Norme di attuazione della direttiva 2014/41/Ue sull'ordine europeo di indagine penale: il procedimento in generale

Andrea Nocera
14 Luglio 2017

Con il recepimento della direttiva 41/2014/Ue il Legislatore delinea una nuova disciplina, coerente con la nuova imminente configurazione dell'assistenza giudiziaria in materia penale, che rende, nei limiti di scelta consentiti dalla direttiva stessa, più efficiente e celere la procedura tracciata dall'ordine di indagine europeo.
Abstract

Con il recepimento della direttiva 41/2014/Ue il Legislatore delinea una nuova disciplina, coerente con la nuova imminente configurazione dell'assistenza giudiziaria in materia penale, che rende, nei limiti di scelta consentiti dalla direttiva stessa, più efficiente e celere la procedura tracciata dall'ordine di indagine europeo. Il decreto fissa i principi generali per le attività sia in chiave passiva che attiva, con l'obiettivo di superare le perplessità applicative delle norme sulla Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, sottoscritta a Bruxelles il 29 maggio 2000, ed anticipare, disegnando una armonica disciplina, la riforma del libro XI del codice di procedura penale, dedicato ai rapporti giurisdizionali con le autorità straniere, il cui complesso di norme è destinato ad operare solo dove non sia prevista una diversa regolamentazione discendente da accordi internazionali.

La direttiva 41/2014/Ue sull'ordine europeo di indagine

Con il decreto legislativo 21 giugno 2017, n. 108, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 162 del 13 luglio 2017, il Governo italiano ha dato finalmente attuazione alla direttiva del Parlamento europeo e dal Consiglio 41/2014/Ue, del 3 aprile 2014, in tema di ordine europeo di indagine penale (Oei), in ottemperanza alla delega conferita dal Parlamento con l'art. 1 della legge di delegazione europea (n. 114/2015).

Si tratta di un atto con cui si definisce un complesso ed articolato percorso di armonizzazione delle procedure in tema di cooperazione giudiziaria penale volta alla attività di raccolta di elementi probatori nell'ambio di indagini transfrontaliere. La necessità di intervenire con una dettagliata regolamentazione di attuazione risponde, in particolare, all'esigenza di delineare una disciplina coerente della nuova configurazione dell'assistenza giudiziaria in materia penale e di semplificare la procedura tracciata dall'ordine di indagine europeo. L'intervento normativo delegato si inserisce nell'alveo della legge 21 luglio 2016, n.149, di delega al Governo per la compiuta attuazione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea sottoscritta a Bruxelles il 29 maggio 2000, nonché per la riforma del libro XI del codice di procedura penale, dedicato ai rapporti giurisdizionali con le autorità straniere.

L'attuazione della direttiva 41/2014/Ue sull'ordine europeo di indagine determina di fatto l'inefficacia delle disposizioni della Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, adottata dal Consiglio dei Ministri della giustizia e degli affari interni degli Stati dell'Unione europea il 29 maggio del 2000, oggetto di recente attuazione con il decreto legislativo 5 aprile 2017 n. 52 (v. NOCERA, Le norme attuative della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale (Bruxelles, 29 maggio 2000)).

La disciplina dell'Oei si allinea a tale scelta di fondo della Convenzione del 2000, individuando un conforme meccanismo di attribuzione della competenza al procuratore della Repubblica, quale autorità incaricata della esecuzione, allorché si tratti di Stati appartenenti all'Unione europea.

In tal modo completa il percorso di dissolvimento della disciplina dei settori del c.d. terzo pilastro in tema di cooperazione giudiziaria, operando il ravvicinamento delle legislazioni penali sul piano processuale, attraverso la sostituzione graduale delle decisioni quadro con lo strumento di più immediata applicazione della direttiva europea.

Nella specie, con l'iniziativa sull'Oei, le istituzioni europee pongono l'obiettivo di creare un comune strumento (e, dunque, procedimento) operativo che consenta la ricerca, l'acquisizione e il trasferimento delle fonti probatorie da uno Stato all'altro dell'Unione, così superando il quadro giuridico attuale, frutto di stratificazione normativa, di interventi attuativi quasi mai tempestivi, di convenzioni, decisioni quadro e direttive, frammentato e, soprattutto, settoriale.

La maggiore omogeneità esistente tra i Paesi dell'Unione permette di snellire la procedura, superando la tradizionale competenza alla Corte d'appello, prevista per il Mandato d'arresto europeo (Mae), anche in vista delle prospettate imminenti modifiche al codice di procedura penale.

Per effetto dell'introduzione dello schema unico dell'Oei devono, dunque, ritenersi superati i classici strumenti normativi di mutua assistenza giudiziaria penale tra gli Stati membri, modellati sullo schema della rogatoria e previsti dalla Convenzione europea di Strasburgo in tema di assistenza giudiziaria in materia penale del 1959, nonché le forme di collaborazione diretta previste dalla Convenzione applicativa degli Accordi di Schengen del 1990.

L'art. 34, par. 2,della direttiva n. 41/2014/Ue, in particolare, prevede che le disposizioni sull'Oei sostituiscono:

  • le norme sulle misure in tema di blocco o sequestro di beni per finalità probatorie, disciplinate dalla decisione quadro n. 2003/577/Gai del Consiglio europeo, del 22 luglio 2003, di cui residua una limita sfera applicativa per la parte relativa alle attività finalizzate alla confisca dei beni. Per tale via, gli Stati membri potranno continuare ad adottare od eseguire decisioni di blocco o sequestro di beni ai sensi della decisione quadro 577/2003, se finalizzate a congelare e privare i criminali del profitto economico;
  • le disposizioni sul mandato europeo di ricerca della prova (Mer) di cui alla decisione quadro 2008/978/Gai del 18 dicembre 2008, già oggetto di abrogazione per effetto del regolamento 95/2016/Ue del 20 gennaio 2016 e comunque mai recepita dallo Stato italiano.

Nei § n. 3 e 4 della direttiva 41/2014/Ue si evidenziano i non adeguati risultati conseguiti con la disciplina dettata dalla decisione quadro 577/2003, in tema di esecuzione dei provvedimenti di sequestro probatorio, e con lo strumento del Mar, mai concretamente attuato per il ridotto numero di Stati aderenti, di cui alla decisione quadro 978/2008.

Da un lato, infatti, la decisione quadro 577/2003, pur se fornisce uno strumento di pronta esecuzione, in ogni Stato membro, dei provvedimenti giudiziari di blocco o sequestro di beni, al fine di impedirne la sottrazione o dispersione, non disciplina le modalità del successivo trasferimento delle prove acquisite, che seguono le ordinarie procedure di assistenza giudiziaria. Ne deriva una procedura articolata in due fasi, di poco o nulla utilità pratica, che richiede che il provvedimento di blocco o di sequestro debba essere accompagnato da un'ulteriore e diversa richiesta di trasferimento della prova nello Stato richiedente, in conformità alle norme applicabili all'assistenza giudiziaria in materia penale.

Dall'altro, la decisione quadro 978/2008, che, sulla falsariga del mandato di arresto europeo (Mae), delineava un mandato europeo di ricerca delle prove (Mer), teso a ottenere da uno Stato membro oggetti, documenti e dati allo scopo di utilizzarli nel procedimento penale instaurato in un diverso Paese, presenta un limitato ambito applicativo perché garantisce il mutuo riconoscimento delle decisioni di sequestro e di destinazione finale del bene solo in relazione a prove “precostituite”, localizzate all'estero e già a disposizione delle autorità di esecuzione, non applicabile per le attività di ricerca della prova.

