Incostituzionale il rigido automatismo sanzionatorio dell'art. 99, comma 5, c.p.

Redazione Scientifica
01 Agosto 2015

La Corte costituzionale ha dichiarato la «illegittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), limitatamente alle parole «è obbligatorio e,», perché contrastante con gli artt. 3, e 27 Cost.

La Corte costituzionale, con sentenza deliberata l'8 luglio scorso e depositata il 23 luglio, n. 185, Pres. Criscuolo, Rel. Lattanzi, ha dichiarato la «illegittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), limitatamente alle parole «è obbligatorio e,», perché contrastante con gli artt. 3, e 27, Cost.

La Consulta accoglie tutte le censure di incostituzionalità sollevate dai giudici remittenti della V Sezione penale della Cassazione il 10 settembre 2014 (ud. 3 luglio 2014), con ordinanza n. 37443 (in Diritto Penale e Processo, n.1/2015, p. 47, con nota di Rocchi F., «Semel malus semper praesumitur esse malus»: dubbi di legittimità costituzionale del regime obbligatorio di una recidiva generica), ritenendo che il “rigido automatismo sanzionatorio” cui dà luogo la norma viola il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. sotto un duplice profilo: quello della ragionevolezza della previsione di una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza e pericolosità sociale del reo e quello del divieto di medesimo trattamento di situazioni diverse.

La Corte ha rilevato infatti che l'automatico e obbligatorio aumento di pena previsto dal comma 5 dell'art. 99 c.p. collegato esclusivamente al dato formale del titolo di reato commesso «è del tutto privo di ragionevolezza, perché inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo».

La norma dunque introdurrebbe una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza e pericolosità non suffragata da dati di esperienza generalizzati, riassunti nella nota formula dell'‟id quod plerumque accidit, in contrasto con il principio di ragionevolezza, arrivando a parificare nel trattamento obbligatorio situazioni personali e ipotesi di recidiva tra loro diverse, in violazione dell'art. 3 Cost.

Inoltre, sottolinea la Corte, la preclusione dell'accertamento della sussistenza nel caso concreto delle condizioni che dovrebbero legittimare l'applicazione della recidiva, per la maggiore colpevolezza o l'accentuata pericolosità sociale del reo, «può rendere la pena palesemente sproporzionata, e dunque avvertita come ingiusta dal condannato, vanificandone la finalità rieducativa prevista appunto dall'art. 27, terzo comma, Cost.».

La Corte ha così eliminato dal nostro ordinamento penale l'unica forma obbligatoria di recidiva prevista dal novellato art. 99 c.p., con la conseguenza che, anche ove venga commesso dal già reo un reato inserito nel catalogo di quelli di “grave allarme sociale”, il giudice dovrà valutare se, alla luce di un puntuale riscontro dell´accentuata colpevolezza e di una peculiare pericolosità meriti una risposta punitiva aggravata.

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