La riforma del diritto penale tributario. Uno sguardo d'insieme
16 Dicembre 2015
Abstract
Con il decreto legislativo n. 158 del 2015 si è dato corpo alla riforma del diritto penale tributario, intervenendo sul contenuto del decreto legislativo 74 del 2000. La riforma si pone in evidente continuità rispetto alla previgente disciplina, di cui prevalentemente modifica alcuni profili marginali, in dipendenza, essenzialmente, del cambiamento delle grandezze economiche interessate dai fatti di evasione: si pensi, ad esempio, all'intervento sulle soglie di punibilità. Quanto agli interventi di riforma di maggior rilievo, che pure non mancano, gli stessi non riscrivono le fattispecie delittuose interessate dalle innovazioni ma si limitano ad intervenire su singoli aspetti della disciplina rispetto ai quali, nel corso degli anni, la previgente normativa contenuta nel decreto legislativo del 2000 aveva mostrato necessità di integrazione o comunque aveva dato adito a dubbi interpretativi. In particolare, nella prassi la disciplina contenuta nel decreto 74 del 2000 aveva evidenziato la necessità di soddisfare, nel trattamento sanzionatorio da riservare alle condotte di evasione penalmente illecite, due esigenze, e cioè quella di proporzionalità della pena da comminare e quella della determinatezza e tassatività del precetto penale, essendosi riscontrata con riferimento ad alcuni reati tributari una eccessiva genericità nella descrizione della condotta vietata. Tenendo presente questi interessi, il legislatore, nel dettare la riforma – oltre ad articolare meglio i rapporti tra sistema sanzionatorio penale e sistema sanzionatorio amministrativo, regolati, come noto, dal principio di specialità – ha cercato soprattutto di ridurre l'area di intervento della sanzione penale ai soli casi connotati da un particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale, identificati, in particolare, nei comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto alle attività di controllo, riservando all'impianto sanzionatorio amministrativo la repressione di quelle condotte che si connotano, in linea di principio, per un disvalore diverso e minore. Di conseguenza, un'attenzione preminente – che prelude ad un tendenziale rafforzamento della tutela – è stata rivolta ai comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa e cioè, in sostanza, ai fatti connotati da una fraudolenza in senso oggettivo, che si estrinseca nel ricorso ad artifici atti ad ostacolare o a sviare l'azione di accertamento o esecutiva dell'amministrazione finanziaria. Al riguardo, la legislazione vigente prevedeva già diverse figure criminose riconducibili al paradigma considerato: si pensi ad esempio alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, d.lgs. 74 del 2000), alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3,d.lgs. 74 del 2000), all'emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8,d.lgs. 74 del 2000), alla sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11, comma 1, d.lgs. 74 del 2000), all'esibizione o la trasmissione di falsa documentazione (punita, unitamente all'ipotesi alternativa delle risposte non veritiere, dalla norma di cui all'art. 11,d.l. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla l. 214 del 2011), all'indebita compensazione (articolo 10-quaterd.lgs. 74 del 2000, che postula la sottrazione del contribuente al pagamento delle somme dovute tramite l'ostensione di crediti non spettanti o inesistenti). Non tutti questi illeciti sono stati oggetto di modifica ed anzi la riforma è intervenuta principalmente su uno solo di tali illeciti, ovvero il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui al citato art. 3 d.lgs. 74, la cui precedente configurazione è stata ritenuta eccessivamente restrittiva tanto sul versante soggettivo (trattandosi di reato proprio dei soli soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili), che su quello oggettivo (stante la particolare complessità dell'architettura del tipo criminoso, a struttura trifasica). Per quanto attiene, invece, ai fatti privi di connotati di fraudolenza in senso oggettivo, le modifiche intervenute hanno avuto un carattere tendenzialmente “mitigatore". Infatti, in