Astensione del difensore e obbligo del giudice al rinvio dell'udienza

Piero Indinnimeo
Naike Petrosino
12 Maggio 2016

Il giudice è tenuto a disporre il rinvio dell'udienza in caso di astensione del difensore ritualmente comunicata? Le Sezioni unite hanno affermato che "In relazione alle udienze camerali, in cui la partecipazione delle parti non è obbligatoria, il giudice è tenuto a disporre il rinvio della trattazione in presenza di una dichiarazione di astensione del difensore ...

Il giudice è tenuto a disporre il rinvio dell'udienza in caso di astensione del difensore ritualmente comunicata?

Con sentenza del 30 ottobre 2014, n. 15232 (dep. 14 aprile 2015) le Sezioni unite hanno affrontato la succitata questione affermando il seguente principio di diritto: In relazione alle udienze camerali, in cui la partecipazione delle parti non è obbligatoria, il giudice è tenuto a disporre il rinvio della trattazione in presenza di una dichiarazione di astensione del difensore, legittimamente proclamata dagli organismi di categoria ed effettuata o comunicata nelle forme e nei termini previsti dall'art. 3, comma 1, del vigente codice di autoregolamentazione. Purtuttavia, il supremo Collegio ha tenuto a precisare che: nelle udienze penali, a partecipazione del difensore facoltativa, l'astensione del difensore della parte civile o della persona offesa, prevista dall'art. 3, comma 2, del codice di autoregolamentazione degli avvocati pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2008, non implica diritto al rinvio qualora il difensore dell'imputato o dell'indagato non abbia espressamente o implicitamente manifestato analoga dichiarazione di astensione, così mostrando un proprio interesse ad una celere definizione del procedimento.

Posto l'indicato principio di diritto appare necessario chiarire i termini della questione ed i punti fondamentali fissati dalla giurisprudenza di legittimità.

Il rango normativo del codice di autoregolamentazione ed il rapporto con la disciplina codicistica. Per ciò che concerne il valore normativo del codice di autoregolamentazione, approvato il 13 dicembre 2007 da parte della Commissione di garanzia in attuazione all'art. 2-bisdella legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati (comma inserito a seguito dell'intervento legislativo del 2000), la Corte di cassazione, ponendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza dominante a partire dalla sentenza Ucciero (Cass. Sezioni unite 30 maggio 2013, n. 2671, orientamento ribadito altresì con la successiva sentenza Lattanzio, 27 marzo 2014, n. 40187), ha chiarito che si tratta di una speciale fonte normativa alla quale le norme di rango legislativo sulla produzione hanno attribuito la specifica competenza a porre la disciplina secondaria della materia, con la conseguenza che le norme da essa poste sono, a tutti gli effetti, vere e proprie norme di diritto oggettivo. Ne deriva che la loro violazione può essere oggetto di ricorso per Cassazione per violazione di legge, mentre la loro interpretazione deve avvenire secondo i canoni di cui all'art. 12 preleggi.

È dunque del tutto evidente secondo il supremo Collegio il valore erga omnes delle disposizioni contenute nel codice di autoregolamentazione, con il connesso obbligo del giudice di uniformarvisi per cui, essendo stato operato a monte il bilanciamento degli interessi in gioco da parte del legislatore, residua al giudice un mero controllo sulla ritualità dell'astensione, nonché la possibilità di operare un'interpretazione anche in chiave sistematica o adeguatrice delle norme primarie e secondarie. Inoltre, chiarisce il giudice di legittimità, residua un potere di bilanciamento esclusivamente nell'ipotesi in cui emergano lacune normative e ulteriori valori costituzionali non considerati dalla normativa di riferimento. Per quanto riguarda il rapporto tra la disciplina codicistica (artt. 599, 127, 611 c.p.p.) e quella contenuta nel codice di autoregolamentazione, la Corte ha escluso l'esistenza di qualsivoglia antinomia giacché in primo luogo deve riconoscersi la natura speciale e derogatoria delle norme contenute nel codice del 2007(il cui art. 3 non prevede alcuna distinzione tra le udienze a partecipazione necessaria e quelle a partecipazione facoltativa), in secondo luogo, è del tutto fisiologica la virtuale sovrapponibilità tra le norme generali e quelle speciali precisando però che, per procedere ad una disapplicazione della disciplina contenuta nel codice di autoregolamentazione, occorre accertare che la norma generale di procedura sia deputata espressamente ed in maniera inequivoca, a disciplinare proprio quegli aspetti, ovverossia: Deve cioè risultare in modo inequivoco che il legislatore ordinario abbia voluto sottrarre quello specifico rapporto dell'astensione forense alla disciplina speciale, per assoggettarlo a quella generale della norma di rito.

