Riforma Orlando: verso nuovi diritti e facoltà per la persona offesa?

17 Luglio 2017

L'intervenenda legge 23 giugno 2017 n. 103, c.d. Riforma Orlando, introduce importanti novità per la persona offesa dal reato. In particolare, si assiste a un'"evoluzione" dei diritti e delle facoltà nella fase di indagini e nella fase pre-dibattimentale. La persona offesa dal reato è il soggetto titolare del bene giuridico tutelato dalla norma. Non è, quindi, chiunque subisca un danno dal reato ma, esclusivamente colui che subisce l'offesa essenziale dalla commissione – od omissione – del reato. A seconda del soggetto passivo del reato si possono distinguere: reati a soggetto passivo determinato; reati a soggetto passivo indeterminato, nei quali l'interesse ...
Abstract

L'intervenenda legge 23 giugno 2017 n. 103, c.d. Riforma Orlando, introduce importanti novità per la persona offesa dal reato. In particolare, si assiste a un'"evoluzione" dei diritti e delle facoltà nella fase di indagini e nella fase pre-dibattimentale.

Fase di indagini preliminari

La persona offesa dal reato è il soggetto titolare del bene giuridico tutelato dalla norma. Non è, quindi, chiunque subisca un danno dal reato ma, esclusivamente colui che subisce l'offesa essenziale dalla commissione – od omissione – del reato.

A seconda del soggetto passivo del reato si possono distinguere: reati a soggetto passivo determinato; reati a soggetto passivo indeterminato, nei quali l'interesse leso appartiene alla generalità ampie categorie di soggetti (es. delitti contro l'incolumità pubblica o contro la morale); reati c.d. senza offesa o di scopo.

La persona offesa dal reato, oltre ad esercitare i diritti e le facoltà espressamente riconosciuti dalla legge (artt. 101, 341, 360, 369, 394, 398 , 401, 408, 409, 410, 413, 419, 428 , 429, 456, 572 c.p.p.), può presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento (artt. 121, 123, 367 c.p.p.) e, con esclusione del giudizio di cassazione, indicare elementi di prova.

Ha il diritto di essere informata del compimento degli atti irripetibili, urgenti e degli atti che determinano il mutamento delle fasi processuali (anche se la nullità degli atti e delle notifiche hanno valore relativo ad eccezione di quelle che richiedano la sua citazione a giudizio).

In secondo luogo, alla persona offesa sono attribuiti diritti di impulso processuale, non vincolanti, prevalentemente rivolti nei confronti del Pubblico Ministero.

Tutte le specifiche facoltà attribuite alla persona offesa concernono attività precedenti alla fase dibattimentale, entro la quale il soggetto può ancora costituirsi parte civile e mutare da soggetto a parte processuale. L'art. 90 c.p.p. attribuisce anche facoltà alla persona offesa nella fase dibattimentale.

Con la riforma che entrerà in vigore, parrebbero essere state assegnate maggiori facoltà e pregnanti diritti alla P.O.; a ben guardare, tuttavia, si tratta di una codicizzazione di interpretazioni giurisprudenziali costanti o di mere letture sistemiche delle norme (anche di coordinamento e transitorie).

Fra le facoltà, il comma 3-ter dell'art. 335 c.p.p., definisce la possibilità che la P.O. chieda, dopo 6 mesi dalla proposizione della denuncia-querela, notizie in merito allo stato del procedimento e pari possibilità di risposta viene assegnata al titolare delle indagini.

Occorre osservare che tale facoltà, però, era già indicata nell'art. 335, comma 3, c.p.p., e non vi è nessuna novità neanche sotto il piano temporale se ben si tiene in mente l'art. 405, comma 2, c.p.p.

Il comma 3-bis dell'art. 407 c.p.p. inserisce, a pieno titolo, l'indicazione già esistente nella norma transitoria dell'art. 258, comma 4, disp. att. che assegna il potere al P.G. presso la Corte di appello di avocare le indagini al P.M. se, entro la scadenza dei termini per le indagini, non avesse esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione.

I termini di mesi 3, assegnati al Gip per fissare l'udienza camerale a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione e di altri mesi 3 e per consentire al P.M. di svolgere le indagini suppletive, lasciati privi di perentorietà, restano meri auspici.

Inutilmente deflattiva, poi, risulta essere la scelta legislativa di condannare la parte che abbia proposto reclamo avverso il decreto di archiviazione nullo alle spese e al pagamento di un somma a favore della cassa delle ammende.