proposito può riscontrarsi – non tanto una riduzione delle sanzioni per le fattispecie meno gravi, quanto – la previsione di apposite circostanze attenuanti ed addirittura di cause di non punibilità conseguenti all'adempimento del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento penale, nonché l'applicazione di sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilità – è stata ad esempio introdotta una soglia di punibilità per i fatti di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis, del d.lgs. 74 del 2000) e di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (articolo 10-ter, d.lgs. 74 del 2000), al di sotto della quale il ricorso a misure sanzionatorie di tipo amministrativo, peraltro già previste dalla legislazione vigente, è apparso proporzionato alle caratteristiche dell'illecito. Quanto al delitto di dichiarazione infedele – cui presumibilmente è stato dedicato l'intervento di maggior rilievo, anche in ragione delle connessioni che tale fattispecie presenta rispetto alla tematica della rilevanza penale del cosiddetto abuso del diritto – lo stesso è stato ridisegnato in maniera da escludere la rilevanza penale delle operazioni di ordine classificatorio aventi ad oggetto elementi attivi o passivi effettivamente esistenti, così da limitare tendenzialmente la sfera applicativa della figura criminosa, priva di connotati di fraudolenza, al solo mendacio su dati oggettivi e reali. Le modifiche delle fattispecie criminose
Come detto, le modifiche alla disciplina contenuta nel decreto legislativo 74 del 2000 possono articolarsi intorno a due poli, a seconda della rilevanza che si intende riconoscere alle innovazioni ovvero a seconda che la fattispecie criminosa venga ad essere completamente riscritta a seguito della riforma o si sia invece in presenza di novità di scarso rilievo; altre modifiche poi concernono profili della disciplina penale tributaria non riferite direttamente alla configurazione delle fattispecie di reato. Oggetto di un vero e proprio rivolgimento sono stati i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di dichiarazione infedele: la riforma infatti ha letteralmente riscritto queste fattispecie, precisandone i contorni, risolvendo alcune controversie interpretative che erano insorte nella vigenza della precedente disciplina e aumentando il carico sanzionatorio. Con riferimento al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all'art. 3, d.lgs 74 del 2000:
Con riferimento al delitto di omessa dichiarazione di cui all'art. 4, d.lgs. 74 del 2000, fra le innovazioni più rilevanti si evidenzia:
Non irrilevanti appaiono anche le modifiche apportate all'art. 5 d.lgs. 74 del 2000, in tema di omessa dichiarazione. In realtà, di per sé la struttura della fattispecie non si è modificata ma, tuttavia, è stato introdotto un nuovo comma, che sanziona ex novo anche l'omessa dichiarazione del sostituto d'imposta (ed infatti alla lett. c) dell'art. 1 d.lgs. 74 del 2000 si specifica che per dichiarazioni ai fini della legge penale s'intendono anche quelle presentate dai sostituti d'imposta, nei casi previsti dalla legge) – e contestualmente è stata ampliata la portata della fattispecie di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74 del 2000, venendo il mancato versamento riferito non solo alle ritenute certificate ma anche alle ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione, con il che la prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato versamento) può ora prescindere dalle certificazioni rilasciate al sostituito, potendo in ipotesi bastare che essa risulti dalla dichiarazione. Fra le innovazioni di minor rilievo che hanno interessato le altre fattispecie criminose, va segnalato che in alcuni casi si è semplicemente modificato, rendendolo più severo, il trattamento sanzionatorio. È il caso del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'art. 10, d.lgs. 74 del 2000, ora punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, o del delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, il cui trattamento sanzionatorio è diverso a seconda che l'indebita compensazione riguardi crediti non spettanti (nel qual caso la pena rimane quella attuale della reclusione da sei mesi