L'astensione del difensore ed i giudizi camerali. Ancora una volta la suprema Corte fuga qualsiasi dubbio in merito alla natura dell'astensione forense, trattandosi di un vero e proprio diritto, oggetto di copertura costituzionale (art.18 Cost.) che ha valenza pari agli altri diritti costituzionali e fondamentali che vengono in gioco nel procedimento, ma in relazione ai quali il legislatore ha introdotto un autonomo sistema per operare, a monte, il loro bilanciamento. La Corte, inoltre, suggellando un indirizzo interpretativo ormai consolidato a partire dalla sentenza Ucciero, chiarisce che in alcun caso possono essere strumentalmente utilizzate quelle norme che escludono nelle udienze camerali la rilevanza del legittimo impedimento del difensore, trattandosi di situazioni giuridicamente distinte che danno altresì luogo a specifiche conseguenze processuali(nell'ipotesi di astensione dell'avvocato, il corso della prescrizione resta sospeso per l'intero periodo decorrente tra le due udienze, ai sensi dell'art. 159, comma 1, n. 3, e non trova applicazione il limite di sessanta giorni dell'effetto sospensivo che il medesimo n. 3 dell'art. 159 c.p. riserva alle ipotesi di rinvio per ragioni di impedimento). Purtuttavia, la stessa Corte ha poi precisato che, mediante un interpretazione adeguatrice delle norme codicistiche (artt.420-ter, 420-bis c.p.p. e art. 23 disp. att. c.p.p.) e di quelle contenute nel codice di autoregolamentazione, al precipuo fine di operare un concreto bilanciamento di interessi, bisogna escludere la possibilità di ottenere il rinvio dell'udienza a partecipazione facoltativa, ove tale istanza sia presentata, seppur ritualmente, dal solo difensore della parte offesa/parte civile ed il difensore dell'imputato/indagato abbia mostrato direttamente o indirettamente la volontà di una celere definizione del procedimento, sebbene l'art. 3, comma 2, del codice di autoregolamentazione non distingua quanto al diritto di astensione tra la posizione delle parti processuali.

Nuove tecnologie e processo penale: la trasmissione dell'istanza di astensione via telefax. Di rilievo è certamente la sentenza Lattanzio (cfr. Cass. pen. 27 marzo 2014, n. 40187) soprattutto in relazione all'uso delle nuove tecnologie nel processo penale. In effetti, la Corte mediante un'interpretazione adeguatrice e sistematica scevra di qualsivoglia costrutto formale ed in ossequio al principio della ragionevole durata del processo penale, ha ammesso la possibilità per il difensore di trasmettere via telefax l'istanza di astensione presso la cancelleria del giudice procedente. In effetti lo stesso codice di autoregolamentazione sembra suggerire tale possibilità nella parte in cui prevede che:

Nel processo civile, penale, amministrativo e tributario la mancata comparizione dell'avvocato all'udienza o all'atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorché non obbligatoria, affinché sia considerata in adesione all'astensione regolarmente proclamata ed effettuata ai sensi della presente disciplina, e dunque considerata legittimo impedimento del difensore, deve essere alternativamente:

a) dichiarata personalmente o tramite sostituto del legale titolare della difesa o del mandato all'inizio dell'udienza o dell'atto di indagine preliminare;

b) comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, oltreché agli altri avvocati costituiti, almeno due giorni prima della data stabilita.

Orbene, seppur lo stesso giudice di legittimità evidenzi la presenza di orientamenti contrastanti – con un primo orientamento giurisprudenziale che esclude tale forma di trasmissione alla luce dell'art. 150 c.p.p. che riserva l'uso di tali strumenti ai soli funzionari di cancelleria, ed altra parte della giurisprudenza che segue invece un indirizzo diametralmente opposto che considera affetta da nullità assoluta e rilevabile ex officio, in ogni stato e grado del procedimento, la sentenza che non abbia preso in considerazione l'istanza inviata via fax dal difensore – è da segnalare un orientamento intermedio che reputa pienamente rituale e conforme al dettato normativo l'istanza di rinvio depositata mediante l'uso del fax ma, in caso di mancata deliberazione, l'onere della prova graverà sul difensore, per ciò che concerne la regolarità dell'invio ed il suo tempestivo inoltro presso la cancelleria del giudice, trattandosi quindi di un deposito atipico.

La Corte di cassazione quindi in risposta al quesito in esame perviene alla seguente conclusione: Alla luce della norma speciale attualmente in vigore la dichiarazione del difensore di astensione fatta pervenire a mezzo fax alla cancelleria del giudice procedente, deve ritenersi ricevibile ed ammissibile.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.