La direttiva, nondimeno, fa espressamente salvi gli elementi di prova raccolti per il tramite delle squadre investigative comuni, di cui alla decisione quadro 2002/465/Gai (art. 3).

L'Oei si pone, dunque, il duplice obiettivo di assicurare una più rapida ed efficace assistenza giudiziaria tra gli Stati membri, consentendo il dialogo diretto tra autorità giudiziarie nella ricerca ed acquisizione delle fonti di prova, nel rispetto dei principi fondamentali del diritto interno degli stessi, e di garantire l'immediato riconoscimento delle decisioni assunte dalle autorità giudiziarie degli Stati membri in tema di misure investigative.

L'Oei come unico modello di cooperazione tra autorità giudiziarie

Dalla ricostruzione del quadro normativo emerge che il nuovo strumento dell'Oei costituisce un modello universale di cooperazione tra autorità giudiziarie dei diversi Paesi europei per l'acquisizione e la circolazione delle prove in ambito europeo.

Il Titolo I del decreto legislativo, dedicato alle Disposizioni di principio e definizioni, riproduce i principi generali della direttiva 41/2014/Ue in tema di ordine europeo di indagine penale, attuati nel rispetto dei principi dell'ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo.

L'Oei, come definito dall'art. 1 della diretta 41/2014/Ue – riprodotto nell'art. 2 lett. a) del d.lgs. di attuazione – si sostanzia in una decisione giudiziaria, emessa o convalidata da un'autorità competente di uno Stato membro (individuato come Stato di emissione), affinché siano compiuti uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro (Stato di esecuzione) volti alla ricerca ed acquisizione di prove nell'ambito di un procedimento penale, che abbiano ad oggetto persone o cose che si trovano nel territorio di tale ultimo Stato.

Come accennato, l'Oei può essere utilizzato anche al solo fine di acquisire informazioni o prove che siano già nella disponibilità delle autorità competenti dello Stato di esecuzione.

L'ordine di indagine può essere emesso non solo da organi giudiziari, nella specie un giudice o un magistrato inquirente, ma anche da una autorità amministrativa, purché si tratti di atto sottoposto a convalida dell'autorità giudiziaria prima della trasmissione all'autorità di esecuzione.

In tal senso, l'art. 2 del decreto legislativo definisce le nozioni di autorità di emissione e di autorità di esecuzione e quelle corrispondenti – individuate in ragione della appartenenza territoriale dell'autorità procedente – di Stato di emissione e Stato di esecuzione.

Autorità di emissione è l'autorità giudiziaria, competente in via diretta alla emissione dell'ordine di indagine con il quale dispone l'acquisizione di elementi di prova in un procedimento penale, ovvero in quanto investita della convalida una richiesta di acquisizione probatoria proveniente da un'autorità amministrativa

Autorità di esecuzione è quella che riceve, riconosce e dà esecuzione a un ordine di indagine emesso dall'autorità giudiziaria italiana.

Autorità centrale per lo Stato Italiano è il Ministero della Giustizia.

Nell'ottica delle piene garanzie dei diritti della difesa nella fase della ricerca della prova, la direttiva prevede che l'Oei possa essere emesso su richiesta anche dalla persona sottoposta alle indagini o dall'imputato, o dal difensore di questi, nelle forme e nei modi previsti dall'ordinamento processuale penale.

Nondimeno, le investigazioni difensive sono escluse dalla sfera di operatività dell'Oei.

Al fine di consentirne il formale riconoscimento, inoltre, la direttiva n. 41/2014/Ue dispone che l'Oei sia trasmesso dall'autorità di emissione all'autorità di esecuzione con ogni mezzo che consenta di conservare una traccia scritta e che permetta allo Stato di esecuzione di stabilirne l'autenticità (art. 7).

Quanto alle formalità di collegamento, la norma attua il principio della comunicazione diretta tra autorità giudiziarie, che per la trasmissione della richiesta possono anche avvalersi della Rete giudiziaria europea, di Eurojust, Europol o di altri canali di comunicazione diretta.

Qualsiasi comunicazione ufficiale è effettuata direttamente tra l'autorità di emissione e l'autorità di esecuzione, che, ove necessario, concordano le forme di esecuzione dell'Oei e sono tenute a risolvere, attraverso tale diretta interlocuzione, qualsiasi problematica insorga nella trasmissione o esecuzione dell'Oei.

Il Titolo II è destinato alle norme procedurali generali attraverso le quali si sviluppa l'esecuzione dell'ordine di indagine che sia oggetto di richiesta da parte dell'autorità di uno Stato estero.

Autorità procedente al riconoscimento ed alla esecuzione all'ordine di indagine è il procuratore della Repubblica distrettualmente competente, in funzione del luogo nel quale devono essere compiute le attività investigative o assunte le informazioni richieste (art. 4).

Ragioni legate al rispetto del principio della c.d. continuità investigativa giustificano l'assegnazione della competenza al procuratore distrettuale che si è occupato della prima richiesta quando l'Oei è collegato ad una precedente richiesta. Celerità e corretta identificazione dell'organo da parte dello Stato che chiede la cooperazione sottostanno alla serrata disciplina dettata in caso di errata individuazione dell'autorità giudiziaria competente alla ricezione.

In particolare, nel caso si tratti di attività richiesta complessa, che preveda la necessità del compimento di plurimi atti di indagine o ricerca, la competenza territoriale viene individuata in ragione del luogo in cui questi siano maggiormente concentrati, ovvero dove deve essere eseguita l'attività di maggiore rilevanza. In caso di contrasto tra Uffici del pubblico ministero, determinato dal riconoscimento da parte del procuratore richiesto della propria incompetenza in favore di altro ufficio, la norma rinvia ai criteri e procedure risolutivi di cui agli articoli 54, 54-bis e 54-ter c.p.p. In caso di conflitto di competenza il procuratore della Repubblica che abbia ricevuto l'ordine e lo abbia trasmesso ad altra autorità per l'esecuzione ha l'obbligo di darne comunicazione all'autorità di emissione. La disposizione attua l'articolo 16 della direttiva in quanto la comunicazione della esistenza di un potenziale contrasto si risolve in quella relativa al ritardo dell'esecuzione dell'ordine, pur se le previste forme di scambio spontaneo di informazioni sono idonee a garantire l'aggiornamento circa lo stato di esecuzione della richiesta oggetto di Oei.

Il radicamento della competenza territoriale in capo all'ufficio del pubblico ministero comporta che allo stesso sia demandato anche il riconoscimento e l'esecuzione dell'eventuale ordine di indagine “integrativo” emesso nello stesso o in altro procedimento.

Il procuratore della Repubblica cui è comunicato l'ordine di indagine per il riconoscimento e la esecuzione deve provvedere a darvi formale riconoscimento, mediante l'emissione di un decreto motivato recettivo delle indicazioni ivi contenute e delle necessarie misure attuative.

Per l'emissione del decreto di riconoscimento o di esecuzione sono mutuati i termini dettati dalla direttiva: un termine ordinario di 30 giorni, decorrente dalla ricezione della ordine, ovvero un diverso termine specifico indicato dall'autorità di emissione, in ogni caso non superiore a 60 giorni. Alla esecuzione si provvede, quindi, entro 90 giorni dalla adozione del decreto.

Ove siano rappresentate particolari esigenze di tempestività dell'esecuzione dell'Oei tale termine può essere ridotto secondo quanto indicato dall'autorità di emissione.

