Misure di prevenzione. Obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali per il “soggetto pericoloso”
15 Maggio 2017
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal tribunale di Palermo, dell'art. 31, comma 1, l. 646/1982, Disposizioni in materia di prevenzione di carattere patrimoniale, nella parte in cui si riferisce anche alle variazioni patrimoniali compiute con atti pubblici dei quali è prevista la trascrizione nei registri immobiliari e la registrazione ai fini fiscali con riferimento all'art. 25, comma 2, Cost. Il giudice delle legge ha, altresì dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 7, cod. antimafia, nella parte in cui si riferisce anche alle variazioni patrimoniali compiute con atti pubblici dei quali è prevista la trascrizione nei registri immobiliari e la registrazione a fini fiscali.
La Corte precisa anzitutto che il menzionato l'art. 31 punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 10.329 a 20.658 euro e dispone la confisca obbligatoria dei beni acquistati nonché del corrispettivo dell'alienazione nei confronti di coloro che, condannati con sentenza definitiva per delitti di criminalità organizzata o per trasferimento fraudolento di valori ovvero sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione personale ai sensi del cod. antimafia abbiano omesso di comunicare al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale tutte la variazioni nell'entità e nella composizione del loro patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14 ai sensi dell'art. 30 l. 646/1982. Gli articoli 30 e 31 cit. sono ora trasfusi, rispettivamente, negli articoli 80 e 76, comma 7, cod. antimafia, limitatamente alle persone sottoposte a misure di prevenzione, pertanto le disposizioni di cui alla legge 646/1982 sono in vigore per i soli condannati. Secondo i giudici delle leggi la questione è da dichiararsi infondata in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, i fatti presi in considerazione dalle norme censurate come reati non sono inoffensivi. Si legge infatti nelle motivazioni della sentenza che « il bene giuridico protetto dall'art. 31, comma 1, della legge n. 646 del 1982 e dall'art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 è rappresentato dall'ordine pubblico, perché l'obbligo di comunicazione imposto tende, da un lato, a garantire che il nucleo di polizia tributaria venga effettivamente e sollecitamente a conoscenza della variazione intervenuta nel patrimonio di soggetti di accertata pericolosità sociale (e non semplicemente che la possa conoscere, effettuando indagini di propria iniziativa); dall'altro, a rendere obbligatoria per l'amministrazione una verifica altrimenti solo eventuale […] Nel sistema congegnato dal legislatore con gli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, al contrario di quanto ha sostenuto il giudice rimettente, la mancanza della comunicazione della variazione patrimoniale al nucleo di polizia tributaria che ne è destinatario risulta tutt'altro che priva di offensività. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha infatti più volte negato rilevanza, ai fini del perfezionamento del reato, alla veste pubblica o meno che abbia assunto l'atto dispositivo del soggetto obbligato alla comunicazione, in quanto scopo della norma incriminatrice è quello di permettere l'esercizio di un controllo patrimoniale penetrante e analitico della polizia tributaria «nei confronti di persone ritenute particolarmente pericolose onde accertare per tempo se le variazioni patrimoniali dipendano o meno dall'eventuale svolgimento di attività illecite » (Cass. Sez. V, 3 dicembre 2015, n. 13077/2016). Per raggiungere questo scopo occorre un monitoraggio costante sui beni delle persone pericolose gravate dal legislatore dell'obbligo in questione; monitoraggio che non può essere assicurato dalla registrazione e dalla trascrizione degli atti che determinano le variazioni patrimoniali ». |