a due anni) oppure crediti inesistenti (nel qual caso la pena diviene quella della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni). In altri casi, invece, si è assistito – come detto – ad una mitigazione delle conseguenze penali dei diversi illeciti. In particolare, tale risultato è stato raggiunto con l'innalzamento delle soglie di punibilità per i reati di mancato versamento degli acconti Iva e mancato versamento delle ritenute di cuiagli artt.10-bis e 10-ter, d.lgs.74 del 2000: in questo modo viene ridotto l'ambito di rilevanza penale di tali fattispecie, residuando l'operatività delle sanzioni amministrative per una cospicua parte di condotte illecite, in relazione alle quali il legislatore, evidentemente, ha ritenuto che la forza deterrente della pena non sia (più) necessaria. Ancora più modesta, poi, è la modifica del reato di utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti di cui all'art. 2, d.lgs. 74 del 2000, dalla cui formulazione è eliminata la parola annuali, venendo di conseguenza ad ampliarsi il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini della configurabilità del reato. Le modifiche in tema di circostanze aggravanti, cause di non punibilità e in materia di confisca e sequestro
Come detto, il legislatore è inoltre intervenuto su altri profili della disciplina degli illeciti penali tributari, che non interessano la costruzione di singoli delitti ma che riguardano tutti i reati in materia tributaria. Va in proposito sottolineato che è stato introdotto un nuovo art. 12-bis, il quale nel primo comma ripropone il dettato normativo contenuto nell'art. 1, comma 143, della l. 244 del 2007 – che a sua volta richiamava la disposizione di cui all'art. 322-ter c.p. – in tema di confisca per equivalente: la particolare rilevanza di questo istituto, che rappresenta il principale strumento cui la giustizia penale fa ricorso per contrastare in maniera significativa il fenomeno dell'evasione fiscale, rende apprezzabile la scelta del legislatore da un lato di riformulare la norma in maniera da renderne la lettura più agevole – senza costringere l'interprete a rimandi fra diverse disposizioni presenti in vari ambiti dell'ordinamento penale – e dall'altro di disciplinare l'istituto all'interno del testo normativo che gli è proprio, ovvero nell'ambito del decreto dedicato agli illeciti tributari. Inoltre, l'intervento non si è risolto nella mera riscrittura della previgente disciplina, essendo presente anche un contenuto di novità rappresentato dall'inserimento del comma secondo che indica – in maniera eccessivamente generica e con buona dose di ottimismo verso la correttezza del contribuente già rivelatosi infedele – le modalità con cui procedere a confisca qualora il contribuente s'impegni a versare all'erario quanto da lui dovuto, così da far prevalere le pretese dell'erario su quelle ablatorie statuali, in modo non dissimile da quanto previsto all'art. 19 del d.lgs. 231/2001 (che esclude la confisca all'ente per la parte che può essere restituita al danneggiato) e in modo coerente con la previsione della causa di non punibilità per estinzione del debito tributario. A proposito della cause di non punibilità, è stato completamente riscritto il previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, il quale oggi qualifica la condotta di estinzione del debito tributario una causa di non punibilità, anche se solo per:
Viene altresì previsto che, se prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi (prorogabile, se necessario, di altri tre mesi) per il pagamento del debito residuo. Come si vede, il beneficio spettante al contribuente infedele è modulato sulla base del disvalore insito nelle rispettive fattispecie: per gli omessi versamenti (eccettuata l'indebita compensazione mediante crediti inesistenti) il termine per godere della causa di non punibilità è infatti nettamente più favorevole rispetto a quello fissato per i reati di cui agli artt. 4 e 5, in relazione ai quali l'istituto premiale non pare destinato ad avere un cospicuo spazio di operatività. Il nuovo art. 13-bis invece prevede, con riferimento agli altri reati disciplinati dal decreto 74 del 2000 (e cioè nei casi di utilizzo o emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta, occultamento o distruzione di documenti contabili, indebita compensazione con crediti inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui agli artt. 2, 3, 8, 10, 10-quater, comma 2, ed 11) che
