Riflessioni sulla liberazione anticipata speciale

11 Luglio 2016

La liberazione anticipata speciale, entrata in vigore con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modifiche, in l. 21 febbraio 2014, n. 10, pur applicata solo per il periodo dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2015, merita alcune riflessioni di carattere generale anche rispetto alle pronunce della suprema Corte di cassazione. La giurisprudenza, da ultimo con la sentenza n. 11148/2016, ha, infatti, avuto il compito di fare chiarezza sulle modalità di applicazione dell'istituto, delineandone i limiti.
Abstract

La liberazione anticipata speciale, entrata in vigore con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modifiche, in l. 21 febbraio 2014, n. 10, pur applicata solo per il periodo dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2015, merita alcune riflessioni di carattere generale anche rispetto alle pronunce della suprema Corte di cassazione.

La giurisprudenza, da ultimo con la sentenza n. 11148/2016, ha, infatti, avuto il compito di fare chiarezza sulle modalità di applicazione dell'istituto, delineandone i limiti.

Le parole sono importanti e, in campo giuridico, dovrebbero esserlo ancora di più. Troppo spesso il Legislatore usa termini imprecisi, facilmente confondibili, che disorientano coloro che devono applicare le norme. L'aver intitolato l'articolo 4 del d.l. 146/2013 Liberazione anticipata speciale ed aver ancorato la stessa, nel corpo della norma, alla Liberazione anticipata prevista dall'articolo 54 dell'ordinamento penitenziario, ha naturalmente creato delle affinità tra i due istituti. Affinità che, secondo la suprema Corte di cassazione, sono solo relative ad alcuni punti.

Per affrontare l'argomento in maniera organica, occorre ricordare il testo del comma 1, dell'art. 54 ord. pen.: Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata: a tal fine è valutato anche il periodo in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare e fare le prime considerazioni.

L'opera di rieducazione – indicata dal Legislatore del 1975 – dopo oltre 40 anni, vede coinvolti pochissimi detenuti, certamente meno della metà di quelli presenti negli istituti di pena. Quanto al periodo scontato agli arresti domiciliari, tale lasso di tempo ignora del tutto l'attività trattamentale, in quanto l'individuo è abbandonato a se stesso. Di fatto, dunque, lo sconto di pena spetta a coloro che subiscono la detenzione senza creare problemi, senza avere rapporti disciplinari, in pratica uniformandosi totalmente, nel bene e nel male, a quanto viene loro ordinato.

In questa ormai cristallizzata ed abnorme situazione, si è venuta ad inserire la liberazione anticipata speciale, portando da quarantacinque a settantacinque giorni la detrazione, per ogni singolo semestre di pena scontata, ad esclusione dei condannati per i delitti previsti dall'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario e dei condannati ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare. Il nuovo istituto, retroattivo dal 1° gennaio 2010, fa anch'esso riferimento all'opera di rieducazione, in quanto solo coloro che, nel corso dell'esecuzione della pena, successivamente alla concessione del beneficio abbiano dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, hanno diritto allo sconto.

Il Legislatore del 2013, dunque, non prende atto della realtà delle carceri e ripropone, come condizione necessaria per accedere al maggiore sconto di pena la prestazione, impossibile, di partecipazione a quello che non esiste.

La liberazione anticipata speciale, oltre alle ragioni esplicite per cui è stata introdotta, ha indubbiamente anche lo scopo di rendere ancora più appetibile, per la persona detenuta, la sottomissione a qualsiasi imposizione, come quella ad esempio di vivere in una cella umida, senza un bagno decente, in promiscuità con altre persone, privi di condizioni igieniche minime, come più volte – ancora oggi – l'Osservatorio Carcere dell'Unione Camere Penali Italiane è costretta a constatare nel corso delle sue visite, documentate dai raccapriccianti video girati negli istituti e visibili sul sito camerepenali.it.