Pare, invece, l'ennesima occasione persa la mancanza di chiarimento della facoltà della P.O. a prendere visione “e copia” del fascicolo del PM, facoltà essenziale quando si è interessati in procedimenti penali fondati su decine di faldoni di atti investigativi o su attività tecniche difficilmente comprensibili senza ausilio della scienza di altri tecnici di parte.

Fase pre-dibattimentale. La riparazione del danno

Ci viene ricordato, con grande sagacia, che nel vecchio sistema codicistico «L'offeso. Era un postulante senza diritti nel vecchio sistema. […] Soggetto. Tale appare nel nuovo sistema» (CORDERO).

Si assiste, oggi, ad un'ulteriore modifica del ruolo della persona offesa tenuto che, nei procedimenti procedibili a querela di parte soggetta a remissione, non solo l'imputato potrà estinguere il reato con la riparazione intera del danno ma, nel caso di rifiuto della P.O., potrà chiedere la congruità al giudice che potrà decidere discrezionalmente.

Con il nuovo istituto, in effetti, resta invariato il diritto della P.O. ad accettare la somma proposta e rimettere la querela, a prescindere dalla fase processuale e dall'intervento discrezionale del giudice. Se, invece, non accetta la riparazione proposta, si potrà utilizzare l'art. 162-ter del codice penale.

La ratio legis parrebbe volta a soddisfare la c.d. vittima del reato e ad estinguere – o almeno alleggerire – la posizione processuale dell'imputato.
Tuttavia, per quanto attiene alla capacità economica, si apre uno scenario sociologico di profonda carenza di giustizia sociale solo se si pensi che, con l'art. 162-bis c.p., si tipizza in via generale l'essenzialità della capacità economica per chi vorrà riparare e per chi vorrà – o dovrà, per bisogno – accettare tale riparazione.

Assente, nelle maglie di questa novità legislativa, l'aspetto della giustizia riparativa, con la quale si giunge alla riparazione o retribuzione del danno tramite un percorso guidato di comprensione reciproca del torto fatto e subito, per un'effettiva funzione rieducativa della pena, concretamente alternativa alle forme di afflizione delle pene detentive e pecuniarie.

Assente anche la previsione della valutazione sulla condotta riparatoria con obbligatorietà a sviluppare ulteriori osservazioni positive sui comportamenti dell'imputato, sulla sua correttezza e lealtà processuale «[…] in vista della riaffermazione dei valori sociali naturalmente lesi dalla condotta criminosa» (Cass. pen., Sez IV, n. 5507/2012).

La persona offesa non è più postulante o soggetto ma, per taluni reati, sembra essere trasformata in parte economicamente debole di un contratto per la definizione del reato.

L'importanza della vera giustizia riparativa

Nel 1977, lo psicologo americano Albert Eglash distinse tre modelli di giustizia penale: retributiva, fondata sulla pena; distributiva, fondata sul trattamento e sulla rieducazione; riparativa, fondata sulla restituzione.
In Italia, i programmi di giustizia riparativa hanno cominciato ad affacciarsi negli anni '90, con interessanti sperimentazioni nell'ambito della giustizia minorile, con il d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, e con l'istituzione del giudice di pace, in seguito al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della l. 24 novembre 1999, n. 468.

Nonostante la variabilità di gravità e di circostanze, nei programmi di giustizia riparativa la vittima è la prima a godere del riconoscimento rivolto alla sua sofferenza, alla sua dignità e ai suoi bisogni. Ma vi è anche maggiore attenzione all'autore di reato che è considerato portatore di interesse e di dignità, parimenti bisognoso di riconoscimento e di reintegrazione nel tessuto sociale della comunità.

La giustizia penale classica, come noto, evidenzia, sotto questo aspetto, profondi limiti, sottoponendo il colpevole a una doppia esclusione: in primo luogo dalla società civile, in particolare dalla sua comunità di riferimento (famiglia, amici, colleghi di lavoro, ecc.) e successivamente da se stesso, dai suoi sentimenti, dal suo eventuale rimorso per il reato commesso e, di conseguenza, anche dalla possibilità di pentirsi del male compiuto.

In conclusione

Le modifiche inserite con la Legge del 23 giugno 2017 n. 103 non convincono in punto di necessità storica e in punto di coraggio legislativo.

A fronte della propaganda degli ultimi mesi, la persona offesa dal reato non risulta più tutelata rispetto la situazione ante riforma ma, semmai, più indebolita ad una forma di giustizia penale che per velocizzare i numeri si allontana sempre più dai diritti fondamentali dei soggetti processuali.

Guida all'approfondimento

CORDERO, Procedura penale, 276, Giuffrè

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