La Corte costituzionale salva l'applicazione retroattiva della confisca per equivalente ex art. 187-sexies Tuf
12 Aprile 2017
La Corte costituzionale (sentenza n. 68 depositata il 7 aprile 2017) ha chiarito che l'art. 7 Cedu secondo l'interpretazione della Corte europea – che assegna la natura di pena a qualsiasi sanzione, a prescindere dall'”etichetta” data dal Legislatore, avente una connotazione prevalentemente afflittiva – riconosce il fenomeno della successione di leggi penali nel tempo e lo risolve nel senso della necessaria applicazione della lex mitior, per cui, al fine del rispetto delle garanzie accordate dalla Cedu, il passaggio dal reato all'illecito amministrativo, quando quest'ultimo conserva natura penale ai sensi dell'art. 7 Cedu, permette l'applicazione retroattiva del nuovo regime punitivo soltanto se è più mite di quello precedente. In tal caso, e solo in tal caso, nell'applicazione di una pena sopravvenuta ma in concreto più favorevole non si annida alcuna violazione del divieto di retroattività ma, al contrario, una scelta in favore per il reo. Per tali ragioni, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale (sei riunite per identità delle questioni) sollevate dalla Sezione II civile della Corte di cassazione degli articoli 187-sexies Tuf e 9, comma 6, legge 62/2005 con riferimento agli articoli 3, 25, comma 2, e 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 7 Cedu. L'art. 187-sexies Tuf prevede che, in caso di condanna per un illecito amministrativo previsto dalla Parte V, Titolo I-bis del medesimo testo di legge, qualora non sia possibile confiscare il prodotto o il profitto dell'illecito e i beni utilizzati per commetterlo, sia disposta la confisca di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. L'art. 9, comma 6 l. 62/2005 precisa che tale regime si applica anche alle violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore di tale legge, con cui sono state depenalizzate alcune figure di reato e sono stati introdotti corrispondenti illeciti amministrativi, salvo che il relativo procedimento penale non sia già stato definito. Secondo il giudice a quo, avendo la confisca prevista all'art. 187-sexies contenuto sostanzialmente afflittivo, applicandosi a beni del tutto privi di collegamento con l'illecito, la sua applicazione retroattiva – sancita dall'art. 9, comma 6 – viola il divieto di retroattività della norma penale. I giudici delle leggi, non nutrendo alcun dubbio sul fatto che la confisca per equivalente, pur prevista dalla legge come conseguente a un illecito amministrativo, debba considerarsi una pena e ,quindi, soggetta alle garanzie prescritte dall'art. 7 Cedu, affermano che sia erroneo ritenere in ogni caso costituzionalmente vietato applicare retroattivamente la confisca per equivalente. Nel caso specifico, infatti, il Legislatore non ha privato il fatto di antigiuridicità e ha continuato a riprovarlo per mezzo della sanzione amministrativa, considerando quest'ultimo trattamento, in sé più favorevole, della precedente pena, benché connotata dalla confisca di valore. La Corte costituzionale conclude ,dunque, riconoscendo, in capo al giudice rimettente, una valutazione parziale della vicenda: egli ha omesso di tenere conto del fatto che la natura penale, ai sensi dell'art. 7 Cedu, del nuovo regime punitivo previsto per l'illecito amministrativo comporta un inquadramento della fattispecie nell'ambito della successione delle leggi nel tempo e demanda al rimettente il compito di verificare, in concreto, se il sopraggiunto trattamento sanzionatorio, assunto nel suo complesso e, dunque, comprensivo della confisca per equivalente, si renda - in quanto di maggior favore- applicabile al fatto pregresso, ovvero se esso, in concreto, denunci un carattere maggiormente afflittivo.Soltanto in quest'ultimo caso, la cui verifica, l'accertamento e l'obbligo di (adeguata) motivazione spetta al giudice a quo, potrebbe venire in considerazione un dubbio sulla legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 6, l. 62 del 2005, nella parte in cui tale disposizione prescrive l'applicazione della confisca di valore e assoggetta pertanto il reo a una sanzione penale, ai sensi dell'art. 7 Cedu, in concreto più gravosa di quella che sarebbe applicabile in base alla legge vigente all'epoca della commissione del fatto. |