La previsione di un termine generale per l'adozione del decreto di riconoscimento o di esecuzione e, in via alternativa, di quello diverso indicato nell'ordine trasmesso risponde all'esigenza di considerare eventuali ragioni di urgenza e, comunque, di tempestiva attuazione delle attività di indagine, assicurando una celere esecuzione delle stesse.

Non è stata prevista una disciplina per la richiesta di proroga, oggetto del § 5 dell'articolo 12 della direttiva, dal momento che i suddetti termini vanno intesi come ordinatori, nel rispetto comunque degli obblighi di comunicazione, e sono suscettibili di estensione fino a 60 giorni, come disposto all'art. 4, comma 1, del decreto legislativo.

L'attività probatoria, da eseguirsi nei termini in cui è stata disposta dall'autorità giudiziaria richiedente, è soggetta al solo limite della conformità ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.

Nondimeno, la norma richiede che siano regolati dalla sola legislazione interna le eventuali attività di indagine da svolgersi nella forma delle c.d. consegne sorvegliate e delle operazioni di infiltrazione attraverso agenti sotto copertura, per la cui richiesta di esecuzione è in via astratta ammissibile la forma dell'ordine di indagine.

Tali attività sono disciplinate dall'art. 9 della legge 16 marzo 2006, n.146 (come modificata con legge 13 agosto 2010, n. 136), legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione (Palermo, 2000) e dei Protocolli delle Nazioni unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001, che ha optato per un modello unitario.

Si è voluto ribadire, per la delicatezza di tali operazioni, che le norme e le procedure nazionali sono inderogabili, in relazione al fatto che assicurano che lo Stato che effettua l'attività mantiene il diritto di iniziativa, la direzione e il controllo delle operazioni. Tale è ad esempio, la previsione di una riserva di applicazione delle scriminanti speciali per i soli soggetti qualificati in quanto appartenenti ad unità speciali, le limitazioni oggettive derivanti dalla tipologie dei delitti per i quali possono essere svolte, ovvero le particolari formalità procedurali che impongono l'obbligo di informazione preventiva o, quantomeno, contestuale al pubblico ministero.

I principi generali per l'acquisizione e circolazione delle prove. Condizioni e limiti operativi dell'Oei.

Il decreto legislativo non detta indicazioni di principio generali circa le modalità di esecuzione della attività investigativa ma, trattandosi di un ordine di indagine di immediata attuazione, che può essere soggetto al solo riconoscimento da parte dell'autorità giudiziaria requirente, le procedure da osservarsi devono essere conformi a quelle indicate dalla autorità di emissione, con l'unico limite della loro necessaria conformità con i principi giuridici fondamentali dell'ordinamento interno dello Stato richiesto della esecuzione.

In tal senso, il decreto di riconoscimento è soggetto a precisi obblighi formali di comunicazione e verbalizzazione, a garanzia del diritto di difesa.

La segreteria del pubblico ministero procedente deve dare comunicazione del decreto al difensore della persona sottoposta alle indagini nei termini previsti dalla norma processuale interna in funzione della natura e tipologia dell'atto di ricerca o di acquisizione della prova da compiersi. Ove l'esecuzione abbia ad oggetto “atti a sorpresa”, come nel caso di ispezioni, perquisizioni o sequestri, per i quali la legge italiana prevede soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell'atto senza preavviso, il decreto di riconoscimento viene comunicato al momento in cui l'atto è compiuto o immediatamente dopo.

A garanzia del corretto svolgimento dell'attività di ricerca della prova, il pubblico ministero redige un processo verbale degli atti compiuti, ai quali il difensore della persona sottoposta alle indagini ha diritto di assistere, e provvede al loro deposito ai sensi dall'articolo 366, comma 1, c.p.p.

L'autorità di esecuzione che riceve un Oei trasmette una comunicazione di ricevuta – senza ritardo e comunque entro il termine di sette giorni dalla ricezione – compilando e inviando un apposito modulo, redatto secondo il modello B allegato al decreto legislativo, nel quale devono essere indicate le modalità di esecuzione quando da esse derivi l'impossibilità di assicurare la riservatezza sui fatti e sul contenuto dell'ordine di indagine.

La salvaguardia degli obblighi della riservatezza dell'indagine nella procedura volta ad acquisire la prova non può pregiudicare il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi sanciti dall'art. 6 Tue, compresi i diritti della difesa delle persone sottoposte a procedimento penale.

Il principio generale è quello della applicazione delle forme prescelte dallo Stato di emissione per l'esecuzione delle misure di ricerca della prova, a garanzia della conservazione del segreto di indagine sull'attività da svolgersi. Principio che è soggetto a deroga nel caso in cui l'ordine abbia ad oggetto attività investigative che, per le concrete modalità di esecuzione disposte dalla autorità di emissione, non consentano di assicurare la riservatezza sui fatti e sul contenuto dell'ordine di indagine. Tale è il caso, ad esempio, di atti soggetti all'obbligo di comunicazione all'indagato o che richiedono la necessaria assistenza del difensore.

Il riconoscimento e l'esecuzione dell'Oei avvengono senza alcuna ulteriore formalità, attraverso l'adozione diretta ed immediata di tutte le misure necessarie. Nondimeno, le modalità di esecuzione, la cui indicazione originaria è rimessa all'autorità di emissione, si conformano alle norme interne dello Stato di esecuzione, dovendo osservarsi le medesime forme attuative previste qualora l'atto di indagine fosse stato disposto da un'autorità dello Stato di esecuzione.

Le esigenze di linearità e rapidità della procedura ha portato il Legislatore ad evitare, nella trasmissione e ricezione dell'Oei, qualsiasi passaggio attraverso autorità centrali, optando per la trasmissione diretta tra le autorità giudiziarie interessate. L'ausilio del Ministero della Giustizia è solo residuale, nel caso in cui insorgano difficoltà – non risolvibili consensualmente – relative alla comunicazione e alla trasmissione delle richieste l'autorità giudiziaria, come disposto dall'art.7 § 7 della direttiva.

Se il procuratore della Repubblica viene individuato come interlocutore principale e diretto per l'esecuzione dell'ordine trasmesso dall'autorità giudiziaria dello Stato membro, la norma (art. 6) lascia impregiudicata la possibilità che l'esecuzione possa essere affidata al giudice (nella specie, il giudice per le indagini preliminari) nel caso in cui l'atto da eseguirsi sia attribuito al giudice dalla legge italiana ovvero ciò sia espressamente richiesto dalla autorità emittente l'ordine. In tali casi il procuratore della Repubblica, dopo aver valutato la riconoscibilità dell'ordine e l'ammissibilità delle modalità di esecuzione disposte, formula richiesta al giudice per le indagini preliminari perché ne autorizzi l'esecuzione.

Al giudice, in tali casi, è rimesso non solo il controllo della legittimità formale delle attività investigative indicate dall'Oei e delle modalità esecutive ivi disposte ma anche quello relativo alla sussistenza delle condizioni di riconoscimento dell'ordine di indagine. In quanto operante solo in ambito di cooperazione tra autorità giudiziarie di Stati membri, l'Oei emesso da un'autorità diversa da quella giudiziaria ovvero da questa non convalidato, non può essere riconosciuto ed è restituito all'autorità di emissione.

Per il richiamato generale principio di riservatezza sui fatti e sul contenuto dell'ordine di indagine, il giudice provvede alla emissione del provvedimento di riconoscimento ed esecuzione nelle forme semplificate della procedura camerale ai sensi dell'art.127 c.p.p., salva diversa modalità attuativa richiesta dalla autorità di emissione, le cui formalità procedurali prevalgono sulle norme processuali interne, sempre che non siano contrarie ai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

In ossequio a quanto stabilisce il considerando n. 21 della direttiva, l'intervento del giudice in funzione di controllo è limitato agli atti che per la fase in cui perviene la richiesta impongono la sua delibazione.

