Le ultime dalla suprema Corte sull’impiego della Pec per proporre impugnazioni ed opposizioni
18 Gennaio 2017
Abstract
Torna alla ribalta il tema della proponibilità di impugnazioni ed opposizioni a mezzo di Pec. L'istanza di rimessione alle Sezioni unite avanzata da Sez. IV, 27 ottobre 2016 - 6 dicembre 2016, n. 51961, F., sul presupposto delle garanzie della Pec, è respinta dal primo Presidente con provvedimento del 3 gennaio 2017, in quanto mancante di un'esplicita presa di posizione alternativa rispetto all'opinione corrente, secondo cui la Pec non rientra tra le modalità vincolanti dell'art. 583, comma 1, c.p.p. I due provvedimenti offrono l'occasione per analizzare e sottoporre a vaglio critico l'opinione corrente e per verificare l'effettiva percorribilità di una presa di posizione alternativa sia sotto il profilo tecnico che sotto quello giuridico. La questione rimessa al primo Presidente.
La Sezione IV penale della suprema Corte di cassazione, con ordinanza deliberata alla camera di consiglio del 27 ottobre 2016 e depositata il 6 dicembre 2016 con il n. 51961 in proc. F., ha demandato al primo Presidente di valutare l'eventuale rimessione alle Sezioni unite della questione relativa all'utilizzabilità della posta elettronica certificata – in breve Pec – ad iniziativa di parte per proporre impugnazioni ed opposizioni. Nel dare notizia dell'ordinanza, ne è stata tratta una massima generalizzante, secondo cui va rimessa alle Sezioni unite la soluzione del seguente quesito: se alle parti private sia consentito, nel processo penale, [di] effettuare comunicazioni e notificazioni a mezzo [di] Pec. Si ritiene tuttavia di dover accedere ad un'interpretazione assai più circoscritta. Rispetto alle multiformi possibilità di interlocuzione scritta delle parti nelle fasi di competenza del giudice, il tema affrontato dalla suprema Corte come traspare dalla motivazione, ha di mira esclusivamente l'area minima rappresentata dalla proposizione di impugnazioni ed opposizioni. Né avrebbe potuto essere diversamente, originando il caso di specie da un'opposizione a decreto penale di condanna – per tradizione da ricondursi al genus delle impugnazioni – proposta a mezzo di Pec e dichiarata inammissibile dal giudice per le indagini preliminari sulla base della seguente motivazione: Il Giudice dichiara inammissibile l'opposizione non essendo consentito nel processo penale alle parti private effettuare comunicazioni e notificazioni mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata. È noto infatti che, a fronte di una (mancanza di) disciplina del deposito, cui afferiscono le predette possibilità di interlocuzione scritta delle parti, impugnazioni ed opposizioni obbediscono ad uno statuto disciplinare a parte, unanimemente riguardato come speciale. Fattispecie del deposito. In generale ...
Il codice di rito non si perita di disciplinare il deposito, da effettuarsi, al di fuori dell'udienza, nella cancelleria del giudice competente, perché, alla luce dell'impiego della scrittura come mezzo di interlocuzione peraltro eccezionale rispetto all'oralità dell'udienza, sarebbe stato pedante ripeterne la definizione comune alla stregua di una banale consegna di persona dell'atto o documento. Vero è dunque che il deposito ad opera delle parti nelle fasi giudiziali è dato per presupposto, ma la mancanza di disciplina di detto istituto, a valenza generale, è solo apparente, in quanto frammenti di regolamentazione, nondimeno, si evincono qua e là. A venire in linea di conto è l'art. 121 c.p.p., sia nel comma 1, che abilita – notasi – parti e difensori, viepiù in ogni stato e grado del procedimento, a presentare al giudice [e dunque alla lettera non anche al pubblico ministero] memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria; sia nel comma 2, che correla il dovere del giudice di provvedere senza ritardo e comunque, salve specifiche disposizioni di legge, entro quindici giorni alla circostanza che le richieste (ma non anche le memorie, persesi per strada) siano ritualmente formulate. Talché se ne ricava che la ritualità della formulazione quantomeno delle richieste coincide con il deposito nella cancelleria. Conferma di ciò si trae dal comma 3-bis dell'art. 116 c.p.p., il quale, in tema di copie, estratti e certificati, prevede che, quando il difensore, anche a mezzo di sostituti, presenta all'autorità giudiziaria