Patrocinio a spese dello Stato: la liquidazione del compenso per il difensore nominato

Saverio Sapia
14 Dicembre 2015

È l'art. 82 del Testo unico d.P.R. 115/2002 a disciplinare e regolamentare l'iter di liquidazione del compenso in favore del difensore nominato dal beneficiario del patrocinio. La competenza spetta all'Autorità giudiziaria titolare del procedimento in oggetto e decide mediante decreto motivato. Nella fase delle indagini preliminari la determinazione sarà effettuata dal giudice per le indagini preliminari e, sino alla fase predibattimentale di rinvio a giudizio, compreso l'incidente probatorio e l'attività dinanzi il tribunale del riesame.
Abstract

È l'art. 82 del Testo unico d.P.R. 115/2002 a disciplinare e regolamentare l'iter di liquidazione del compenso in favore del difensore nominato dal beneficiario del patrocinio. La competenza spetta all'Autorità giudiziaria titolare del procedimento in oggetto e decide mediante decreto motivato. Nella fase delle indagini preliminari la determinazione sarà effettuata dal giudice per le indagini preliminari e, sino alla fase predibattimentale di rinvio a giudizio, compreso l'incidente probatorio e l'attività dinanzi il tribunale del riesame.

La determinazione del compenso

La norma citata statuisce che la liquidazione venga effettuata in modo da preservare il limite medio delle tariffe professionali vigenti con esclusione tassativa di ulteriore riduzione prevista, come invece avviene, ex art. 130, per i giudizi civili ed amministrativi. Tale disparità, comprensibile vista la natura dei giudizi non comparabili e dal bilanciamento dei valori in discorso, è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Consulta giuste ordinanze 29 luglio 2005 n. 350 e 18 maggio 2006 n. 201 di manifesta infondatezza della questione di illegittimità per contrasto con il principio di disparità di trattamento.

I generali criteri di determinazione hanno anche una genesi giurisprudenziale di legittimità e costituiscono parametri cui comunemente l'Autorità si ispira anche oltre i comuni criteri previsti dalla legge; infatti, a mo' di esempio si può menzionare la parte motiva della sentenza Cass. pen., Sez. III, 13 marzo 2002, n. 16081 che tra l'altro, riconosce alle udienza di mero rinvio il compenso per esame e studio, le partecipazioni alle udienze istruttorie retribuite sulla base del calcolo di ore e frazioni di ora di durata dell'attività. Comunque il nucleo di contrasto fra le esigenza di contenimento della spesa pubblica e le ragioni del ceto forense si è focalizzato sulla applicabilità delle tariffe professionali.

Il regime delle tariffe

Il previgente Decreto Ministeriale n.140/2012 prevedeva che le liquidazioni in favore del difensore fossero parametrite all'incidenza dell'attività rispetto al soggetto assistito e comunque gli importi venissero ridotti del 50% anche in materia penale. La successiva legge di stabilità 2014 di cui alla legge 27 dicembre 2013 n.147, introdusse nel Testo unico d.P.R. 115/2002 l'art. 106-bis che ulteriormente riduceva del 30% l'importo del compenso in favore dei difensori, consulenti ed investigatori operanti in regime di gratuito patrocinio. Detta previsione di riduzione fu recepita integralmente dal solo schema della nuova disciplina in materia di tariffe professionali. Il nodo interpretativo si è ulteriormente amplificato poiché tale riduzione del 30% non è stata poi riprodotta nel corpo definitivo del D.M. n. 55/2014 pur essendo ancora presente nel Testo unico in virtù del non abrogato art. 106-bis Tu d.P.R. 115/2002. Dunque sono speculari due difformi modalità di determinazione, inerenti la riduzione del 30%, l'art. 106-bis Tu d.P.R. 115/2002 e il D.M. n. 55/2014 comportanti una evidente discrezionalità da parte del Giudice che comunemente applica la soluzione interpretativa restrittiva per i difensori, applicando ancora il vigente art. 106-bis Tu d.P.R. 115/2002.

