermata per iscritto.

Per dare coerenza al sistema – scartata l'ipotesi di una estensione analogica delle sanzioni previste dal comma terzo, interdetta dal principio di tassatività che governa la materia – potrebbe sostenersi l'inutilizzabilità processuale delle prove assunte in violazione delle suddette disposizioni, in quanto ottenute mediante indebite interferenze o violazioni di specifici diritti tutelati dalla Costituzione.

Nonostante il silenzio della norma, deve ritenersi che l'inutilizzabilità colpisca anche i risultati del prelievo eseguito coattivamente d'urgenza qualora decorrano invano i termini della procedura di convalida.

Infine, deve ritenersi che costituisca causa di nullità dell'accertamento l'assenza del difensore in occasione delle attività di prelievo, in quanto non avvertito oppure non atteso quando l'atto avrebbe potuto essere rinviato per consentire il suo arrivo senza alcuna compromissione degli esiti dell'attività investigativa (art. 178, lett. c) , c.p.p.).

In conclusione

Con la disposizione in esame, il legislatore ha perso l'occasione per colmare il vuoto in materia di accertamenti ematici coattivi aperto dalla Consulta nel 1996. Il risultato, più propagandistico che realmente operativo, è stato quello di fornire agli investigatori un'arma spuntata, che non consente di attingere coattivamente la matrice biologica elettiva per l'accertamento dell'attualità d'uso della sostanza alterante.

Di fronte al rifiuto del conducente, potranno prelevarsi capelli, peli e mucosa del cavo orale, ottenendo così dati dal significato investigativo non univoco. Essi, al più, potranno essere correlarti agli esiti di una visita medica e agli indici sintomatici eventualmente colti dal personale di Polizia giudiziaria intervenuto a rilevare il sinistro. Resta, tuttavia, il concreto rischio che la condanna per i nuovi reati – puniti con pene draconiane – passi attraverso accertamenti di dubbia attendibilità o, peggio, si eriga su tacite presunzioni di alterazione.

Guida all'approfondimento

TRINCI, L'omicidio stradale e le lesioni personali stradali (post L. n. 41/2016), in Balzani-Trinci (a cura di), I reati in materia di circolazione stradale, Padova, in corso di pubblicazione;

CHERICONI - GIUSANI - STEFANELLI, Alcool e guida in stato di ebbrezza, in Balzani-Trinci (a cura di), I reati in materia di circolazione stradale, Padova, in corso di pubblicazione;

CHERICONI - GIUSANI - STEFANELLI, Sostanze stupefacenti o psicotrope e guida in stato di alterazione psico-fisica, in Balzani-Trinci (a cura di), I reati in materia di circolazione stradale, Padova, in corso di pubblicazione.

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