atti o documenti, ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito, anche in calce ad una copia. La formulazione di detto comma è gravemente imprecisa, perché, generalizzando dal giudice all'autorità giudiziaria al fine evidente di ricomprendervi anche il pubblico ministero, nelle fasi di competenza del giudice, accanto al difensore, dimentica, non solo le parti personalmente considerate ma, giust'appunto, anche il pubblico ministero; essa nondimeno aggiunge un tassello alla fattispecie del deposito, che presuppone la consegna al funzionario di cancelleria dell'originale, avendo il difensore diritto di pretendere l'apposizione del timbro di avvenuto deposito sulla copia o su apposito modulo che riporti gli estremi dell'originale. Rispetto alle memorie, un lontano precedente ammette un gradiente di deformalizzazione. Invero, Cass. pen., Sez. III, 21 febbraio 2008, n. 14223, in relazione ad una memoria trasmessa mediante raccomandata con avviso di ricevimento in un giudizio camerale di cassazione, recita che la scelta di un mezzo tecnico diverso dal deposito in cancelleria per la presentazione […], come previsto in via generale dall'art. 121 cod. proc. pen., non determina alcuna nullità ovvero inammissibilità dell'atto, in difetto di disposizioni che prevedono simili sanzioni processuali, dovendo peraltro escludersi la possibilità di richiamare le disposizioni relative alle forme di presentazione dell'impugnazione. Assai più rigorosa si è tradizionalmente manifestata la giurisprudenza in rapporto alle richieste, a tal punto da faticare a lungo a ritenere legittimo, oltretutto solo in sporadici casi, l'uso di un mezzo pur diffusissimo quale il fax. È noto come l'argomento abbia impegnato le Sezioni unite nella sentenza 27 marzo 2014, n. 40187, che, ritenendo applicabile la norma speciale contenuta nell'art. 3, comma 2, del codice di autoregolamentazione, secondo la quale l'atto contenente la dichiarazione di astensione (ed implicitamente od esplicitamente la richiesta di differimento dell'incombente per legittimo impedimento) può essere trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, si esprime a favore della possibilità, per il difensore, di trasmettere per fax la dichiarazione di adesione all'astensione dall'attività giudiziaria proclamata dagli organi di categoria. In tal caso è la previsione regolamentare ad autorizzare la trasmissione. Più delicato è il campo delle altre richieste. Sia sufficiente esaminare proprio il filone delle richieste di rinvio d'udienza per legittimo impedimento in modo da rendersene conto. A fronte di una serie cospicua di precedenti volti a sostenerne tout court l'inammissibilità sull'argomento che l'art. 121 cod. proc. pen. stabilisce l'obbligo per le parti di presentare le memorie e le richieste rivolte al giudice mediante deposito in cancelleria, mentre il ricorso al telefax è riservato ai funzionari di cancelleria ai sensi dell'art. 150 cod. proc. pen. (così Cass. pen., Sez. VI, 30 gennaio 2013, n. 28244), solo recentemente la giurisprudenza, sviluppando tesi per vero già accennate in passato, ripropone una diversa sensibilità che, senza considerare rituale la richiesta di rinvio inviata in cancelleria via fax, nondimeno afferma che essa neppure è irricevibile né inammissibile, anche se l'utilizzo di tale irregolare modalità di trasmissione comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua richiesta, di accertarsi del regolare arrivo del fax e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente (Cass. pen., Sez. II, 22 maggio 2015, n. 24515). Il punctum pruriens è il tempestivo inoltro al giudice procedente, giacché la modalità di trasmissione via fax, essendo comunque irregolare, espone il richiedente al rischio della intempestività, nell'ipotesi in cui detta istanza non venga portata a conoscenza [di detto giudice] (Cass. pen., Sez. V, 16 ottobre 2015, n. 7706). Nondimeno un'ultima pronuncia sembra compiere un deciso passo in avanti verso la legittimazione del fax, giungendo ad affermare che la trasmissione della richiesta di rinvio per legittimo impedimento effettuata con tale mezzo, non solo è in sé ammissibile ma oltretutto determina la nullità della sentenza successivamente pronunciata ove il giudice abbia omesso di pronunciarsi sull'istanza, purché la comunicazione sia tempestiva e la trasmissione sia fatta ad un numero di