Inoltre, ove per il compimento dell'atto investigativo oggetto dell'ordine di indagine è necessario il rilascio di autorizzazione a procedere, il procuratore della Repubblica è obbligato a presentare tempestiva richiesta in tal senso (art. 9, comma 4).

Gli obblighi di comunicazione

Nei casi in cui l'autorità di esecuzione – sia esso il pubblico ministero o il giudice – ravvisi l'insussistenza delle condizioni per il riconoscimento e l'esecuzione dell'ordine di indagine per contrasto con le norme interne è tenuta a darne immediata comunicazione all'autorità di emissione, al fine di rimuovere, se possibile, le ragioni che porterebbero al rifiuto.

I motivi di non riconoscimento o di non esecuzione sono tassativamente indicati dall'art. 11 della direttiva. Tra le ragioni preclusive di natura soggettiva vi è la previsione di immunità o privilegi dei soggetti sottoposti ad indagine, secondo la legislazione dello Stato di esecuzione, che rendano impossibile attuare l'attività disposta con l'Oei. Natura oggettiva assume, di contro, il pericolo di lesione di interessi essenziali di sicurezza nazionale, ovvero la messa in pericolo della fonte delle informazioni o il possibile utilizzo di informazioni riguardanti attività di intelligence.

La comunicazione ha un contenuto propositivo e deve indicare i motivi che giustificano il rifiuto di riconoscimento o di esecuzione dell'ordine. Essa, infatti, è finalizzata a concedere all'autorità richiedente la possibilità di concordare eventuali modalità alternative di esecuzione della attività investigativa, piuttosto che il ritiro dell'ordine di indagine.

Analogo obbligo di informazione nei confronti dell'autorità di emissione è previsto nel caso in cui il provvedimento sia stato oggetto di impugnazione e, in seguito al gravame, il decreto di riconoscimento sia stato oggetto di annullamento. In tale ultimo caso è prevista la comunicazione del decreto definitivo del procedimento impugnatorio.

Accanto ai motivi formali di diniego, il decreto legislativo prevede dei casi – anch'essi soggetti ad obbligo di informazione – in cui l'autorità di esecuzione può rifiutare il decreto di riconoscimento perché il contenuto dell'ordine emesso, pur non contrario ai principi dell'ordinamento interno e non pericoloso o lesivo degli interessi di sicurezza nazionale, appare “non proporzionato”, ossia emesso in violazione dell'obbligo di proporzione dell'attività di ricerca ed assicurazione delle fonti di prova, introdotto dall'articolo 7.

Infine, uno specifico obbligo di comunicazione all'autorità di emissione – contestuale a quello di avvenuta ricezione dell'ordine – sussiste nel caso in cui non possa essere garantita la riservatezza sul contenuto e sui fatti dell'ordine di indagine per le modalità stesse di esecuzione dell'atto richiesto (art. 6, comma 1, come nel caso in cui il compimento dell'atto si estrinsechi in un decreto motivato del P.M.). Il criterio generale espresso dalla direttiva (articolo 19 § 2) è che la riservatezza è garantita tranne che ai fini e nella misura necessaria all'esecuzione dell'atto di indagine.

Il limite della proporzionalità delle misure investigative

Al fine di limitare la compressione di diritti e facoltà degli interessati e dell'indagato, all'autorità di esecuzione la norma affida la valutazione circa la funzionalità della richiesta e la sua eventuale ridondanza rispetto agli effetti perseguiti, in attuazione dell'art. 6 della direttiva.

Il decreto legislativo per la prima volta introduce nel nostro ordinamento processuale il principio di proporzionalità della misura investigativa.

Infatti, il riconoscimento dell'ordine di indagine deve procedere attraverso la verifica da parte dell'organo giudiziario dei caratteri di proporzionalità – e, ancor più a monte – della effettiva necessità dell'atto investigativo ai fini del procedimento, avuto conto dei diritti della persona sottoposta a indagini, nonché della sussistenza in astratto delle medesime condizioni legittimanti un atto di indagine analogo nell'ordinamento dello Stato richiesto.

Il principio di proporzionalità della misura investigativa comporta che dall'atto che ne ordina e dispone l'esecuzione non possa derivare un sacrificio non giustificato ai diritti e alle libertà dell'imputato o della persona sottoposta alle indagini o di altre persone coinvolte dal compimento degli atti richiesti.

In questo senso la norma va letta in collegamento con quanto stabilito dal successivo art. 9 circa la possibilità, all'uopo comunicata all'autorità di emissione, di procedere con un atto diverso parimenti idoneo allo scopo e in ipotesi meno invasivo.

Il limite conforma sotto un duplice profilo l'attività investigativa, che è espressione del potere autoritativo dell'autorità giudiziaria nell'ambito del procedimento penale. Da un lato la proporzionalità dell'atto di indagine costituisce limite esterno alla attività investigativa disposta, che deve presentarsi come misura indispensabile in relazione alle esigenze investigative o probatorie del caso concreto, da valutarsi alla luce della gravità dei reati per i quali si procede e della pena per essi prevista. Il requisito della gravità dei reati deve essere valutato “in concreto”, termine che rinvia a quanto già espressamente stabilito dall'ordinamento interno in materia di particolare tenuità, parametro assimilabile a quello cui è ancorata nella materia disciplinata dallo schema la valutazione affidata all'autorità di esecuzione.

Dall'altro, opera quale limite interno all'ordine, che incide sulla scelta del contenuto relativo alle modalità esecutive, che devono comportare il minimo sacrificio degli interessi dei soggetti coinvolti dalla attività, secondo una valutazione comparativa tra l'interesse all'utile svolgimento dell'attività investigativa e quelli dei soggetti da essa coinvolti.

Solo ove sia garantito tale limite esterno ed interno di proporzionalità dell'ordine in relazione alle necessità procedurali – in funzione delle finalità ed obiettivi di indagine - e delle modalità attuative in esso indicate, la misura investigativa potrà ritenersi giustificata e non pregiudizievole degli interessi dell'indagato, delle altre parti processuali o del terzo.

Ogni volta che l'atto appaia sproporzionato è data comunicazione all'autorità di emissione onde consentire all'autorità di emissione di valutare se insistere nella richiesta o piuttosto di avanzarne diversa sulla base dell'eventuale prospettazione dell'autorità interna.

Il rifiuto di riconoscimento. La flessibilità della esecuzione dell'Oei

Come visto, l'esigenza del contemperamento dei principi di proporzionalità della misura e conformità alle norme fondamentali dell'ordinamento dell'ordine che la comprende, in funzione delle garanzie di attuazione previste dallo Stato di esecuzione, si manifesta anche nella possibilità concessa all'autorità di esecuzione di poter disporre un atto di indagine alternativo a quello richiesto, quando tale atto non sia previsto dal diritto dello Stato di esecuzione, oppure non sia disponibile un istituto analogo nell'ordinamento interno, sempre che l'atto alternativo prescelto dall'autorità di esecuzione assicuri lo stesso risultato con mezzi meno intrusivi e pregiudizievoli degli interessi della parte processuale (art. 9 d.lgs. 108/2017). Tale previsione risponde ad una esigenza di conservazione degli effetti dell'ordine di indagine emesso.

