Delitto di inquinamento ambientale. Quali oneri per l’impresa?
15 Febbraio 2017
Il Legislatore, con la legge 68/2015 ha introdotto nel codice penale il delitto di inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.), senza prevedere però nuovi precetti o oneri in capo alle imprese. Quali conseguenze se, l'attività "legale" dell'impresa è causa di inquinamento?
Alla luce della struttura del nuovo delitto di inquinamento, che è reato comune ad evento e che sanziona quei comportamenti in grado di determinare l'evento inquinamento, si può ritenere che, almeno sul piano formale, l'introduzione di tale delitto non comporti di per sé un aggravio economico, tecnico e burocratico per le imprese. Infatti, il nuovo delitto (così come gli altri inseriti dalla legge 68/2015) non stabilisce nuovi precetti e obblighi: il Legislatore ha scelto, in ossequio al rapporto di accessorietà della sanzione penale rispetto al diritto amministrativo ambientale, di costruire le ipotesi delittuose secondo lo schema delle norme penali in bianco, qualificando come delitti le condotte di dolosa trasgressione di vincoli normativi già esistenti, spostando l'attenzione dalla violazione formale del precetto alle conseguenze sull'ambiente che la violazione stessa ha determinato. Ciò che, invece, può essere posto in essere nelle realtà imprenditoriali, onde evitare di incorrere nel delitto in esame, è un sistema organizzato di monitoraggio, controllo e reazione a fronte dell'emersione di fatti rilevanti o che possono assumere rilevanza nel prossimo futuro per l'ambiente. Peraltro, preme rilevare che l'evento inquinamento ha caratteristiche tali da rendere difficilmente ipotizzabile che lo stesso possa realizzarsi a fronte di violazioni amministrative meramente formali o di poco rilievo. Si può, quindi, ritenere che le violazioni nella compilazione dei registri di carico e scarico o nella redazione dei formulari possano e debbano restare relegate nell'ambito del diritto amministrativo. Tuttavia, se tali violazioni costituiscono lo strumento attraverso il quale è stato possibile compiere attività illecite, laddove queste attività illecite abbiano determinato l'evento inquinamento ambientale, non c'è ragione per negare alle stesse il carattere di abusività rilevante ai fini della nuova fattispecie di danno. Un'osservazione conclusiva, per quanto scontata possa apparire. La richiesta di abusività dovrebbe comportare l'impossibilità di sanzionare penalmente, ai sensi delle (vecchie e delle) nuove disposizioni, una condotta che, pur collocandosi nell'ambito della legalità, sia stata in grado di causare uno degli eventi previsti dai nuovi reati di danno. La casistica non è ampia ma la prospettiva indicata non ha rilievo soltanto teorico. L'attuale legislazione ambientale e la conforme prassi amministrativa, ammette ancora oggi che alcuni impianti industriali possano immettere nell'ambiente delle sostanze, il cui accumulo negli anni può potenzialmente determinare una compromissione delle matrici naturali, pur rispettando storicamente i limiti di legge (si pensi al problema delle diossine). Il futuro dell'Europa, non prossimo ma neanche lontanissimo, va nella direzione di non rendere più possibili tali attività. Le stesse, tuttavia, sono state lecite per tanti anni e lo sono ancora; molte nuove A.I.A. (autorizzazione integrate ambientali) ammettono che possano essere rilasciate nell'ambiente alcune sostanze, magari con limitazioni quantitative sempre più ampie ma nella consapevolezza che l'ambiente non è in grado di riceverle senza risentire un minimo pregiudizio. |