fax della cancelleria del giudice procedente e non invece ad un qualsiasi numero di fax dell'ufficio giudiziario (Cass. pen., Sez. III, 18 giugno 2015, n. 37859). Un'evoluzione analogamente favorevole all'innovazione tecnologica si registra a proposito della trasmissione via fax delle liste testimoniali. L'opinione tradizionale, espressa da Cass. pen., Sez. I, 19 settembre 2014, n. 44978, vuole che la presentazione della [sola] lista [dei] testi – non contenente però, alla stregua di quanto evincesi dalla motivazione, altresì la richiesta di autorizzazione alla citazione dei medesimi – può legittimamente avvenire mediante l'inoltro a mezzo [del] ‘fax', derivandone l'illegittimità dell'ordinanza del giudice dibattimentale che dichiara inammissibile la richiesta di sentire i testimoni in essa indicati. Il retro-pensiero è che la richiesta di sentire i testimoni in essa indicati è una mera indicazione dei testimoni stessi (avente la funzione di far conoscere, prima del dibattimento, le prove che l'interessato vorrà far acquisire e di consentire così alle parti di preparare la propria linea difensiva e richiedere eventualmente la prova contraria, il relativo adempimento); detta indicazione va pertanto tenuta ben distinta dalla richiesta – che effettivamente è tale – di autorizzazione alla loro citazione (per la quale è invece d'obbligo la forma rituale dell'istanza) (Cass. pen., Sez. VI, 10 luglio 1996, n. 3). Oggi l'eclatante novità è rappresentata da Cass. pen., Sez. II, 1 marzo 2016, n. 23343 secondo cui è legittimo l'inoltro alla cancelleria del giudice, a mezzo [del] telefax, di un documento contenente sia la lista dei testimoni di cui la parte intende chiedere l'ammissione e delle relative circostanze di prova, sia la richiesta alla citazione dei testi indicati, giacché, come specificasi in motivazione, tale soluzione è rispondente all'evoluzione del sistema di comunicazioni e notifiche, oltre che alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo. Impugnazioni in generale
Come rileva l'ordinanza in commento, la disciplina della proposizione delle impugnazioni è contenuta negli artt. 582 e 583 c.p.p. A termini del comma 1 dell'art. 582 c.p.p., salvo che la legge disponga altrimenti, l'atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto vi appone l'indicazione del giorno in cui riceve l'atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione. Non v'è ombra di dubbio che la disposizione di cui si tratta regoli la fattispecie del deposito dell'atto di impugnazione, sol che si consideri che la presentazione di cui esso ragiona altro non è che una consegna di persona, come confermato dalla circostanza che il pubblico ufficiale addetto riceve l'atto, rilasciando, a richiesta, corrispondente attestazione. Tuttavia solo per le parti e per i difensori – e dunque ad esclusione del pubblico ministero – l'art. 583 c.p.p. ammette la spedizione quale alternativa al deposito. Dal comma 1 si apprende che le parti e i difensori possono proporre l'impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria indicata nell'articolo 582 comma 1, nel qual caso il pubblico ufficiale addetto allega agli atti la busta contenente l'atto di impugnazione e appone su quest'ultimo l'indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione; donde, a stretto rigore, la spedizione può articolarsi nella trasmissione sia mediante telegramma che mediante piego raccomandato. Soggiunge il comma 2 che, in entrambi i casi, l'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione, con la conseguenza che deve considerarsi tempestiva l'impugnazione trasmessa entro il termine ma giunta a destinazione dopo la sua scadenza. Nell'ordinanza la suprema Corte ricorda che la disciplina della proposizione dell'impugnazione dianzi richiamata è generalmente interpretata nel senso che la dichiarazione di impugnazione costituisce un atto a forma vincolata e pertanto le modalità di presentazione e ricezione della stessa costituiscono requisiti di forma che non ammettono equipollenti. In effetti l'affermazione del carattere vincolato delle modalità di proposizione dell'impugnazione è unanime. Da ultimo, a completamento di una lunga schiera di precedenti, Cass. pen., Sez. I, 20 marzo 2015, n. 16356, chiamata a pronunciare sulla presentazione di motivi nuovi relativi a ricorso per cassazione, lo proclama claris verbis: In materia di impugnazioni[,] vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite dalla legge per la presentazione del ricorso in quanto si tratta di requisiti la cui osservanza è sanzionata a pena di inammissibilità, con la conseguenza che la presentazione dell'impugnazione a mezzo [del] telefax è inammissibile perché effettuata con modalità non consentita dalla legge. I due precedenti citati dalla suprema Corte nel prosieguo dell'ordinanza per sottolineare ormai visibili segnali di crepature delle ridette tassatività ed inderogabilità in realtà sembrano insuscettivi di essere interpretati in tal modo:
