Illecito amministrativo da reato. Citazione a giudizio e prescrizione

Gianluca Bergamaschi
15 Ottobre 2015

Se la contestazione dell'illecito amministrativo da reato viene effettuata con decreto di citazione a giudizio, anziché nelle forme ex art. 405 c.p.p., richiamato dall'art. 22 d.lgs 231/2001 mediante il rinvio all'art. 59 del citato d.lgs, debba comunque ritenersi interrotta la prescrizione delle sanzioni amministrative da reato?

Se la contestazione dell'illecito amministrativo da reato viene effettuata con decreto di citazione a giudizio, anziché nelle forme ex art. 405 c.p.p. richiamato dall'art. 22 d.lgs 231/2001 mediante il rinvio all'art. 59 del citato d.lgs, debba comunque ritenersi interrotta la prescrizione delle sanzioni amministrative da reato?

La questione, in generale, non è nuova giacché verte, sostanzialmente, sulla tassatività o meno degli atti interruttivi della prescrizione, o meglio degli elenchi normativi che li comminano.

In tempi relativamente recenti si pose lo stesso problema per l'atto di avviso di fine indagini ex art. 415-bis c.p.p., giacché, per il mancato coordinamento normativo, tale atto non venne inserito nell'art. 160 c.p., che contiene appunto l'elencazione degli atti che hanno l'effetto di interrompere il corso della prescrizione penale ordinaria e di farla decorrere ex novo, pur nei limiti massimi previsti dall'art. 161 c.p..

Come è noto, pur dopo qualche tentennamento, la giurisprudenza prevalente della suprema Corte di cassazione ha optato per la tassatività dell'elenco degli atti contenuto nell'art. 160 c.p., cosicché all'avviso di fine indagini non viene riconosciuto l'effetto d'interrompere la prescrizione penale.

Applicando tale principio al caso di specie, la questione potrebbe dirsi rapidamente risolta, perché, dato che l'art. 22 del d.lgs. 231/2001 individua gli atti interruttivi della prescrizione (quinquennale) della responsabilità amministrativa degli enti, nella contestazione dell'illecito a norma dell'art. 59 e quest'ultimo, a sua volta, prevede che la contestazione debba essere contenuta in uno degli atti indicati dall'art. 405 c.p.p., poiché tale ultimo articolo non contempla il decreto di citazione (diretta) a giudizio, a detto atto non può essere riconosciuta capacità interruttiva della prescrizione, stante la ritenuta tassatività dell'elenco medesimo, assimilabile sostanzialmente e funzionalmente a quello dell'art. 160 c.p., per effetto dei due rimandi normativi di cui sopra.

Sebbene tale soluzione sia da preferirsi, specie sul piano squisitamente garantistico non è, tuttavia, possibile escludere una interpretazione alternativa, ossia tendente a non conferire natura tassativa all'elenco contenuto nell'art. 405 c.p.p..

Questo perché l'elenco degli atti contenuto nel predetto articolo, risente della sistematica sequenziale scelta dal legislatore, il quale ha regolato la procedura avendo come modello base il rito ordinario a citazione indiretta, ossia contemplante l'udienza preliminare, mentre ha regolato a parte (artt. 549 e ss.) la citazione indiretta, nel qual caso, però, all'art. 550 c.p.p., pacificamente conferisce al decreto di citazione diretta a giudizio lo stesso significato giuridico di chiusura della indagini, contestazione dell'imputazione ed esercizio dell'azione penale, proprio degli atti citati nell'art. 405 c.p.p..

Ora, se si considera che l'art. 34 del decreto cit. rinvia per intero, salva la clausola di compatibilità, al codice di procedura penale e, dunque, anche alla sua sistematica concettuale, e che l'art. 36 prevede l'osservanza della specifiche norme previste per le varie composizioni del tribunale, non è davvero possibile escludere una interpretazione “sostanzialistica” che assimili il decreto di citazione a giudizio agli altri atti contenuti nell'art. 405 c.p.p., pure per quanto concerne l'effetto interruttivo della prescrizione, anche perché ragionando diversamente e portando il ragionamento alle estreme conseguenze, si potrebbe addirittura arrivare a negare la possibilità stessa di contestare l'illecito amministrativo attraverso il decreto di citazione a giudizio ex art. 550 c.p.p., stante la sua assenza nell'elencazione dell'art. 405 c.p.p..

Come spesso capita, i silenzi, le imprecisioni e i mancati coordinamenti legislativi, siano essi dovuti a calcolo o sciatteria, lasciano all'interpretazione giurisdizionale uno spazio più ampio di quanto consentirebbe un sistema improntato alla discrezionalità vincolata del Giudice.

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