I precedenti giurisprudenziali

Rilevante sul punto, è la controversia circa il profilo della natura giuridico/procedimentale dei provvedimenti in materia di liquidazione. Merita approfondimento un pronunciamento del giudice di ultima istanza che ha affrontato una tematica delicata circa l'applicazione dei principi propri dell'appello al gravame avverso decreto di liquidazione dei compensi. La vicenda storica trae fonte dalla statuizione del Presidente di Corte di appello, il quale in sede di reclamo avverso decreto di liquidazione, ha provveduto a revocare tout court il provvedimento sulle spese emesso dal giudice procedente. La peculiarità della decisione, che ha dato adìto al ricorrente di investire della questione la Corte di cassazione è che la decisione dell'alto magistrato risiede nel fatto che la revoca sia stata fondata sul mancato assolvimento di un onere probatorio a carico dell'istante (nella specie la indicazione del difensore nell'elenco detenuto dal Consiglio dell'Ordine) nulla riguardante le ragioni logico-fattuali addotte nell'atto di reclamo e relative alla determinazione ed ai criteri del compenso professionale. Il motivi di ricorso per Cassazione, che attiene all'argomento in oggetto verte sul vizio di ultrapetizione, in cui è incorso il presidente della Corte di appello, il quale, si è soffermato su un thema decidendum già risolto positivamente in prima cure, e dunque ometteva di affrontare l'esame della domanda e valutava aspetti non censurati e non proposti dal reclamante; il secondo motivo per completezza di informazione verteva sulla carenza di obblighi di allegazione per legge a carico del richiedente.

La Corte di cassazione, Sez. IV con decisione n. 1686 del 14 gennaio 2008, ha ritenuto assorbente il primo motivo e si è soffermata sulla controversa ammissione del principio di reformatio in peius in materia di impugnazione di decreti di liquidazione da gratuito patrocinio.

Un primo orientamento (Cass. pen., Sez.I, 16 settembre 2004) non attribuisce al procedimento natura di impugnazione in senso tecnico e dunque non ammette l'applicazione del principio devolutivo e del divieto di reformatio in peius. Diametralmente opposta è altro indirizzo giurisprudenziale di analogo pregio, che ritiene illegittimo rigettare la domanda di liquidazione in sede di gravame sulla base dei requisiti per i quali il provvedimento impugnato era stato emesso, con ciò operando una evidente reformatio in peius non prevista.

La Corte di cassazione, dunque, con sentenza della IV Sezione del 21 ottobre 2003, ha configurato nel caso di specie un atto impugnativo cui conseguono i principi e le regole proprie della devoluzione e finalizzato ad una pronuncia più favorevole.

Ulteriore humus concettuale e parzialmente chiarificatore è stato fornito da una pregevole pronuncia della Corte di cassazione a sezione unite, che con decisione del 30 gennaio 2007 ha affrontato il tema: secondo i giudici di legittimità il Testo unico d.P.R. 115/2002 richiama espressamente la l. 794/1942, in particolare gli artt. 28 e 29 (in materia di recupero crediti professionali civilistici) così profilando la natura mista del procedimento in oggetto. Esso osserva il rito processual-penalistico in ordine alla competenza, e civilistico circa i termini di opposizione, la legittimazione e l'attribuzione delle spese.

Non sono trascurabili, perché apparentemente confortano le soluzioni prospettate ma ad una attenta lettura attribuiscono ulteriori dubbi interpretativi, due pronunciamenti a Sezioni unite: Cass. pen., Sez. unite, 24 maggio 2004 e 24 novembre 2004.

In conclusione

Il quadro ermeneutico induce a considerare il procedimento per ammissione al gratuito patrocinio marginale e collaterale al rapporto processuale penale e deve essere coordinato, per quanto non previsto dal Testo unico, dalla disciplina di quest'ultimo di cui costituisce elemento accessorio ed incidentale. Ovviamente la visione prospettata riverbera i suoi effetti anche sulla validità ed efficacia dell'iter di liquidazione degli onorari.

Pertanto alla luce dei qualificati contributi ed approfondimenti, così come la sentenza n. 1686 che conferma la compatibilità del subprocedimento con i canoni processulcivilistici evocati dalla legge n. 794/1942 si può correttamente intendere il procedimento di liquidazione come sottoposto al principio del divieto di reformatio in peius.

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