Giustificazione tradizionale dell'esclusione dell'impiego della Pec nella proposizione delle impugnazioni
Vincolate le forme di presentazione delle impugnazioni e per estensione delle opposizioni, la quaestio sull'utilizzabilità o meno della Pec dovrebbe risolversi ex abrupto per la negativa. Questa è la conclusione espressa da Cass. pen., Sez. IV, 30 marzo 2016, n. 18823, dichiarativa dell'inammissibilità di un ricorso per cassazione proposto a mezzo di Pec avverso la revoca di un'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 cod. proc. pen., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della Pec. Per non far torto a nessuno, solo qualche tempo prima, già Cass. pen., Sez. V, 5 marzo 2015, n. 24332, significativamente richiamata in motivazione da Cass. pen., Sez. IV, n. 18823 del 2016, cit., aveva giudicato inammissibile l'impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l'uso della posta elettronica certificata (c.d. Pec), in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 cod. proc. pen. […], sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto […]. Credesi di poter argomentare che proprio il fine di garantire l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto costituisca il cuore di una sorta di cortocircuito logico, giacché, dal punto di vista tecnico, la peculiarità della Pec rispetto alla posta elettronica ordinaria sta proprio in ciò che garantisce sia l'invio che la ricezione (in modalità sicura) dell'atto, generando corrispondenti messaggi automatici di conferma (oltretutto marcati temporalmente). La traduzione giuridica di siffatte caratteristiche della Pec si trova nel decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, che, all'art. 1, comma 2, lettera g), non a caso definisce la Pec alla stregua di un sistema di posta elettronica nel quale è fornita al mittente documentazione elettronica attestante l'invio e la consegna di documenti informatici. Ancor più incisivo è il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in breve CAD, che, all'art. 1, lettera v-bis), approfondisce il valore probatorio della documentazione di invio e consegna, stabilendo che il sistema deve essere in grado di attestare l'invio e l'avvenuta consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornire ricevute opponibili ai terzi. Ai sensi dell'art. 6 d.P.R. 68 del 2005, il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal mittente fornisce al mittente stesso la ricevuta di accettazione nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell'avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata (comma 1); il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario fornisce al mittente, all'indirizzo elettronico del mittente, la ricevuta di avvenuta consegna (comma 2); la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione (comma 3); ai sensi dell'art. 8 st. t., quando il messaggio di posta elettronica certificata non risulta consegnabile[,] il gestore comunica al mittente, entro le ventiquattro ore successive all'invio, la mancata consegna [per il] tramite [di] un avviso secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all'articolo 17. A sua volta il CAD chiude il panorama normativo all'art. 48, che, nei suoi tre commi, individua ambito di applicazione, valenza ed opponibilità della Pec. Infatti il comma 1 prevede che la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con le regole tecniche adottate ai sensi dell'articolo 71; il comma 2 prevede che la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta; il comma 3 prevede che la data e l'ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi alle regole tecniche adottate ai sensi dell'articolo 71. In conseguenza di quanto precede, si è autorizzati a prendere le distanze da quanto lasciato intendere dalla massima di Cass. pen., Sez. V, n. 24332 del 2015, cit.: la Pec, ammesso che sia inutilizzabile per proporre un'impugnazione, dovrebbe esserlo per una ragione diversa da un'inesistente sua inidoneità a garantire l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto, giacché, anzi, sotto tale profilo, essa è tecnicamente e giuridicamente equiparabile nientemeno che alla raccomandata di cui ragiona l'art. 583, comma 1, c.p.p. Fondamenti della tesi dell'invincibilità della tassatività delle forme di presentazione delle impugnazioni pur di fronte alle caratteristiche della Pec