L'art. 10 della direttiva, tuttavia, esclude che tale facoltà di sostituzione si applichi agli Oei che riguardino l'acquisizione di investigazioni nella immediata disponibilità dello Stato di esecuzione. È il caso delle informazioni o prove che sono già in possesso dell'autorità di esecuzione, perché oggetto di altro procedimento, ovvero custodite in banche dati della polizia o delle autorità giudiziarie ma anche di tutti gli atti di indagine che non siano coercitivi.

Il presupposto perché l'autorità giudiziaria italiana possa optare per una misura equivalente di indagine è che l'atto richiesto non sia previsto dalla legge italiana o non ricorrano i presupposti previsti dalla legge italiana perché ne possa essere disposto il compimento, ovvero che l'atto di indagine non sia proporzionato a norma dell'art. 7.

Nel primo caso il procuratore della Repubblica provvede, previa comunicazione all'autorità di emissione, al compimento di attività investigative diverse che si presentino comunque idonei al raggiungimento del medesimo scopo. La norma impone un mero obbligo di comunicazione all'autorità di emissione, onde consentirle di ritirare o integrare l'Oei. Condizione necessaria per l'adozione di una misura investigativa diversa da quella indicata è proprio che questa sia di pari idoneità ed efficacia per la realizzazione degli obiettivi dell'Oei.

Nel secondo caso, in cui viene in essere la necessità di adeguare l'ordine al criterio di proporzionalità delle attività investigative, l'attività investigativa alternativa è soggetta al previo accordo con l'autorità di emissione e, dunque, ad una interlocuzione informale preventiva. In tal senso, l'art. 13, comma 5, del decreto legislativo dispone che l'annullamento dell'atto di riconoscimento emesso dal P.M. procedente può essere disposto, oltre che a seguito di opposizione, «anche su richiesta delle parti» ove ricorrano i motivi di rifiuto qui richiamati.

Tali modalità operative consentono di limitare i casi di rifiuto di riconoscimento dell'Oei, costituendo l'impossibilità di esecuzione espresso motivo legittimante il rifiuto di esecuzione.

Il ricorso a soluzioni probatorie alternative è, infatti, necessario ove l'atto richiesto non sia previsto dalle leggi dello Stato o quando l'atto di indagine o il mezzo di prova o di ricerca della prova non siano consentiti dalla legge in un caso interno analogo (ipotesi che, per alcuni tipi di prova, indicate specificamente al Capo II, possono anche condurre al rifiuto della esecuzione) e, comunque, l'adozione di una via probatoria alternativa è sempre dovuta quando comporti una minore intrusività nella sfera dei diritti individuali.

In ogni caso, analogamente a quanto previsto dalla direttiva, il rifiuto non può essere opposto quando l'esecuzione dell'ordine di indagine abbia ad oggetto atti di cui l'autorità di esecuzione abbia già la disponibilità degli atti investigativi ovvero si tratti di atti che non siano invasivi, come l'audizione della persona informata dei fatti, del testimone, del consulente o del perito, della persona offesa, nonché della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato presenti nel territorio dello Stato, ovvero gli atti di indagine non incidano sulla libertà personale e sul diritto all'inviolabilità del domicilio o l'identificazione di persone titolari di uno specifico numero telefonico o di un indirizzo di posta elettronica o di un indirizzo IP.

Per tali tipologie di prova l'esecuzione da parte della autorità giudiziaria è dovuta, senza doversi effettuare una verifica su soluzioni diverse da quelle indicate dall'autorità emittente od operare un controllo di proporzionalità. Si tratta di atti investigativi o prove che devono sempre essere resi disponibili, per i quali non può opporsi il rifiuto neanche in base alla mancanza del requisito della doppia incriminazione.

Nonostante la direttiva sia ispirata all'idea di limitare al massimo le possibilità di rifiuto di riconoscimento e di semplificare i rapporti di cooperazione tra autorità giudiziarie, il decreto legislativo elenca specifiche ipotesi “facoltative” di rifiuto, aggiuntive rispetto alla suindicata impossibilità di esecuzione o non proporzionalità della misura non sostituibile (art. 10 d.lgs. 108/2017).

L'elencazione, che deve ritenersi tassativa, appare comprensiva di tutte le ipotesi di impossibilità di esecuzione dell'Oei, in parte sopra già analizzate.

Tra queste, la incompletezza dell'ordine di indagine trasmesso ovvero l'erroneità o non inerenza delle informazioni in esso contenute; il riconoscimento di immunità dallo Stato italiano che limitano o impediscono l'esercizio o il proseguimento dell'azione penale nei confronti dell'indagato; le ragioni di pregiudizio alla sicurezza nazionale derivanti dalla esecuzione dell'ordine di indagine; la possibile violazione del divieto di bis in idem, di sottoposizione ad un nuovo processo per i medesimi fatti nei confronti di un soggetto già definitivamente giudicato, ovvero l'incompatibilità dell'ordine con gli obblighi dello Stato sanciti dall'articolo 6 del trattato dell'Unione europea e dell'articolo 6 dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in relazione al pericolo di una grave violazione dei princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato e dei diritti fondamentali della persona.

Quanto al riferimento alle immunità (art. 10, lettera b)) il rifiuto consegue all'impossibilità di rimuoverla da parte dell'autorità italiana. La previsione va collegata all'obbligo, stabilito dall'art. 9, di tempestiva richiesta di autorizzazione a procedere ai sensi degli artt. 343 e 344 c.p.p. Tale ultima disposizione è coerente con la previsione di cui al § 5 dell'articolo 11 della direttiva che attribuisce all'autorità di esecuzione la richiesta relativa a condizione che la revoca dell'immunità dipenda dallo stesso Stato di esecuzione.

La norma prevede la possibilità di opporre un rifiuto di riconoscimento anche nei casi in cui sia la violata la condizione di doppia incriminazione, che opera se il reato per il quale si procede con l'ordine di indagine non è punito dalla legge italiana come reato, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualificazione giuridica individuati dalla legge dello Stato di emissione.

Tale ultima previsione, però, non trova applicazione nei casi in cui l'Oei abbia ad oggetto l'acquisizione di elementi già nella disponibilità dello Stato di esecuzione ovvero attività investigative che non comportino l'esercizio di poteri coercitivi o, comunque, non garantite, previste dal citato art. 9, comma 5. Si tratta di atti probatori per i quali all'autorità giudiziaria italiana non è consentito il ricorso a un atto probatorio alternativo rispetto a quello indicato dalla autorità dello Stato emittente.

Una ulteriore deroga al limite della doppia incriminazione è, inoltre, prevista per una serie di reati (elencati dall'art. 11), discrezionalmente scelti dal legislatore (tra questi, i reati di partecipazione ad associazione criminosa, di terrorismo, di traffico di esseri umani, i crimini contro l'umanità, i delitti di falso, di truffa aggravata, di criminalità ambientale ed economica, di violenza sessuale ecc.). Per tali ipotesi di reato, da individuarsi in relazione alle indicazioni fornite dall'autorità di emissione, non opera mai il rifiuto legato alla mancanza del requisito della doppia incriminazione.

La norma riproduce la lista delle aree penali che, a partire dalla decisione quadro sul mandato di arresto europeo, sono sempre state esentate dalla verifica sulla doppia incriminazione (sempre che il fatto sia punito nello Stato di emissione con una pena non inferiore nel massimo a 3 anni di reclusione o con una misura di sicurezza detentiva), ex art. 10, comma 1, lettera f).

La norma pone, dunque, la duplice condizione della qualificazione giuridica del reato, nei termini sopra richiamati, e del superamento di una soglia minima edittale perché possa essere superato il criterio della doppia incriminazione, legittimante il provvedimento di rifiuto.

