Le usanze religiose non giustificano la violazione delle norme sulla pubblica sicurezza
16 Maggio 2017
« In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l'identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l'integrazione non impone l'abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell'art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l'obbligo per l'immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone il rispetto e non è tollerabile che l'attaccamento a ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante. La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali confliggenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l'unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti a offendere ».
Con queste motivazioni la Corte di cassazione, Sez. I, sent. n. 24048, depositata il 15 maggio 2017, ha confermato la condanna alla pena di euro 2000 di ammenda per il reato di cui all'art. 4, l. 110/1975 nei confronti di un indiano sikh perché portava fuori dalla propria abitazione senza giustificato motivo, un coltello della lunghezza complessiva di cm 18,5 (kirpan), idoneo all'offesa. Tale reato, di natura contravvenzionale e punito a titolo di colpa, è escluso qualora ricorra un giustificato motivo; secondo la costante giurisprudenza di legittimità il giustificato motivo di cui al comma 2, art, 4 l. 110/1975 ricorre quando le esigenze dell'agente siano corrispondenti a regole relazionali lecite rapportate alla natura dell'oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell'accadimento e alla normale funzione dell'oggetto. Il ricorrente aveva invocato tale scriminante in ragione del suo credo religioso per essere il kirpan uno dei simboli della religioni monoteista sikh. Tale lettura non è stata condivisa dal Collegio che ha rigettato il ricorso e affermato il principio secondo cui: nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere. Spiegano infatti i giudici di legittimità che « nessun ostacolo viene in tal modo posto alla libertà di religione, al libero esercizio del culto e all'osservanza dei riti che non si rivelino contrari al buon costume. Proprio la libertà religiosa, garantita dall'articolo 19 invocato, incontra dei limiti, stabiliti dalla legislazione in vista della tutela di altre esigenze, tra cui quelle della pacifica convivenza e della sicurezza, compendiate nella formula dell'ordine pubblico » |