In disparte la massima, la motivazione di Cass. pen., Sez. V, n. 24332 del 2015, cit., pur senza affrontare il tema delle descritte caratteristiche tecnico-giuridiche della Pec, dopo aver richiamato quella linea di giurisprudenza – suggellata infine da Sez. I, 4 aprile 2006, n. 16776 – secondo cui anche il fax è strumento inibito per la proposizione di un'impugnazione in quanto non previsto dall'art. 583, comma 1, c.p.p., acutamente osserva che la Pec, così come il detto fax, garantisce la riferibilità della provenienza del file [esclusivamente] dal servizio amministrativo che lo spedisce; né la tassatività dell'art. 583, comma 1, c.p.p. è superata dall'art. 48, comma 2, CAD, poiché quest'ultimo, pur equiparando la trasmissione del documento informatico per via telematica alla notificazione per mezzo della posta, da un canto, fa salva comunque la specialità delle normative di settore, nel caso in esame rappresentate dal disposto dell'art. 583 c.p.p., e, dall'altro, equipara sì i due sistemi[, ma solo] come altrettanti ‘mezzi di notificazione', in altri termini prevedendo un meccanismo di conoscenza legale dell'atto notificato[,] ma non anche un sistema in grado di assicurare la sicura riferibilità del contenuto di quel documento informatico alla persona fisica che è la sola legittimata ad adottarlo […]”. Un'osservazione è d'obbligo: quel che al cospetto della massima suona come un cortocircuito logico, al cospetto della motivazione suona come un solido approfondimento dell'ambito di applicazione dell'art. 48, comma 2, CAD: guarda caso proprio la disposizione di cui il difensore del ricorrente paventa la violazione nel caso di cui all'ordinanza n. 51961 del 2016 oggetto del presente scritto. Compiendo, per il momento, un balzo in avanti rispetto a Cass. pen., Sez. V, n. 24332 del 2015, cit., secondo detta ordinanza, la normativa citata in ricorso (d.lgs. n. 82 del 2005, Codice dell'amministrazione digitale) che effettivamente prevede all'art. 48, comma 2, che ‘la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo della posta' non rileva nel caso di specie e ciò, al di là dell'inciso, ‘nei casi consentiti dalla legge', per l'assorbente ragione che le disposizioni in essa contenute si applicano, come espressamente previsto dall'art. 2, comma 2, alle pubbliche amministrazioni di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2. Trattasi di un'affermazione che ci si permette di non condividere. L'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di per sé non esclude l'amministrazione della giustizia: infatti tutt'al contrario sposa un'accezione onnicomprensiva di amministrazioni pubbliche, per le quali si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI. Ma il motivo più pregnante che impedisce la condivisione si apprezza soprattutto a misura dell'ultimo comma dell'art. 2 CAD, che recita: Le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all'esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria e consultazioni elettorali. Le disposizioni del presente Codice si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico. Poiché non esistono disposizioni sul processo penale telematico, lo stato dell'arte essendo ancora oggi fermo al palo del sistema delle notificazioni telematiche (SNT), in linea di principio le disposizioni sulla Pec del CAD ed in via gradata del d.P.R. 68 del 2005 si applicano anche al processo (recte, procedimento) penale in quanto compatibili. Né, francamente, pare che la clausola di salvezza del comma 2 dell'art. 48 CAD – perché, a dispetto dell'ordinanza n. 51961 del 2016, tale va considera (recitando […] salvo che la legge disponga diversamente […] e non, come detta ordinanza pare pretendere, […] nei casi consentiti dalla legge […]) – legittimi ex se la riserva