Un ulteriore specifico limite di operatività della condizione della doppia incriminazione è espressamente previsto quando l'ordine di indagine sia stato emesso in relazione a violazioni tributarie, doganali o valutarie. In tali casi, che tendenzialmente investono materie e questioni di interesse unionale, l'esecuzione non può essere rifiutata sulla base della diversa denominazione delle imposte o tasse nell'ordinamento italiano, se una tipologia di tributo similare non sia rinvenibile secondo la legge italiana ovvero se non sussista uniformità tra le norme tributarie, valutarie o doganali dell'ordinamento interno e quelle dello Stato di emissione.

La previsione della forma del decreto motivato in caso di rifiuto (ordinanza, nel caso del giudice), pur non essendo finalizzato a consentire una qualsivoglia forma di impugnazione, ha una sua precisa rilevanza nella dinamica processuale, in quanto consente di far valere comunque l'eventuale carenza di giustificazione del rifiuto, anche in relazione alla prevista legittimazione attiva dell'imputato e dell'indagato, quali soggetti direttamente interessati all'emissione dell'Oei, ad attivare tale procedura.

La richiamata flessibilità dell'esercizio del potere di riconoscimento e di esecuzione dell'Oei si manifesta anche nella possibilità di disporre il rinvio del decreto di riconoscimento per l'emergere di una possibile “interferenza” dell'attività disposta con le indagini preliminari o un processo già in corso innanzi all'autorità di esecuzione (art. 14).

Lo strumento del rinvio del riconoscimento o della esecuzione consente, infatti, di salvaguardare la riservatezza di eventuali indagini in corso connesse all'attività probatoria disposta dall'autorità di emissione.

Il pubblico ministero, ove ravvisi l'impossibilità di una tempestiva ricezione dell'ordine per le evidenziate ragioni di turbativa delle indagini o dei processi in corso, dispone il rinvio del riconoscimento dell'ordine di indagine per il periodo ritenuto necessario alla soluzione della causa ostativa alla esecuzione.

Allo stesso modo, il rinvio deve essere disposto nel caso in cui le cose, i documenti o i dati oggetto di richiesta di sequestro sono già sottoposti a vincolo di sequestro, fino alla revoca del relativo provvedimento, salvo l'accordo per il trasferimento temporaneo del bene all'autorità di emissione.

In tali casi la norma non sembra concedere un potere discrezionale di valutazione al p.m. o al giudice procedente (il Legislatore utilizza il verbo dispone), sussistendo un criterio di presunzione normativa di pregiudizio per le indagini o il processo in corso, che pone come momento risolutivo del vincolo giudiziale la sola revoca del provvedimento di sequestro.

Il tempo, indicato in direttiva come ragionevole, in sede di attuazione viene collegato alle necessità della durata dell'indagine preliminare, nei limiti ragionevolmente della riservatezza. L'avvenuta discovery, anche anteriore all'avviso di chiusura delle indagini, dovrebbe adeguatamente guidare l'operatore interno a questi fini. Utile in questo senso è lo scambio di informazioni a livello investigativo.

La decisione di rinvio è per sua natura provvisoria e, dunque, di fatto sospende l'esecuzione dell'ordine di indagine fino al momento in cui venga meno la causa ostativa che vi ha dato luogo (ad es., revoca del sequestro, conclusione del giudizio con sentenza dispositiva del bene sottoposto a vincolo). Ne deriva che, una volta venuta meno la causa che ha dato luogo al rinvio, l'autorità che lo ha sospeso è tenuta a darvi tempestiva esecuzione.

Alla stessa stregua degli atti di diniego, la decisione di rinvio è soggetta ad immediata comunicazione all'autorità di emissione, analogamente alla esecuzione, una volta venuta meno la causa ostativa.

Modelli di esecuzione partecipata alla esecuzione

Anche per l'Oei la cooperazione diretta e la sinergia tra autorità giudiziarie costituisce la forma ordinaria di esecuzione.

Le modalità di esecuzione congiunta e diretta sono esplicitamente contemplate dal decreto legislativo in esame. L'art. 8, infatti, prevede che, su richiesta dell'autorità di emissione, questa può essere ammessa a partecipare direttamente alla fase di esecuzione dell'Oei.

Si tratta di un istituto, con margini di ampia discrezionalità attuativa, che risponde a finalità di semplificazione dell'attività di cooperazione investigativa mediante ordine di indagine.

A tale scopo l'autorità di esecuzione (id est, il procuratore della Repubblica), ricevuta la comunicazione dell'ordine, può valutare l'opportunità di promuovere la costituzione di una squadra investigativa comune. Trattandosi di mera modalità esecutiva dell'Oei, la scelta delle forme di partecipazione dell'autorità di emissione è soggetta ai medesimi limiti di ammissibilità e proporzionalità della misura disposta e, in ogni caso, alla esplicita richiesta di partecipazione formulata dalla autorità invitata.

Giova evidenziare che la Convenzione di Bruxelles del 2000 (art. 13) disciplina la costituzione di squadre investigative comuni, composte da investigatori e/o magistrati di diversi Stati membri per la conduzione di un'inchiesta che interessi più Stati e richieda un'azione coordinata e concertata tra le autorità inquirenti degli stessi. La disposizione regolamenta le forme di collaborazione investigativa già previste dall'art. 32 T.F.Ue. Le squadre investigative possono operare solo negli Stati membri che abbiano propri componenti in essa e, in ragione della salvaguardia dl principio di sovranità nazionale, sono soggette alla direzione dei rappresentanti dello Stato membro e agiscono in conformità con la legge nazionale dello Stato membro in cui si trova ad intervenire.

Tali modalità di cooperazione investigativa sono disciplinate dal decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 34, recante Norme di attuazione della decisione quadro 2002/465/Gai del Consiglio, del 13 giugno 2002, la cui disciplina è espressamente richiamata dal decreto legislativo in esame.

In base alle modalità organizzative e operative descritte dall'articolo in esame, ciascuna squadra investigativa è costituita per uno scopo determinato e ha durata limitata nel tempo, che può essere prorogata con il consenso di tutti gli Stati interessati. Alle équipes possono partecipare anche soggetti diversi dai rappresentanti degli Stati membri presenti in essa, oltre che agenti di Stati terzi o di organismi internazionali, quali gli agenti di Europol, indicati dalla Convenzione con il termine rappresentanti di organismi istituiti ai sensi del trattato sull'Unione europea.

In via generale, ove non si provveda secondo le forme della costituzione di una squadra investigativa comune, le modalità di partecipazione dell'autorità di emissione per tramite di un proprio funzionario sono liberamente concordate in via preventiva con il procuratore della Repubblica, tenuto conto di quanto eventualmente disposto dal giudice per le indagini preliminari, ove sia stato richiesto un intervento autorizzativo dell'esecuzione dell'ordine di indagine.

Tale forma di cooperazione, disegnata come modalità di assistenza diretta, è priva di particolari vincoli di forma – pur se quanto concordato tra le autorità diviene oggetto del decreto di esecuzione – onde consentire un immediato ed efficace svolgimento all'attività investigativa.

L'accordo tra le autorità disciplina anche lo status e la responsabilità dei funzionari stranieri impiegati in territorio nazionale, secondo quanto già previsto dal citato decreto legislativo 34 del 2016.

