Tutela delle indagini e diritto di difesa in sede di riesame

Antonino Leone
13 Giugno 2017

Con sentenza n. 53678 del 10 dicembre 2014, la seconda Sezione penale della Cassazione ha ritenuto legittima l'ordinanza del tribunale del riesame con la quale era stata confermata la originaria misura cautelare personale nonostante, nel corso del procedimento per il riesame, il P.M. avesse modificato il capo d'imputazione sia nella indicazione della condotta, sia per quanto riguarda il tempus commissi delicti. La Suprema Corte, nella sopra citata sentenza, ha ritenuto la legittimità della ...

Con sentenza n. 53678 del 10 dicembre 2014, la seconda Sezione penale della Cassazione ha ritenuto legittima l'ordinanza del tribunale del riesame con la quale era stata confermata la originaria misura cautelare personale nonostante, nel corso del procedimento per il riesame, il P.M. avesse modificato il capo d'imputazione sia nella indicazione della condotta, sia per quanto riguarda il tempus commissi delicti.

La Suprema Corte, nella sopra citata sentenza, ha ritenuto la legittimità della modifica della condotta, trattandosi di «mere precisazioni integrative del capo d'imputazione che non incidono sul diritto di difesa»; ed ancora, «il nucleo centrale dell'azione contestata non è mutato […] per cui, nella specie la modifica è stata ritenuta legittimo adeguamento dinamico dell'imputazione nella fase delle indagini preliminari».

Per quanto, poi, concerne la modifica del tempus commissi delicti ha rimandato alla sentenza n. 35356 del 26 maggio 2010, la quale enuncia dei principi sulla modificabilità del fatto in generale senza aggiungere nulla di specifico in ordine al tempus commissi delicti: «il Pubblico Ministero può, perciò, procedere alle modificazioni fattuali che ritiene necessarie in qualsiasi momento della fase delle indagini preliminari, compresa la camera di consiglio convocata dal Giudice per il riesame delle misure cautelari»; ed ancora: « […] il Tribunale del riesame può legittimamente confermare la misura coercitiva con riferimento alla nuova ipotesi di accusa; il provvedimento cautelare, infatti, ferma la decorrenza dei termini, deve essere via via adeguato, su richiesta del pubblico ministero, in rapporto alle vicende dell'accusa (art. 297, comma 3,c.p.p.), e, se è in corso il procedimento di riesame, questo può ben costituire la sede dell'adeguamento, tenuto anche conto della possibilità, riconosciuta al giudice, di confermare il provvedimento per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione (art. 309, comma 9, c.p.p..

Il principale presupposto normativo su cui si fonda la citata sentenza 53678/2014 é l'art. 292, comma 2, c.p.p.; nel richiamarla i giudici ne evidenziano la differenza rispetto al disposto dell'art. 417, comma 1, lett. b) c.p.p.: la prima norma, relativa alla ordinanza che dispone la misura cautelare, prevede la descrizione sommaria del fatto, mentre la seconda, relativa alla richiesta di rinvio a giudizio, prescrive la enunciazione in forma chiara e precisa del fatto.

Inde: «in tema di misure cautelari, il requisito della 'descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate', può essere soddisfatto con una enunciazione dell'accusa anche riassuntiva, ma che deve presentare “un minimo” di specificità quanto alle concrete modalità di realizzazione della condotta rispetto alla norma violata e al suo tempo di commissione, così da porre l'interessato in condizioni di difendersi ».

Ed ancora, mutuando un principio enunciato dalle Sezioni unite con sentenza n. 16/1996, ha stabilito: «ne consegue che l'indagine non va esaurita nel mero e pedissequo confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza (perché, vertendosi in materia di garanzia e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo – o del procedimento, n.d.r., sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione».

Appare utile una sia pur breve disamina della sentenza 16/1996 delle Sezioni unite penali: i Supremi Giudici si sono pronunziati sulla legittimità dell'ordinanza del tribunale del riesame che, in accoglimento dell'appello del P.M., ha applicato la misura cautelare originariamente rigettata dal Gip, qualificando diversamente il fatto.

Se da un canto si afferma il principio della modificabilità del capo d'imputazione in sede di riesame (financo in sede di appello), dall'altro va considerato che detta modifica attiene alla qualificazione giuridica del fatto intervenuta, all'esito del confronto tra l'accusa e la difesa, sulla base delle risultanze processuali fino a quel momento acquisite.

Prova ne sia che nella citata sentenza le Sezioni unite precisano che a sensi dell'art. 521 c.p.p. la contestazione può ben essere modificata dal giudice, «senza che ciò implichi che il giudice non enunci la imputazione formulata dal P.M.»