dell'art. 583, comma 1, c.p.p. per il telegramma e la raccomandata: invero, una volta che lo stesso comma 2, avente forza e valore di legge, pone l'equiparazione con la notificazione postale, certo è che l'art. 583, comma 1, c.p.p. non dispone diversamente. Neppure, a dispetto di Cass. pen., Sez. I, 28 gennaio 2015, n. 18235, dispone diversamente la normativa sulle notificazioni telematiche. Su un piano più generale rispetto alle impugnazioni, la massima estrapolata dalla sentenza testé evocata – che sviluppa un'osservazione per vero meramente incidentale, ma egualmente proposta come principio di diritto, di Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2014, n. 7058 (siccome chiamata a pronunciare su un'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa per posta elettronica ordinaria e non certificata) – recita che nel processo penale, alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata. Vertendo il caso di specie su un'istanza di rimessione in termini avanzata a mezzo di Pec dal difensore di fiducia dell'imputato, il punto 3 delle motivazioni in diritto – nel riproporre alla lettera il paragrafo 2 del prima partizione della circolare addì 11 dicembre 2014 del Direttore Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati presso il Ministero della Giustizia, ripreso e commentato in uno scritto di CAPUTO, Circolare del Ministero di Giustizia, 11 dicembre 2014: “Avvio del sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali (SNT)”, in Cass. pen., 2015, 2093 – pone l'affermazione a termini della quale, allo stato, la forma della notifica via Pec è deputata a sostituire forme derogatorie dell'ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari. Si tratta de: a) le comunicazioni richieste dal pubblico ministero exart. 151 c.p.p.; b) le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall'Autorità giudiziaria (giudice o pubblico ministero), ‘con mezzi tecnici idonei', secondo il dettato dell'art. 148 c.p.p., comma 2-bis; c) gli avvisi e le convocazioni urgenti disposte dal giudice nei confronti di persona diversa dall'imputato, per le quali è stata finora consentita la notifica a mezzo del telefono confermata da telegramma (ovvero, in caso di impossibilità, mediante mera comunicazione telegrafica dell'estratto), da eseguirsi ai recapiti corrispondenti ai luoghi di cui all'art. 157, commi 1 e 2, c.p.p. e nei confronti del destinatario o di suo convivente (art. 149 c.p.p.); d) le notificazioni di altri atti disposte dal giudice sempre nei confronti di persona diversa dall'imputato, mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell'atto (art. 150 c.p.p.)”; indi, spingendosi però oltre la circolare e lo scritto citati, proclama che “l'utilizzo della Pec è stato consentito, ma a partire dal 15/12/2014, solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall'imputato … [L. n. 228 del 2012 (art. 1, comma 19); D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, commi 9 e 10)]. L'art. 16, comma 4, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, conv., con mod., in legge 17 dicembre 2012, n. 221, nel testo risultante dalle interpolazioni apportate dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dice che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149,150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria. In linea di massima, la seconda parte del comma 4, da leggersi – asetticamente – in uno alla prima, si limita a disporre che anche le notificazioni effettuate dalla cancelleria a persona diversa dall'imputato siano effettuate esclusivamente per via telematica al prescritto indirizzo, secondo la normativa tecnica applicabile: talché il precetto (di per sé carente, perché menziona, sul versante del giudice, la cancelleria, ma dimentica, sul versante del pubblico ministero, la segreteria) si risolve nella imposizione, diretta alla cancelleria, dell'esclusività dell'uso del mezzo telematico in luogo delle modalità tradizionali, non già, a priori,nell'enunciazione dell'esclusività dell'uso del mezzo telematico ad opera della cancelleria con conseguente pretermissione delle parti. Se a ciò si aggiunge che, giusta l'art. 4, comma 2, del decretolegge 29 dicembre 2009, n. 193, conv., con mod., in legge 22 febbraio 2010, n. 24, nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica si effettuano mediante posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e