Lo Stato sul cui territorio si svolge l'attività di ricerca e di acquisizione della prova assume la responsabilità civile per i danni causati a terzi dal rappresentante dello Stato di emissione che abbia preso parte alle attività investigative nel territorio nazionale, che assume la qualifica di pubblico ufficiale anche agli effetti della legge penale. Viene fatto salvo il diritto di rivalsa nei confronti dello Stato Parte di nazionalità, sussistendo un obbligo a carico di questo di tenere indenne lo Stato di esecuzione delle somme eventualmente anticipate a titolo di risarcimento.

Il trasferimento delle prove

L'esplicito richiamo ad una serrata tempistica dell'esecuzione dell'ordine di indagine, che è caratterizzata dalla «stessa celerità e priorità usate in un caso interno analogo» – e comunque entro comunque entro 90 giorni dall'adozione della decisione – si ritrova nel procedimento di trasferimento delle prove cui è tenuta l'autorità giudiziaria di esecuzione. Questa deve, infatti, trasferire all'autorità di emissione senza ritardo (la direttiva prevede che il ritardo non debba essere indebito) le prove acquisite o già in suo possesso, nella specie, i verbali degli atti compiuti, i documenti e le cose oggetto della richiesta, nonché i verbali di prove o gli atti acquisiti in altro procedimento (art. 12). La locuzione senza ritardo indica di per sé l'assenza di qualsiasi iato tra acquisizione e trasferimento.

La possibilità di un trasferimento “immediato” delle prove – prevista dalla direttiva 41/2014/Ue in caso di esplicita richiesta contenuta nell'Oei ed ove consentita dalla legislazione nazionale dello Stato di esecuzione – si è tradotta in sede di attuazione con la previsione di una trasmissione mediante consegna diretta al rappresentante dell'autorità competente dello Stato di emissione, nei casi di partecipazione diretta all'esecuzione dell'Oei previsti dall'art. 8.

La trasmissione o consegna diretta dei mezzi di prova raccolti deve avvenire, in ogni caso, attraverso un formale passaggio ed è documentata da una attestazione scritta in tal senso, che assume la forma del verbale delle operazioni.

Quando si tratti di beni oggetto di sequestro, in quanto corpo del reato o comunque cose pertinenti al reato, è consentito il trasferimento temporaneo degli stessi alla autorità di emissione, ove risponda a documentate necessità di indagine.

Il trasferimento temporaneo dei beni in sequestro è soggetto alla condizione che con esso non si realizzi una situazione di «impedimento alla spedita trattazione del procedimento» ed è improntato a finalità di acquisizione probatoria.

La valutazione cui è chiamato il procuratore della Repubblica è essenzialmente di opportunità del trasferimento temporaneo del bene oggetto di Oei alla autorità giudiziaria emittente l'ordine, in relazione alle esigenze del procedimento penale nel quale il provvedimento di acquisizione coattiva è stato eseguito.

La ratio della norma è quella di contemperare l'interesse dell'autorità di emissione alla acquisizione temporanea del mezzo di prova con quello delle esigenze processuali e di contenimento dei tempi del procedimento penale in cui risulta disposto il sequestro del corpo del reato.

La disposizione supera quella di cui all'art. 10 del d.lgs. 52 del 2017, attuativo della Convenzione di Bruxelles del 2000, che disciplina i casi di sequestro e la restituzione dei beni compendio di reato su richiesta di uno Stato Parte, nonché alle disposizioni del d.lgs. 35 del 2016, con cui è stata attuata la decisione quadro 2003/577/Gai, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio, che consente all'autorità di uno Stato membro di acquisire la disponibilità di un bene di cui conosca la localizzazione attraverso la richiesta di reciproco riconoscimento del provvedimento ablativo, in deroga alle disposizioni in tema di assistenza previste dalla suddetta Convenzione.

Onde favorire il più ampio contemperamento delle esigenze investigative potenzialmente configgenti, le modalità attuative del trasferimento temporaneo e la determinazione del termine per la restituzione del bene in sequestro sono rimesse ad appositi accordi, in forma libera, che devono intercorrere tra le autorità giudiziarie interessate. Il termine per la restituzione deve avere riguardo alle esigenze del procedimento penale in corso.

Ovviamente, ove nel procedimento penale in cui sia stato disposto il sequestro sia già stato esercitata l'azione penale, in ragione della mutata pendenza del corpo del reato, la decisione sul trasferimento temporaneo è attribuita al giudice che procede, al quale il procuratore della Repubblica deve richiedere l'autorizzazione.

La norma (art. 12) prevede che il giudice provveda «dopo aver sentito le parti». In assenza di particolari forme processuali di attuazione può ritenersi che la forma più idonea ad assumere la decisione, ove non penda una fase dibattimentale, sia quella del procedimento camerale generale di cui all'art.127 c.p.p., che consente un contraddittorio delle parti interessate sulla richiesta di trasferimento temporaneo formulata dal P.M.

Le impugnazioni

L'art. 14 della direttiva 41/2014/Ue impone agli Stati Membri di garantire ad ogni soggetto interessato la facoltà di attivare nei confronti della decisione recettiva dell'Oei gli stessi mezzi di impugnazione disponibili nella legislazione nazionale avverso un atto di indagine analogo a quello richiesto. Si tratta di un principio speculare a quello che impone allo Stato di esecuzione di provvedere al riconoscimento ed alla materiale attuazione dell'attività investigativa alle medesime condizioni di garanzia e forme previste dall'ordinamento interno per atti di analoga tipologia di quelli disposti con l'emissione di Oei.

La ratio è quella di pervenire ad una piena estensione all'attività oggetto di Oei delle garanzie procedimentali, ivi comprese quelle relative alla possibilità di impugnazione, previste dall'ordinamento interno per gli atti di acquisizione probatoria disposti direttamente dall'autorità giudiziaria.

L'impugnazione ha ad oggetto il decreto di riconoscimento adottato dal procuratore della Repubblica nei casi in cui l'attività di acquisizione probatoria disposta mediante ordine di indagine comporti la necessaria comunicazione dell'atto investigativo da disporsi o disposto alla persona sottoposta alle indagini, in quanto atti “garantiti”, quali quelli che richiedono la necessaria la partecipazione del soggetto indagato ovvero la presenza o assistenza del suo difensore.

All'impugnazione del decreto di riconoscimento è legittimato il soggetto indagato ed il suo difensore nel termine di 5 giorni dalla comunicazione (preventiva o contestuale all'esecuzione dell'atto).

Il rimedio impugnatorio assume la forma della opposizione al giudice per le indagini preliminari, che provvede alla decisione con ordinanza, sentito il procuratore della Repubblica. Il provvedimento decisorio è soggetto a comunicazione al p.m. procedente e notifica all'interessato.

La norma non indica ulteriori particolari forme procedimentali che realizzino il pieno contraddittorio con la persona soggetta ad indagini. Ne deriva che l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, investito direttamente della opposizione al decreto di riconoscimento, è assunta in camera di consiglio, senza instaurazione di una fase di contraddittorio formale, ed è soggetta all'unico obbligo di richiesta del parere del P.M.

Appare evidente che, decorrendo il termine per l'impugnazione dal momento in cui il titolare del diritto ha conoscenza della decisione, eventualmente attraverso l'esecuzione dell'atto di indagine, la fruibilità del rimedio è rinviata ad un momento successivo, ma la possibilità di opposizione coniuga in ogni caso il diritto di difesa con la necessità di garantire la segretezza delle indagini.

Nell'ambito delle possibilità offerte dalla direttiva, che impone agli Stati di consentire l'impugnabilità della decisione dell'autorità giudiziaria di riconoscimento, l'opzione del Legislatore per il rimedio della opposizione è funzionale alla previsione di un rimedio impugnatorio generale, ove il diritto interno non contempli altri specifici mezzi. Si tratta di una chance ulteriore di tutela, atteso che l'attività richiesta tramite l'Oei è, nella maggior parte dei casi, in sé non impugnabile, fatta eccezione per il sequestro probatorio.