Lo stesso art. 13-bis prevede invece un aggravamentodipena quando il reato sia commesso dal correo nell'esercizio dell'attività di intermediazione fiscale, attraverso l'elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale. È stato infine introdotto un nuovo art. 18-bis, relativo alla custodia giudiziale dei beni sequestrati nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal decreto e ad ogni altro delitto tributario: tali beni, se diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. La nuova disciplina in tema di abuso del diritto
Presumibilmente però il profilo della riforma del diritto penale tributario di maggior rilievo è rappresentato dal definitivo disconoscimento di ogni rilevanza penale di condotte di elusione fiscale o di abuso del diritto. In proposito va subito evidenziato che il decreto legislativo n. 158 non affronta tale tematica né in alcun modo contiene una qualche norma riferita a questi comportamenti del contribuente; la relativa disciplina infatti è stata introdotta dal decreto legislativo n. 128 del 2015, che ha interpolato, all'interno della legge n. 212 del 2000 (identificata come il cosiddetto Statuto del Contribuente), l'art. 10-bis, il cui comma 13 prevede che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, mentre il comma 1 definisce la figura dell'abuso del diritto in ambito fiscale disponendo che essa sussiste quando una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano sostanzialmente vantaggi fiscali indebiti. Fermo restando, dunque, che la normativa in tema di abuso del diritto non è dettata all'interno del decreto 74 del 2000 – e ciò non deve sorprendere posto che sarebbe incongruo disciplinare in un testo normativo dedicato agli illeciti tributari un istituto di cui per l'appunto il legislatore ha inteso espressamente escludere la rilevanza penale – va altresì evidenziato che la disposizione di cui al citato art. 10-bis, comma 13, nella parte in cui nega la punibilità delle condotte di elusione penale, ha imposto comunque un significativo adeguamento delle fattispecie di diritto penale tributario. Ad una delle modifiche introdotte con il decreto legislativo 158 del 2015 ed imposte dalla ritenuta irrilevanza penale dell'abuso del diritto si è già fatto cenno, allorquando si sono indicate le innovazioni introdotte in tema di dichiarazione infedele: l'inserimento di due nuovi commi, l'1-bis e l'1-ter nell'art. 4, d.lgs. 74 del 2000, che escludono la valenza criminale delle valutazioni erronee o dell'adozione di alcuni criteri discutibili di redazione della dichiarazione e soprattutto sanciscono la distinzione fra le ipotesi di fittizietà dei costi rispetto alle ipotesi di indeducibilità – si spiega infatti con la necessità di ridisegnare la fattispecie in parola a seguito del sopravvenuto riconoscimento dell'insussistenza di un illecito penale in presenza di una condotta elusiva. Parimenti, alla riconosciuta irrilevanza penale dell'abuso del diritto – unitamente alla nuova formulazione dell'art. 4, con l'introduzione dei citati commi 1-bis ed 1-ter – è dovuta l'abrogazione degli artt. 7 (rubricato rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio) e 16 (rubricato adeguamento al parere del Comitato per l'applicazione delle norme antielusive) del d.lgs.74 del 2000. Entrambe le disposizioni infatti si ricollegavano alla tematica delle valutazioni di bilancio ed alla rilevanza penale di tali voci nella dichiarazione dei redditi, cercando di garantire in qualche modo il contribuente dai giudizi discrezionali ed opinabili che potevano formulare sul punto gli uffici dell'Amministrazione finanziaria: evidentemente, una volta che le valutazioni estimative hanno perso la loro rilevanza penale sia alla luce di quanto dispone il nuovo art. 4,d.lgs.74 del 2000 sia in quanto, laddove abbiano una finalità elusiva, alle stesse non si applicano le disposizioni presenti nel citato decreto 74 del 2000, i suddetti articoli 7 e 16 non avevano più ragion d'essere. Infine