Le dichiarazioni al magistrato di sorveglianza nel procedimento di riesame dopo la l. 47/2015

18 Luglio 2017

A seguito dell'entrata in vigore della l. 47/2015, si è ormai ampiamente affermato nella giurisprudenza della Suprema Corte un indirizzo ermeneutico che esclude la possibilità, per il detenuto fuori circondario che abbia formulato istanza di riesame, di rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione. L'assunto, tuttavia, non persuade. Prima dell'entrata in vigore della l. 47/2015 era pacifico che l'imputato o indagato detenuto al di fuori del circondario del tribunale del riesame, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 8, c.p.p. (che richiama l'art. 127 del codice di rito) e 127, comma 3, c.p.p., potesse ...
Abstract

A seguito dell'entrata in vigore della l. 47/2015, si è ormai ampiamente affermato nella giurisprudenza della Suprema Corte un indirizzo ermeneutico che esclude la possibilità, per il detenuto fuori circondario che abbia formulato istanza di riesame, di rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione. L'assunto, tuttavia, non persuade.

Le dichiarazioni al magistrato di sorveglianza prima della l. 47/2015

Prima dell'entrata in vigore della l. 47/2015 era pacifico che l'imputato o indagato detenuto al di fuori del circondario del tribunale del riesame, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 8, c.p.p. (che richiama l'art. 127 del codice di rito) e 127, comma 3, c.p.p., potesse, su sua richiesta, rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza del luogo di restrizione.

La giurisprudenza era, inoltre, costante nell'affermare che, nel procedimento camerale de libertate, l'audizione, da parte del magistrato di sorveglianza, della persona sottoposta ad indagini che si trovi detenuta fuori del circondario del tribunale competente è sostitutiva dell'intervento in udienza con conseguente nullità assoluta dell'udienza camerale e del suo provvedimento conclusivo nel caso in cui non si proceda all'audizione richiesta (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 29 maggio 2013, n. 26993, Iorio; Cass. pen., Sez. II, 27 giugno 2006, n. 29602, Scarcia; Cass. pen., Sez. II, 25 febbraio 2004, n. 24245, Mini).

La sentenza Pernagallo e la conforme giurisprudenza successiva

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità maturata a seguito dell'entrata in vigore della l. 47/2015, tale facoltà sarebbe ormai recisamente esclusa dall'attuale assetto normativo che consentirebbe esclusivamente la richiesta di partecipazione all'udienza di riesame (con l'onere di presentare la relativa istanza contestualmente alla formulazione dell'atto di gravame) ma non (più) di rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione.

Non sarebbe più consentito, dunque, all'imputato detenuto fuori circondario, chiedere di essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza del luogo di restrizione prima della celebrazione dell'udienza di riesame, evidentemente, in alternativa alla traduzione innanzi al tribunale competente a decidere sull'impugnazione de libertate.

In merito, i giudici di legittimità hanno statuito che, «atteso che la disciplina dell'udienza di riesame assume il carattere di una vera e propria lex specialis rispetto alla disciplina generale prevista dall'art. 127 c.p.p. ed è, quindi, destinata a prevalere su quest'ultima ogniqualvolta esprima una norma diversa e/o incompatibile, non vi è dubbio che, dopo l'introduzione dei modificati commi 6 e 8-bis dell'art. 309 c.p.p., le disposizioni di cui agli artt. 127, comma 3, c.p.p. e 101 disp. att. c.p.p., debbano intendersi non più applicabili all'udienza di riesame, in quanto, se lo fossero, comporterebbero una irragionevole “rimessione in termini” a beneficio esclusivo di chi è detenuto o internato in luogo posto fuori del circondario del Tribunale competente (che potrebbe essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza), con iniqua penalizzazione del soggetto detenuto o internato in luogo interno al predetto circondario (che non potrebbe essere ascoltato)» (cfr. Cass. pen., Sez. I, 6 ottobre 2015, n. 49882, Pernagallo).