L'assenza di verità della norma contribuisce ad allontanare ancora di più l'opinione pubblica dalle problematiche relative alla detenzione, nella convinzione – giusta – che tanto, pur se la condanna è severa, mai viene scontata tutta e presto si ritorna in libertà. Quanti, con esclusione degli addetti ai lavori, sanno che gli sconti di pena dovrebbero invece corrispondere ad un percorso risocializzante intrapreso e valutato? Invero pochissimi.

Si dovrebbe avere il coraggio di ammettere che l'articolo 54 dell'ordinamento penitenziario è una norma tradita, come altre in materia di esecuzione penale.

Preso atto di tale situazione, nel 2013, alcuna nuova legge doveva far riferimento ad essa, perché non si è fatto altro che ribadire un principio inapplicato.

Gli sconti di pena necessari – perché imposti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo – avrebbero dovuto trovare spazio in atti di clemenza, che uno Stato inadempiente e impreparato, avrebbe dovuto emanare nei confronti di tutti i detenuti, per ovvie ragioni di parità di trattamento.

È più corretto continuare nella finzione di un'opera di rieducazione o ricorrere a sconti di pena generalizzati dovuti ad un'emergenza di cui certamente le persone detenute non hanno alcuna colpa, subendone le conseguenze quotidianamente?

È, quindi, su una realtà virtuale che, dall'entrata in vigore dell'istituto della liberazione anticipata speciale, si discute in dottrina e giurisprudenza. E noi faremo la nostra parte.

L'orientamento della suprema Corte

La sentenza n. 11148/2016 della I Sezione penale della Corte di cassazione, ha rigettato il ricorso proposto avverso l'ordinanza emessa dal tribunale di sorveglianza di Roma che aveva respinto, a sua volta, il reclamo di un detenuto avverso l'ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza, che aveva riconosciuto il beneficio della liberazione anticipata per soli quarantacinque giorni, ritenendo inapplicabile quella speciale, in quanto il condannato era stato ammesso alla liberazione condizionale.

La sentenza fa seguito ad altre pronunce conformi, aventi ad oggetto lo stesso argomento, del quale più volte la suprema Corte è stata investita, in quanto l'esecuzione della pena detentiva in regime di liberazione condizionale non è espressamente inserita tra le cause d'inapplicabilità della liberazione anticipata speciale. Laddove, invece, espresso riferimento viene fatto ai condannati ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare che non possono usufruire del beneficio.

La Corte evidenzia, innanzitutto, che il novello istituto ha la finalità di contribuire alla soluzione dell'annoso problema del sovraffollamento carcerario. Sottolinea che, non a caso, esso viene inserito nel contesto di norme urgenti in tema di diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. Provvedimenti emessi dopo la pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo nel noto caso Torreggiani c/Italia dell'8 gennaio 2013, che aveva imposto all'Italia l'adozione di misure volte alla riduzione del numero delle persone detenute.

Ad avviso dei giudici della Cassazione, il profilo sistematico conferma la specialità del nuovo regime premiale, che il Legislatore ha inserito, non nel già esistente articolo 54 dell'ordinamento penitenziario che disciplina la liberazione anticipata ordinaria ma in una norma espressamente dedicata, ad evidenziarne la natura di rimedio eccezionale e temporalmente delimitato nella sua applicazione in favore di detenuti, per il solo periodo di due anni dalla vigenza del provvedimento legislativo che lo ha disposto e di quanti abbiano già usufruito della liberazione anticipata nel periodo decorso dal 1° gennaio 2010.

L'istituto – ad avviso della Corte – è caratterizzato essenzialmente dall'assolvimento di funzioni deflattive e risarcitorie, pur con riferimento al perseguimento di finalità rieducative, quali quelle previste dall'art. 54 dell'ordinamento penitenziario. A tale conclusione si giunge nella relazione alla legge di conversione del d.l. 146/2013 A.C. n. 1921, che riporta l'indicazione che la liberazione anticipata speciale si atteggia a rimedio compensativo, secondo le indicazioni della Corte europea di Strasburgo in conseguenza della situazione di sovraffollamento carcerario e, più in generale, del trattamento inumano e degradante che, per carenze strutturali, i detenuti possono essersi trovati a subire. Si tratta, pertanto, di una misura la cui adozione è indispensabile ai fini dell'adeguamento alle indicazioni della sentenza pilota Torreggiani c. Italia. Ed è questa la ragione che ha indotto ad individuare il termine di efficacia nel 1° gennaio 2010 (data in cui si è determinata la situazione di emergenza detentiva) e spiega perché sia stata esclusa, con previsione difforme rispetto a quella che regola la liberazione anticipata ordinaria, l'applicazione dell'istituto ai condannati affidati in prova ed in regime domiciliare.