delle regole tecniche stabilite con i decreti previsti dal comma 1 […], dovrebbe concludersi che nel processo penale notificazioni e viepiù comunicazioni telematiche sono trasversalmente ammissibili. Fermo quanto precede, resterebbe però pur sempre da confrontarsi con l'obiezione – intrinsecamente tecnica – rappresentata dalla seconda ratio decidendi addotta da Cass. pen., Sez. V, n. 24332 del 2015, cit., laddove sostiene che l'art. 48, comma 2, CAD, prevede un meccanismo di conoscenza legale dell'atto notificato[,] ma non anche un sistema in grado di assicurare la sicura riferibilità del contenuto di quel documento informatico alla persona fisica che è la sola legittimata ad adottarlo […]. L'obiezione è tanto più interessante perché l'ordinanza n. 51961 del 2016, nel reputare sufficiente la lezione per cui la Pec offr[e] le medesime certezze della raccomandata in ordine alla identificazione del mittente (v. sul punto, Sez. IV, n. 16622, del 31 marzo 2016, Rv. 266529), non affronta l'analisi della posizione delmedesimo, soffermandosi indirettamente solo su quella del destinatario attraverso il richiamo a Cass. pen., Sez. un., 28 aprile 2011, n. 28451, nota per aver stabilito che il fax è uno strumento tecnico che dà assicurazioni in ordine alla ricezione dell'atto da parte del destinatario, attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante il cosiddetto ‘ok' o altro simbolo equivalente: richiamo in certo qual modo sovrabbondante, attesa la poziore regolamentazione delle ricevute automaticamente generate dai gestori nella Pec. Vero è che non si può pretendere dalla Pec quel che la Pec non può garantire, ma è anche vero che non esiste solo la Pec. Lo strumento inteso ad assicurare la sicura riferibilità di un documento informatico al soggetto che se ne dichiara autore è la firma digitale, costituente in tutto e per tutto una sottoscrizione elettronica originale che tiene luogo in ambito informatico dell'originale della sottoscrizione manuale. Anche su questo versante la legislazione è rimasta al passo con i tempi, sol che si consideri la calzante operatività della firma digitale descritta dall'art. 24 CAD, secondo cui la firma digitale deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all'insieme di documenti cui è apposta o associata (comma 1); l'apposizione di firma digitale integra e sostituisce l'apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente (comma 2); per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso (comma 3). In conclusione
Con provvedimento datato 3 gennaio 2017 Il primo Presidente respinge l'istanza di assegnazione alle Sezioni unite della questione della proponibilità di impugnazioni ed opposizioni a mezzo di Pec, atteso che, a fronte di una giurisprudenza concorde nel senso dell'inammissibilità di una simile forma di spedizione dell'atto di impugnazione, non contemplata dalle tassative forme indicate nell'art. 583 cod. proc. pen. […] e, in genere, [nel senso dell']inibizione alle parti private, nel processo penale, di effettuare comunicazioni o notificazioni a mezzo [di] posta elettronica certificata …, l'ordinanza in oggetto non esprime un esplicito e argomentato dissenso, limitandosi a osservare, in via meramente problematica, che le forme di proposizione dell'atto di impugnazione dettate dall'art. 83 devono essere lette alla luce del principio del favor impugnationis; in tal modo non soddisfacendo il rigoroso presupposto (contrasto di giurisprudenza effettivo o quantomeno potenziale) considerato dall'art. 618 cod. proc. pen. ai fini dell'investitura delle Sezioni Unite”. Trattasi di un provvedimento intelligentemente aperto. Diffusione, affidabilità, sicurezza e velocità delle tecnologie informatiche, da riguardarsi non singolarmente ma nei loro effetti combinati, lasciano presagire che la questione della proponibilità di impugnazioni ed opposizioni e vieppiù di mere interlocuzioni scritte mediante il loro impiego si farà sempre più pressante al cospetto della giurisdizione, che, indipendentemente dalla fornitura ministeriale di una piattaforma analoga al PCT per creare anche solo un embrione di PPT, purtroppo ancora al di là dall'essere ingegnerizzato, si auspica abbia a mantenersi aggiornata sui portati della tecnica per svincolarsi da anacronismi che, agli occhi del “mondo reale”, risulterebbero di difficile comprensione. |