chiaramente connesse alla nuova disciplina – penale ed amministrativa – delle condotte di abuso del diritto e di elusione sono alcune nuove definizioni introdotte nell'art. 1, d.lgs. 74 del 2000 – disposizione che, come è noto, è diretta a fornire opportuni chiarimenti in ordine alla valenza dei termini impiegati negli articoli successivi presenti nel decreto 74/2000, nella duplice ottica di prevenire dubbi interpretativi e di rendere più asciutta e meglio leggibile, grazie all'uso di espressioni contratte, la formulazione dei singoli prescritti normativi. In particolare, a prescindere da quanto dispone la lettera f) del citato articolo e relativa alla definizione della nozione di imposta evasa – dove si precisa che non si considera tale "quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili" – è evidente il collegamento con i commi 1 e 13 dell'art. 10-bis,legge 212 del 2000 e la disposizione contenuta nelle nuove lettere g-bis) – giusta la quale le operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente sono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall'art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti – e g-ter) dell'art. 1 d.lgs.74 del 2000 – che chiarisce che nella nozione di mezzi fraudolenti rientrano quelle condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà. Tali nuove definizioni hanno una significativa incidenza nella descrizione della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 3, laddove appunto sono richiamati i 'mezzi fraudolenti' e le 'operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente'. In conclusione
Come detto, in sede di riforma per diverse fattispecie di reati presenti nel d.lgs.74 del 2000 il legislatore ha innalzato in termini significativi le soglie di punibilità. In particolare, tale scelta ha interessato i reati
In ragione di tale innovazione e considerando che il legislatore non ha dettato alcuna specifica disciplina di carattere transitorio ci si è domandato quale sorte dovesse essere riservata ai procedimenti penali pendenti – in sede dibattimentale o in fase di indagine – quando l'imposta evasa o meglio non pagata fosse di importo inferiore a quella oggi indicata dal legislatore come penalmente rilevante. Evidentemente, laddove si ritenga che le predette soglie di punibilità abbiano la natura di condizioni obiettive di punibilità un problema di diritto transitorio non si pone neppure: i fatti pregressi continuano ad essere sottoposti a punizione secondo la disciplina all'epoca vigente. Va ricordato infatti che, con riferimento alla precedente disciplina, diverse pronunce hanno affermato che il superamento della soglia rappresentata dall'ammontare dell'imposta evasa costituisse una condizione oggettiva di punibilità, come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente (Cass. pen., Sez. III, 26 maggio 2001; Cass. pen., Sez. VI, 16 dicembre 2014, n. 6705). In tale circostanza, infatti, deve ritenersi che – fissando una condizione di punibilità da individuare nell'importo dell'imposta superare – lo stesso legislatore abbia configurato, in astratto, la condizione perché la condotta conforme alla fattispecie possa ritenersi anche offensiva degli interessi protetti; di conseguenza, è evidente che la modifica in aumento della predetta soglia non abbia alcun rilievo per i fatti passati, i quali hanno leso in allora interessi protetti perché le somme sottratte all'erario erano di un importo che in allora era ritenuta significativo dal legislatore, mentre che lo stesso importo sia ritenuto oggi irrisorio nulla toglie alla valenza offensiva del bene giuridico protetto dei comportamenti tenuti in precedenza. La tesi opposta a quella ora esposta sostiene che le soglie di punibilità - nonostante tale qualificazione – sarebbero un elemento costitutivo del reato (Cass. pen., Sez. III, 22 gennaio 2014, n. 12248; Cass. pen., Sez. III, 26 giugno 2014, n. 36859, n. 260187, secondo cui il mancato raggiungimento della soglia impone l'assoluzione per non essere il fatto previsto come reato). Qualora si accogliesse questa tesi (come sostenuto da una recentissima decisione: Cass. Sez. III, 11 novembre 2015, n. 48228 inedita), avrebbero effettivamente ragione di porsi