La pertinenza delle domande nell'esame testimoniale

Marco Galati
16 Giugno 2017

È consentito fare domande ai testi su circostanze non indicate né nella lista testimoniale né nel capo di imputazione anche al fine di sollecitare la modifica della contestazione? In particolare, qualora all'imputato sia contestato il reato di stalking, è consentito alla parte civile fare domande sul presunto danneggiamento di beni in uso alla stessa p.c., trattandosi di ...

È consentito fare domande ai testi su circostanze non indicate né nella lista testimoniale né nel capo di imputazione anche al fine di sollecitare la modifica della contestazione?

In particolare, qualora all'imputato sia contestato il reato di stalking, è consentito alla parte civile fare domande sul presunto danneggiamento di beni in uso alla stessa p.c., trattandosi di circostanza indicata in denuncia benché non contenuta nel capo di imputazione?

Per fornire una risposta esaustiva al quesito in esame occorre anzitutto definire l'oggetto e i limiti della testimonianza. In proposito l'art. 194, comma 1, c.p.p. stabilisce che i testimoni possono essere esaminati sui fatti che costituiscono oggetto di prova. Rientrano in tale nozione i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza, come indicato dall'art. 187 c.p.p.

Merita poi di essere evidenziato che la disposizione di cui all'art. 468, comma 1, c.p.p. che impone alla parte che richiede l'esame di testimoni (periti, consulenti tecnici e soggetti di cui all'art. 210 c.p.p.) di indicare nella relativa lista le circostanze su cui dovrà vertere l'esame, non sembrerebbe mirare in via generale a delimitare l'ambito della testimonianza ma piuttosto ad operare una seppur parziale discovery volta ad evitare l'introduzione di prove a sorpresa e a consentire al Presidente di operare le proprie valutazioni in ordine all'autorizzazione alla citazione dei testimoni e al giudice procedente l'ammissione degli stessi. Senza voler in questa sede entrare nel merito della vicenda appare doveroso sottolineare che il significato della norma in questione ha in qualche misura perso significato atteso che, secondo la giurisprudenza consolidata, l'obbligo della indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l'esame testimoniale, imposto dall'art. 468 c.p.p., è necessario soltanto allorché le circostanze si discostino dal fatto descritto nel capo di imputazione (Cass. pen., Sez. III, 19 ottobre 2005 n. 41691). Tale approdo ha di fatto consentito di superare le questioni che sarebbero potute sorgere in base a un precedente diverso orientamento minoritario secondo il quale: «In tema di esame testimoniale, la parte che non ha indicato il teste a suo favore non può porre, in sede di controesame di quello introdotto da altra parte, domande su circostanze diverse da quelle specificate da chi ne ha richiesto l'esame al momento della presentazione della relativa lista» (Cass. pen., Sez. I, 5 novembre 1996, n. 10284 con nota critica di CONFORTI, Controesame di testi della controparte su circostanze non indicate e nuove interpretazioni del diritto alla prova contraria; nello stesso senso più di recente Sez. II, 19 ottobre 2000, n. 192).

Nella concreta dinamica processuale, il rispetto della citata normativa è garantito dal compito del Presidente del Collegio cui spetta di intervenire nel corso della cross examination, anche d'ufficio, per assicurare la pertinenza delle domande rispetto all'oggetto della prova e la genuinità delle risposte (art. 499, comma 6, c.p.p.).

Dal quadro appena delineato sembrerebbe, dunque, doversi evincere il divieto di porre domande non pertinenti con i fatti indicati nel capo d'imputazione (con la punibilità e con la determinazione della pena o della misura di sicurezza).

Appare legittimo allora domandarsi come procedere nei casi in cui un fatto denunciato dalla persona offesa non sia stato inserito dal rappresentante della pubblica accusa nella contestazione mossa, almeno in prima battuta, all'imputato al fine di modificare o integrare l'imputazione.

Sul punto pare opportuno anzitutto evidenziare che, come noto, nonostante il chiaro tenore letterale degli artt. 516 e 517 c.p.p. faccia riferimento a risultati emergenti nel corso dell'istruzione dibattimentale, per consolidata giurisprudenza nulla osta a che il p.m. operi una modifica dell'imputazione anche prima dell'apertura del dibattimento.

La Cassazione ha, infatti, ribadito che in tema di nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante possono essere effettuate dopo l'avvenuta apertura del dibattimento e prima dell'espletamento dell'istruttoria dibattimentale e, quindi, anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (Cass. Pen.,Sez. II, 14 ottobre 2015, n. 45298).