La conseguenza è che il beneficio – eccezionale e temporaneo – è riservato esclusivamente ai soli detenuti in carcere e, pertanto, conclude la suprema Corte, l'omessa inclusione della liberazione condizionale, come posizione giuridica a cui non spetta la liberazione anticipata speciale, non è frutto di una lacuna o di un'omissione del Legislatore ma la naturale conseguenza dello spirito della norma.

Nell'affrontare l'esclusione dal beneficio dei condannati per i reati indicati nell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, la sentenza fa riferimento alla libertà del Legislatore di determinare le linee di politica criminale ritenute più consone al bisogno e, nel caso di specie, ha ritenuto di bilanciare gli interventi correttivi, componendo la presenza nelle carceri e i diritti fondamentali dei detenuti. Si è inteso escludere dal beneficio i soggetti più pericolosi, senza, tuttavia, precludere loro in assoluto la fruibilità della liberazione anticipata ordinaria ed ostacolarne in tal modo il percorso riabilitativo.

In merito all'eccezione d'incostituzionalità della norma, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, la suprema Corte ha ritenuto che non vi è alcun contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, né con la funzione rieducativa della pena. La disposizione, in realtà, estende, con alcune eccezioni, i vantaggi conseguenti ad un beneficio penitenziario ordinario, già previsto e reso accessibile a tutti i condannati. La non applicabilità – contrariamente al beneficio ordinario – ai detenuti che hanno scontato la pena in ambiente esterno al carcere, non sarebbe né ingiustificato, né discriminatorio e non violerebbe il principio di uguaglianza, dal momento che non è equiparabile la condizione di chi abbia trascorso anni in carcere in una situazione emergenziale di sovraffollamento e quella di chi abbia goduto della libertà, sia pure con la soggezione ad alcune limitazioni.