Le decisioni assunte dal giudice sull'opposizione proposta dall'indagato sono sempre soggette all'obbligo di tempestiva (senza ritardo) comunicazione all'autorità di emissione, con le formalità libere previste dall'art. 6.

L'accoglimento dell'opposizione comporta l'annullamento del decreto di riconoscimento e non può darsi luogo allo svolgimento dell'attività investigativa disposta con il decreto di riconoscimento.

Le ragioni di accoglimento dell'opposizione corrispondono a quelle per le quali il giudice per le indagini preliminari pronuncia provvedimento di diniego di riconoscimento dell'Oei nei casi di richiesta di atto autorizzativo ex art. 5 del decreto legislativo. La valutazione del giudice per le indagini preliminari ha ad oggetto la verifica della sussistenza degli elementi ostativi che legittimano il rifiuto di esecuzione ex art. 10.

Di contro, devono ritenersi non ammissibili eventuali motivi di opposizione concernenti il merito dell'Oei, ossia la sua opportunità e rilevanza nel procedimento nel quale l'ordine è stato emesso.

Principio generale è che le ragioni di merito dell'Oei possono essere fatte valere soltanto mediante un'impugnazione presentata nello Stato di emissione ai sensi dell'art. 14 della dir. 41/2014/Ue, che fa, tuttavia, salvi i diritti fondamentali nello Stato di esecuzione (la direttiva recita, sul punto, «mediante un'azione introdotta nello Stato di emissione»). Tali sono ad esempio, le questioni afferenti alle nullità e inutilizzabilità, che attengono al merito dell'atto assunto.

La proposizione del giudizio di opposizione non ha effetto sospensivo dell'esecuzione dell'ordine di indagine, che, ove non contestuale alla comunicazione, può essere medio tempore compiuto, e della successiva trasmissione dei risultati delle attività svolte all'autorità di emissione.

La norma non concede un potere di sospensiva al giudice investito dell'opposizione ma attribuisce, per mezzo della clausola di riserva, un ampio potere discrezionale al procuratore della Repubblica di ritardare la trasmissione immediata dei risultati investigativi acquisiti, alla luce del potenziale «grave e irreparabile danno alla persona sottoposta alle indagini, all'imputato o alla persona comunque interessata dal compimento dell'atto».

La clausola evidenzia la particolare attenzione del Legislatore alle garanzie dell'imputato o delle parti coinvolte nell'attività investigativa svolta: la scelta di fondo di impedire forme surrettizie di dilazione della trasmissione degli esiti delle indagini, cui risponde la esclusione dell'effetto sospensivo alla presentazione dell'opposizione al decreto, trova contemperamento nella possibilità per il P.M. di provvedere a ritardare la trasmissione.

Infine, per il caso in cui il decreto di riconoscimento dell'Oei abbia ad oggetto l'esecuzione di un sequestro a fini di prova è prevista una particolare ipotesi di opposizione al decreto di riconoscimento.

A tale mezzo di gravame sono legittimati, infatti, oltre alla persona sottoposta alle indagini o imputata ed il suo difensore, anche il terzo interessato, quale soggetto al quale il bene, mezzo di prova, sia stato sequestrato, nonché quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.

L'ampliamento del novero dei soggetti legittimati alla opposizione, con estensione anche ai terzi interessati alla restituzione, consente di apprestare una forma di tutela che contemperi il diritto del proprietario del bene con quello dei terzi in buona fede. In tal senso, la previsione in tema di Oei è destinata a sostituire la disciplina dell'art. 10 del d.lgs. 52 del 2017, in tema di assistenza giudiziaria in materia penale, per i casi di sequestro di cose da restituire all'avente diritto.

Del resto, l'ordinamento interno riconosce all'indagato, come al terzo che vanti diritti sulla cosa oggetto di vincolo, il diritto al riesame e all'appello, in caso di diniego di restituzione.

La peculiare disciplina dei beni soggetti a sequestro consente la possibilità del ricorso per cassazione avverso la decisione del giudice per il solo vizio della violazione di legge. Al ricorso, da esperirsi nel termine di dieci giorni dalla comunicazione o notificazione della decisione sulla opposizione, è legittimato sia il pubblico ministero, nel caso di annullamento del decreto, sia gli interessati, nei casi di rigetto del gravame.

La scelta di estendere la facoltà di ricorso in sede di legittimità anche avverso l'ordinanza resa all'esito dell'opposizione risponde, peraltro, al fine di adeguare le modalità previste in tema di impugnazioni dal diritto interno all'atto richiesto dall'estero.

Al fine di un contenimento dei tempi procedimentali, per la decisione in sede di legittimità è previsto un termine (ordinatorio) di trenta giorni dalla presentazione del ricorso, che in ogni caso non ha effetto sospensivo dell'esecuzione dell'attività disposta con il riconoscimento dell'Oei.

Di contro, quando il sequestro è disposto all'estero su richiesta dell'autorità italiana è fatta salva l'impugnazione mediante riesame avverso l'ordine di indagine, provvedimento esplicito dell'autorità giudiziaria italiana, davanti alla quale va fatta valere ogni contestazione circa la sussistenza delle condizioni legittimanti l'adozione e il mantenimento della misura, secondo gli orientamenti già espressi dalla giurisprudenza nazionale che in tema di richiesta di assistenza giudiziaria all'estero per l'esecuzione di un sequestro probatorio, attuata con il vecchio modello rogatoriale, postulava comunque un provvedimento implicito dell'autorità locale.

Il trattamento dei dati e l'imputazione delle spese

I dati inerenti allo svolgimento delle attività relative all'emissione, alla trasmissione, al riconoscimento ed all'esecuzione dell'ordine di indagine e relativi alle prove in tal modo acquisite sono trattati secondo le disposizioni contenute nel decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, per il trattamento dei dati personali, per effetto del rinvio operato dall'art. 3 del decreto legislativo alle «disposizioni legislative che regolano il trattamento dei dati giudiziari e in conformità agli atti normativi dell'Unione europea e alle Convenzioni del Consiglio d'Europa».

In particolare, secondo la Convenzione europea (Titolo IV, dedicato alla protezione dei dati personali oggetto di scambio), i dati processuali sensibili sono direttamente utilizzabili da parte delle autorità dello Stato ricevente e ciò potrà avvenire, oltre che in relazione ai procedimenti penali in cui è stato emesso l'Oei, anche nel quadro di qualsiasi procedimento giudiziario od amministrativo connesso al procedimento principale od ai fini della prevenzione di un pericolo grave ed immediato per la sicurezza pubblica, restando esclusa qualsiasi altra ipotesi di utilizzo, salva la prestazione del consenso della persona interessata.

Pur se l'attuazione della Convenzione è soggetta alla clausola della invarianza finanziaria, le spese e gli oneri sostenuti per lo svolgimento dell'attività di esecuzione dell'Oei, in quanto riconosciuta dall'autorità giudiziaria italiana, sono a carico dello Stato. È prevista, tuttavia, la possibilità di un differente regolamento delle spese, che possono essere condivise tra lo Stato di emissione e lo Stato italiano quando si presentino di rilevante entità. A tal fine il procuratore della Repubblica è tenuto ad informare l'autorità di emissione e l'autorità centrale al fine di consentire un accordo sulla ripartizione della spesa per l'attività oggetto di Oei.

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