In tal senso, pertanto, potrebbe rivelarsi utile sollecitare il rappresentante della pubblica accusa facendo leva sul contenuto della denuncia o sugli altri atti eventualmente utili a sostenere l'integrazione della contestazione.

Qualora il P.M., però, non colga la sollecitazione della persona offesa (così come nei casi in cui, in assenza di tale esortazione non si sia proceduto a modificare il capo d'imputazione prima dell'apertura dell'istruttoria dibattimentale), l'unica possibilità di muovere gli addebiti di cui agli artt. 516 e ss. c.p.p. appare collegata alle emergenze del dibattimento le quali potranno eventualmente sorreggere l'iniziativa integrativa del P.M., poiché solamente dopo l'escussione delle prove lo stesso pubblico ministero sarebbe in grado di “precisare” l'accusa originaria (G. ILLUMINATI, Il Giudizio, in Compendio di Procedura penale, a cura di G. Conso V. Grevi M. Bargis).

In tal senso, fermo restando che la modifica dell'imputazione costituisce prerogativa esclusiva del P.M., la persona offesa che abbia interesse a far entrare nel processo temi di prova nuovi o più ampi potrebbe sollecitare il giudice (anche mediante il deposito di un'apposita memoria) ad esercitare i poteri di cui all'art. 506, comma 1, c.p.p.

Infine, con particolare riferimento alla possibilità di far emergere nel corso di una deposizione testimoniale elementi che eccedano il limite segnato dai fatti indicati nell'imputazione (al fine di procedere alla modifica della stessa o di sollecitare il rappresentante della pubblica accusa ad effettuare tale adempimento), appare utile sottolineare, anzitutto, che la Cassazione ha evidenziato che deve escludersi l'assunto secondo il quale la "cross-examination" non comporterebbe limite alcuno alla proposizione di domande, rilievi e precisazioni da parte delle difesa, perché la nozione di "esame incrociato" non può essere identificato con la libertà, priva di ogni vincolo, di muovere domande a scelta esclusiva della difesa. L'art. 499, comma 6, c.p.p. affida al presidente del collegio il potere di dirigere l'istruttoria dibattimentale e di stabilire caso per caso la pertinenza e l'utilità delle domande (Cass. Pen., Sez. I, 17 dicembre 1992).

D'altro canto, merita di essere sottolineato anche che l'articolo 187 c.p.p. stabilisce, al secondo comma, che rientrano nell'oggetto della prova anche i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.

Le domande su fatti non contenuti nel capo d'imputazione potrebbero, dunque, essere ritenute ammissibili in applicazione di questa disposizione, e fermo restando il potere di controllo del presidente, allorché si intenda applicare le norme processuali di cui agli artt. 516 e 517 c.p.p. e sempre a patto di non violare il parametro della “pertinenza” richiamato anche dalla direttiva contenuta all'art. 2 n. 78 della legge delega per l'emanazione del c.p.p. (che prevede il potere del pubblico ministero di procedere alla modifica dell'imputazione e di formulare nuove contestazioni “inerenti ai fatti del giudizio”).

Se è pur vero che non possa consentirsi alle parti di esplorare temi del tutto irrilevanti ai fini della decisione, appare altrettanto logico consentire -ritenendole pienamente pertinenti- di porre domande volte a far emergere che il fatto sia diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio o che sussista una circostanza aggravante o un reato connesso ex art. 12 lett. b) c.p.p. con quello per cui si procede. La conclusione pare supportata dal tenore del citato art. 187, comma2, c.p.p. e anche dalle ragioni che hanno indotto il legislatore a inserire nel codice di rito le disposizioni di cui agli artt. 516 e ss. c.p.p.

In conclusione pare potersi affermare che, nel caso in cui si proceda per il reato contestato di stalking, non violerebbe il principio della pertinenza la domanda della parte civile volta a far emergere il danneggiamento di un bene nella disponibilità della stessa p.c., trattandosi di circostanza che, seppur non indicata nel capo di imputazione, potrebbe essere idonea a definire la condotta serbata dall'imputato e utile a suffragare la sussistenza dell'ipotesi delittuosa o a far emergere un reato connesso ex art. 12 lett. b) c.p.p. con quello per cui si procede. Tanto più ove si consideri che, secondo la Cassazione, anche le condotte di danneggiamento di beni della vittima rientrano fra gli atti destabilizzanti idonei a integrare la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. (Cass. pen., Sez. V, 1 dicembre 2010, n. 8832).

Tale conclusione apparrebbe ancor più solida ove al citato danneggiamento si facesse riferimento nella denuncia o in altri atti di indagine in possesso del P.M. e nella disponibilità delle parti.