le problematiche di carattere processuale relativamente alla sorte dei (procedimenti per i) reati commessi nella vigenza della precedente disciplina. Infatti, se si stabilisce che con riferimento ai fatti ancora sotto processo debbano applicarsi le nuove soglie perché l'aumento delle stesse costituisce – come afferma la decisione in commento – una modifica in melius deve concludersi nel senso che ai sensi dell'art. 2 c.p. la nuova disciplina deve operare anche per il passato e quindi i procedimenti in corso – siano essi in fase di indagini che già approdati a giudizio, quale che sia la fase in cui versa lo stesso – andranno definiti con sentenza di assoluzione per la mancata punibilità della condotta (in questo senso per l'appunto si è pronunciata : Cass. sez. III, 11 novembre 2015, n. 48228, inedita). Va criticamente riscontrato, tuttavia, che a seguire tale argomentazione deve ritenersi l'irrilevanza penale delle condotte assunte nella vigenza della precedente disciplina quando le stesse non risultino superare le nuove soglie di punibilità non solo con riferimento a vicende ancora sub judice ma anche in relazione alle sentenze già passate in giudicato, le quali dunque dovrebbero essere revocate in sede di esecuzione perché il fatto in allora previsto come reato non è più considerato tale dal legislatore, secondo quanto prevede l'art. 673, comma 1, c.p.p., ai sensi del quale “nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti”. Da questa – inevitabile, laddove si aderisca alla ricostruzione presente in sentenza, ovvero che il mancato superamento in passato delle soglie di punibilità oggi fissate rende la condotta in precedenza posta in essere non più penalmente rilevante – conclusione derivano però conseguenze deleterie di non poco momenti. In primo luogo ne deriverebbe un impatto negativo per la funzionalità degli uffici giudiziari: seguendo la suddetta ricostruzione dogmatica, infatti, ne deriverebbe la legittimazione di incidenti di esecuzione con riferimento a condanne passate per fatti di evasione che oggi sarebbero sotto soglia. In secondo luogo, dalla conclusione in discorso rischia di derivare l'inutilità dei processi in tema di reati tributari che verranno a svolgersi negli anni futuri, i quali saranno inevitabilmente destinati ad essere messi nel nulla da una nuova – inevitabile – riforma del diritto penale tributario, che innalzi le soglie di punibilità. Infatti, il legislatore, fissando una condizione di punibilità da individuare nell'importo dell'imposta superare, configura, in astratto, la condizione perché la condotta conforme alla fattispecie possa ritenersi anche offensiva degli interessi protetti: in sostanza, l'evasione rappresenta un illecito, ma si è in presenza di un reato solo quanto il mancato pagamento dell'imposta superi una certa cifra giacché solo in questo caso deve ritenersi significativa l'offesa all'erario. Ovviamente, la determinazione del quantum di evasione penalmente significativo dipende dalle circostanze storiche in cui la condotta è tenuta, per cui, esemplificando, un'evasione di 20.000 €. aveva una significativa rilevanza economica – e ciò ne giustificava la punizione nel 2000 e negli anni successivi – mentre invece ha una connotazione economicamente irrisoria oggi, e quindi il legislatore ha fissato una nuova soglia di punibilità rendendo irrilevante i comportamenti in precedenza tenuti. Orbene, non vi è chi non veda come questa spirale di innalzamento delle soglie sia destinata a protrarsi nel futuro conformemente alla crescita dei prezzi e dei valori economici, circostanza storica che renderà nel futuro irrilevanti economicamente comportamenti oggi invece portatori di una significativa lesione degli interessi dell'erario. Ma ciò significa, allora, che le condanne che vengono oggi pronunciate con riferimento, ad esempio, all'omesso versamento di acconti Iva o di ritenute fiscali o di omessa dichiarazione diverranno in futuro – fra uno, fra dieci, fra vent'anni (si ricorda che la recente riforma delle soglie di punibilità segue di 15 anni l'adozione dell'originaria disciplina) penalmente irrilevanti e le condanne nel frattempo pronunciate, anche se passate in giudicato, verranno poste nel nulla. |