«Tutto ciò che si è detto sullo jus dicere, sulla necessità di rispettare il principio di legalità, sulla modificazione della qualificazione giuridica come non modificazione del fatto, sulla modificazione della qualificazione giuridica come non modificazione della imputazione-contestazione e come esercizio di un potere che non tocca l'autonomia dei poteri del P.M., vale anche nei procedimenti de libertate, nella maggior parte dei quali quelli che hanno vita nella fase delle indagini preliminari – il giudice – il Gip, il tribunale in sede di riesame o in sede di appello – non ha, oltre tutto, dinanzi a sé una imputazione formulata dal P.M., ma, una richiesta contenente, spesso, addebiti provvisori, ed anche sommari, richiesta per il cui controllo il P.M. deve trasmettere al giudice, insieme con la stessa, tutti gli elementi sui quali si fonda, dai quali il giudice può legittimamente dedurre che quel fatto, tradotto in una certa fattispecie astratta, corrisponde, in verità, ad un'altra fattispecie astratta, anche se – e questo vale, ovviamente, per tutti i procedimenti de libertate – la correzione della qualificazione giuridica non va oltre il procedimento incidentale de libertate»

Da ultimo: «Ma, l'autonomia del giudice del procedimento che ha ad oggetto le misure, procedimento che, oltre tutto, vede investito del riesame o dell'appello un giudice che nel processo non ha avuto e non ha alcun ruolo, non può non essere autonomia completa che gli consenta, senza che egli tocchi minimamente il fatto, di definirlo, di qualificarlo, a quei fini, in modo diverso da come gli è stato prospettato nella richiesta, anche se con l'accortezza di chi deve prendere atto che del fatto è stato già vagliato anche lo schema legale».

Se da un canto, tuttavia, è fisiologico che il giudice, all'esito del confronto tra le parti possa addivenire ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, cosa ben diversa e, per certi aspetti, almeno all'apparenza, meno ortodossa è che il P.M,. nel corso del procedimento di riesame, proceda ad un adeguamento della contestazione rispetto alla originaria contestazione formulata dal Gip, oggetto di verifica in sede di riesame.

Ciò posto, entrando nello specifico, sovviene il richiamo alla norma di cui all'art. 65 c.p.p. per verificarne se i termini della contestazione secondo il dettato dell'art. 292 c.p.p. siano o meno confliggenti con il diritto dell'indagato.

Nel far ciò si deve pure tenere conto che mentre la norma dell'art 292 c.p.p. ha un contenuto descrittivo, quella di cui all'art 65 c.p.p. ha un carattere prescrittivo, cogente.

Ed è sulla contestazione nei termini previsti dalla norma di cui all'art. 65 c.p.p. che l'indagato si fonda per difendersi; fin dal momento in cui sceglie di avvalersi o meno della facoltà di non rispondere.

È chiaro, pertanto, che deve privilegiarsi il diritto dell'indagato ad una contestazione chiara e precisa.

Ciò non toglie, tuttavia, che la contestazione può sempre essere modificata seppur nei limiti indicati nella sopra citata sentenza 53678/2014.

Detta modifica, tuttavia, non va dilatata oltre misura: va limitata all'adeguamento della contestazione, spesso quale conseguenza degli accertamenti sopravvenuti alla ordinanza di applicazione della misura cautelare.

I limiti a detta modifica, già delineati nella sentenza in oggetto, sono più diffusamente indicati nella sentenza 16/1996 delle Sezioni unite.

Resta pur sempre lo squilibrio in danno della difesa la quale deve contrastare le sopravvenienze processuali nella immediatezza.

Si contrappongono, pertanto, le esigenze dell'accusa nella fase topica delle indagini di adeguare la contestazione alle risultanze processuali che vengono man mano acquisite e quelle della difesa, nel momento cruciale della difesa della libertà, che a dette modifiche di contestazioni deve fare fronte.

Da un canto non si possono limitare od ignorare le risultanze delle indagini sopravvenute all'ordinanza di misura cautelare, dall'altra non si possono vanificare, se non addirittura annullare, le attività difensive.

Un dato certo, comunque, è che l'indagato le proprie memorie difensive le ha già fatte in sede di interrogatorio nel merito; e non sempre dette scelte sono reversibili e/o prive di conseguenze in caso di successivi adeguamenti della contestazione.

L'insanabile contrasto non appare risolvibile, semmai mitigabile attraverso un efficace controllo della effettiva sopravvenienza degli elementi di indagine su cui si fonda la modifica e/o l'adeguamento della contestazione nel corso del procedimento del riesame.

Sarebbe, in ogni caso, auspicabile la modifica dell'art. 309, comma 9-bis,c.p.p., prevedendo la possibilità dell'indagato di richiedere un rinvio dell'udienza non già entro due giorni dall'avviso, come nella attuale formulazione, bensì anche nel corso dell'udienza avanti il T.L., laddove il P.M. dovesse produrre nuovi elementi di indagini o dovesse, comunque, adeguare e/o modificare, nei limiti sopra evidenziati, la contestazione.

D'altronde, in caso di richiesta di modifica dell'imputazione a sensi degli artt. 516 e 517 c.p.p., l'art 519 c.p.p. prevede la sospensione del dibattimento su richiesta dell'imputato, per non dire che l'art 520 c.p.p. impone addirittura la notifica del verbale contenente la modifica della contestazione all'imputato assente

È pur vero che le su richiamate norme attengono ad una fase processuale diversa e, tuttavia, sono sintomatiche della attenzione del Legislatore per i diritti della difesa.

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