Una decisione conforme alla legge ma che non convince

Nel riportarci a quanto indicato in premessa ed in particolare all'opera di rieducazione a cui si fa riferimento nella norma, che riguarda pochissimi detenuti (circostanza questa che rende qualsiasi commento, sulla liberazione anticipata ordinaria e speciale, privo di efficacia giuridica in senso logico e concreto), esaminiamo la sentenza della suprema Corte. La realtà purtroppo è questa e di questo si deve discutere.
Nel provvedimento si afferma che il nuovo istituto speciale non viene inserito nella norma che disciplina quello già vigente ordinario ma in un diverso contesto di misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. La suprema Corte vuole, nel sottolineare il profilo sistematico della norma, evidenziarne la natura eccezionale e provvisoria e prendere le distanze dalla liberazione anticipata ordinaria, per giustificare l'applicabilità con limitazioni soggettive ed oggettive di quella speciale.
Viene evidenziato poi che la liberazione anticipata speciale ha natura riparatoria, deflattiva e riabilitativa. Riparatoria, in quanto concede un maggior sconto di pena a fronte di una detenzione non conforme a quanto previsto dalla legge. Deflattiva, perché consente di diminuire il sovraffollamento. Riabilitativa, per la imposta condizione di dover partecipare all'opera di rieducazione.
Ma questi tre elementi sono gli stessi che giustificano lo sconto di pena della liberazione anticipata ordinaria. I primi due – riparatorio e deflattivo – non sono esplicitamente indicati nell'art. 54 dell'ordinamento penitenziario ma sono quelli reali, per cui il beneficio è ancora in vigore, in mancanza del terzo – riabilitativo – che pur riportato nella norma, non trova applicazione.
Se, dunque, è vero che il nuovo beneficio speciale non è stato inserito nell'art. 54 dell'ordinamento penitenziario che disciplina quello ordinario, è altrettanto vero che non solo ha lo stesso nome ma, circostanza ancora più rilevante, la stessa identica natura. Unica differenza il maggior sconto di pena.
Non si comprende, allora, perché, in una situazione di emergenza, in cui il nostro Paese deve ottemperare a quanto indicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, il beneficio debba avere dei filtri, sconosciuti a quello ordinario.
La sentenza, sul punto, fa riferimento alla libertà del Legislatore di determinare le linee di politica criminale che ritiene adatte al momento storico. Tale affermazione non ci trova d'accordo, in quanto, con tale ragionamento, si potrebbe giustificare qualsiasi scellerata scelta, mentre compito della magistratura è verificare la conformità delle norme al sistema e ai principi costituzionali.
La liberazione anticipata speciale, così come disciplinata e calata nella situazione delle nostre carceri è speciale perché, dettata dall'emergenza, copre un arco di tempo limitato che, secondo il Legislatore, corrisponde al periodo di sofferenza degli istituti di pena, a causa del sovraffollamento. Non può essere speciale perché destinata solo ad alcuni e non a tutti coloro che stanno scontando una pena. Ed è bene evidenziare che gli arresti domiciliari, le misure alternative (oggi di comunità, ma sarebbe stato meglio rinominarle pene di comunità, per una definitiva chiarezza), sono comunque limitative della libertà e come tali sono delle pene. La stessa liberazione condizionale – oggetto della sentenza della Cassazione – concede al beneficiario uno stato non equiparabile all'uomo del tutto libero e, pertanto, anch'essa va considerata pena.
L'orientamento della suprema Corte, pertanto, è strettamente legato al dettato normativo e, come tale privo, di un'analisi d'insieme che avrebbe dovuto condurre, quanto meno, a ritenere non manifestamente infondata la questione d'incostituzionalità dell'art. 4 del d.l. 146/2013, con riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.
Troppo spesso, e purtroppo anche in giurisprudenza, si ritiene che la funzione rieducativa prevista dall'art. 27 della Costituzione, riguardi solo la detenzione in carcere, mentre sono le pene (e non la pena) che devono tendere alla rieducazione del condannato. Una riduzione di pena non può escludere chi sta scontando la condanna con misure diverse dal carcere, per evidenti ragioni di uguaglianza e non solo. La disparità di trattamento, infatti, penalizzerebbe proprio coloro che, usufruendo di limitazioni della libertà diverse dal carcere, sarebbero probabilmente più meritevoli.

In conclusione

In assenza di un'effettiva opera di rieducazione che riguardi tutti i detenuti, ben avrebbe fatto il Legislatore – costretto ad intervenire dopo la sentenza Torreggiani c. Italia dell' 8 gennaio 2013 – a non fare alcun riferimento alla liberazione anticipata ma a concedere uno riduzione a tutti coloro che scontano una pena (intesa nel senso proprio, come limitazione della libertà). Avrebbe, tra l'altro, anche evitato di aggravare la situazione in cui si trovano la maggior parte degli uffici e dei tribunali di sorveglianza, già in sofferenza ed oggi al limite (se non oltre) del collasso, per le innumerevoli istanze su cui provvedere.

Un'ultima riflessione sulle ragioni per cui il senso della pena non trova spazio nel nostro Paese. Manca una corretta impostazione culturale. Il regolamento penitenziario del 1931, d'ispirazione esclusivamente punitiva, pur abolito, vige ancora nel pensiero di molti e fra questi anche nella mente di chi legifera, sempre alla ricerca di un facile consenso popolare.
Oggi gli Stati Generali dell'Esecuzione Penale rappresentano un importante punto di partenza per iniziare, finalmente , un percorso che avvicini la detenzione ai principi costituzionali. La strada è ancora lunga, ma, per gli uomini di diritto, è l'unica percorribile.

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