Necessità della confessione ai fini della sospensione del procedimento con messa alla prova

Lucia Randazzo
17 Dicembre 2015

La confessione è necessaria al fine della concessione della sospensione del procedimento con messa alla prova?

La confessione è necessaria al fine della concessione della sospensione del procedimento con messa alla prova?

La confessione non costituisce il presupposto essenziale per la concessione della sospensione del procedimento con messa alla prova.

La recente giurisprudenza di legittimità (Cass.pen., Sez. V , 23 febbraio 2015-dep. 4 giugno 2015 ), n. 24011) ha ritenuto di escludere, infatti, che l'ammissione degli addebiti da parte del ricorrente possa costituire un requisito per la sospensione del processo con messa alla prova per l'imputato. L'ordinanza con la quale il giudice dispone il suddetto rito alternativo presuppone l'accertamento dell'insussistenza allo stato degli atti dei presupposti di una pronuncia di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p. (art. 464-quater c.p.p.).

Tale accertamento circa l'insussistenza allo stato degli atti di una pronuncia ai sensi del predetto art. 129 c.p.p. fa sì, in forza del consenso dell'interessato, che la sospensione del procedimento con messa alla prova possa fondarsi sull'attribuzione del fatto-reato al richiedente, attribuzione, a sua volta, confermata da alcuni indici testuali (la prognosi che l'imputato si asterrà dal commettere "ulteriori" reati: art. 464-quater,comma 3, c.p.p.,) e dalla stessa formula di proscioglimento individuata per il caso dell'esito positivo della messa alla prova, ossia la declaratoria di estinzione del reato (art. 464-septiesc.p.p.).

Risolvendosi, appunto, nell'accertamento dell'insussistenza, allo stato degli atti, dei presupposti di una pronuncia ex art. 129 c.p.p., l'attribuzione del fatto-reato al richiedente – all'interno, può osservarsi, di "ristretti spazi cognitivi di merito" (per riprendere le espressioni utilizzate, a proposito della sentenza ex art. 444 c.p.p., da Sez. U, n. 36847 del 26/06/2014 - dep. 03/09/2014, Della Gatta) – non esige l'ammissione del fatto da parte dell'indagato/imputato, ammissione che resta dunque estranea al novero dei requisiti della sospensione del procedimento con messa alla prova delineati dalla L. n. 67 del 2014, la qualificazione dell'ammissione del fatto-reato quale requisito per la sospensione con messa alla prova risulta, anzi, incompatibile, sul piano sistematico, con la complessiva disciplina dell'istituto: posto che in caso di revoca dell'ordinanza di sospensione il procedimento riprende il suo corso (art. 464-octies, comma 4,c.p.p), la subordinazione dell'accoglimento dell'istanza all'ammissione del fatto-reato rivelerebbe, in tale ipotesi, profili di tensione con le garanzie sostanziali e processuali dell'imputato (Cosi, Cass. pen. , Sez. V , 23 febbario 2015 - dep. 4 giugno 2015, n. 24011).

La Corte continua sostenendo che a norma del comma 3 del medesimo articolo 464-quater c.p.p. la sospensione è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p., reputa idoneo il trattamento e ritiene che il richiedente si asterrà dal commettere ulteriori reati. Anche in questo caso si ritiene che per le valutazioni di cui sopra si debba prescindere dall'ammissione degli addebiti da parte dell'indagato/imputato. Fermo restando che la confessione potrà essere valutata dal giudice quale aspetto della condotta processuale del richiedente, vale per l'istituto in esame quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito dell'affidamento in prova al servizio sociale, che rappresenta una forma di probation - non già processuale (come l'istituto in esame), ma - penitenziaria, ossia che, ai fini dell'applicazione alla misura, non configura una ragione ostativa la mancata ammissione degli addebiti (ex plurimis, Cass. pen., Sez. I, n. 33287/2013).

La Corte, pertanto, ha ritenuto che la ratio decidendi dell'ordinanza che rigettava la richiesta di sospensione del processo incentrata sul rilievo dell' “atteggiamento sostanzialmente denegatorio della propria penale responsabilità”, non fosse in linea con la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova. La Corte, dunque, enunciava il principio di diritto secondo cui la confessione da parte del richiedente del fatto oggetto dell'imputazione non integra un requisito della sospensione del procedimento con messa alla prova. Nel procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni si registra un orientamento secondo il quale il minore deve effettuare una “la rimeditazione critica del passato e la disponibilità ad un costruttivo reinserimento, le quali, pur non esigendo la confessione degli addebiti, risultano incompatibili con la frontale negazione di ogni responsabilità per gli stessi” (Cass. pen. 32125/2014).

Ai fini della concessione della sospensione del processo con messa alla prova ai sensi del d.P.R. n. 448/1988 la confessione o la parziale ammissione dell'addebito da parte del minorenne costituisce un elemento rivelatore da cui ricavare il ravvedimento dello stesso necessario al fine della formulazione del giudizio prognostico positivo in merito all'inserimento sociale e alla sua rieducazione.

Nel caso della cosiddetta probation penitenziaria la Corte di legittimità ha ritenuto che la mancata ammissione di colpevolezza non può di per sé configurare ragione ostativa dell'ammissione all'affidamento in prova ai servizi sociali il cui presupposto non è costituito dalla confessione degli addebiti (rispetto ai quali non può conculcarsi il diritto dell'interessato di continuare a protestarsi innocente anche dopo la condanna definitiva: Sez. 1 n. 13445 del 5/03/2013, Rv. 255653) o dall'esternazione di scuse pubbliche di sapore formale, ma è rappresentato dalla verifica positiva, attraverso i comportamenti concretamente tenuti, che il condannato abbia accettato la sentenza e la sanzione inflitta, in quanto ciò che assume rilievo decisivo è l'evoluzione della sua personalità successivamente al reato nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale (Sez. 1 n. 33287 dell'11/06/2013, Rv. 257001). (Cass. pen., 17021/2015)

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