Secondo la Corte, pertanto, dopo l'entrata in vigore della l. 47/2015, l'indagato ristretto fuori circondario non avrebbe più la facoltà di essere sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è detenuto, da un lato, perché la nuova disciplina configurerebbe una lex specialis compiutamente definita e quindi escludente quella dettata dall'art. 127 c.p.p. (attinente ai procedimenti in camera di consiglio in generale), dall'altro, perché una diversa soluzione integrerebbe un'irragionevole disparità di trattamento rispetto agli imputati detenuti all'interno del circondario, cui verrebbe — in ipotesi — riservato un trattamento deteriore rispetto a quelli ristretti fuori circondario.

Critiche all'orientamento della Suprema Corte

L'assunto, che pure si rinviene in tutte le successive pronunce della Corte che affrontano specificamente il tema, non pare persuasivo (in linea con la sentenza Pernagallo, affermano il superamento della facoltà, prevista per l'imputato detenuto fuori circondario dall'art. 127, comma 3, c.p.p., di rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione: Cass. pen., Sez. I, 2 novembre 2016, n. 50483, Ventura; Cass. pen., Sez. II, 15 settembre 2016, n. 47893, Angelino e altro; Cass. pen., Sez. IV, 25 maggio 2016, n. 28596, Genica; Cass. pen., Sez. II, 11 marzo 2016, n. 13707, Ciarfaglia; Cass. pen.,Sez. IV, 25 febbraio 2016, n. 12998, Griner).

In primo luogo, va rilevato che la l. 47/2015 non ha modificato l'art. 309, comma 8, c.p.p., che richiama l'art. 127 c.p.p. sul procedimento camerale in generale e, dunque, anche il terzo comma di detta norma, il cui secondo periodo statuisce che, «se l'interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo ;».

Conseguentemente, per quanto non espressamente previsto in maniera difforme, continuano a trovare applicazione al procedimento di riesame anche le disposizioni di cui all'art. 127 c.p.p.

Ma, soprattutto, argomento decisivo a confutazione di quanto stabilito dalla Corte appare essere quello che muove dall'esatto contenuto dell'art. 101 disp. att. c.p.p.

Invero, tale disposizione che — almeno secondo quanto pare potersi desumere dalla sentenza Pernagallo — viene considerata una norma generale in materia di procedimenti camerali e che, proprio per tale ragione, sarebbe derogata da quanto stabilito dal Legislatore del 2015 con i nuovi commi 6 e 8-bis dell'art. 309 c.p.p., che costituirebbero, invece, lex specialis con specifico riferimento al giudizio di riesame, lungi dall'essere una norma a carattere generale, si riferisce puntualmente proprio al procedimento di riesame: essa stessa, pertanto, integra la lex specialis in materia.

Ciò risulta, in maniera inequivocabile, innanzitutto, dalla collocazione sistematica della norma in esame, inserita nel Capo I ,Titolo VII (Disposizioni relative alle misure cautelari) delle disposizioni di attuazione.

Inoltre, l'articolo in questione viene rubricato «Termine per la decisione sulla richiesta di riesame» e, al secondo comma, statuisce che, «quando l'imputato è detenuto o internato in luogo posto fuori del circondario del tribunale competente, il termine previsto dall'art. 309, comma 10, del codice decorre dal momento in cui pervengono al tribunale gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 127, comma 3, del codice. Il magistrato di sorveglianza senza ritardo assume le dichiarazioni dell'imputato, previo tempestivo avviso al difensore e trasmette gli atti al tribunale con il mezzo più celere».

In virtù della norma in esame, il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, previsto per la decisione da parte del tribunale del riesame non decorre fino a quando le dichiarazioni rese dall'imputato detenuto fuori circondario al magistrato di sorveglianza territorialmente competente, opportunamente verbalizzate e cristallizzate, non siano giunte nella disponibilità del tribunale del riesame, a questo trasmesse, senza ritardo, dallo stesso magistrato di sorveglianza.

Il chiaro riferimento al termine previsto dall'art. 309, comma 10, del codice non consente di adombrare dubbi in ordine alla riferibilità della disposizione in commento allo specifico giudizio di riesame e non, genericamente, ai procedimenti in camera di consiglio.

Peraltro, come si è detto, è la stessa rubrica dell'articolo a fare esplicito riferimento alla richiesta di riesame.

Tale disposizione non è stata in alcun modo modificata dal Legislatore del 2015, né tantomeno abrogata: la stessa è, dunque, tuttora vigente, e non può che riferirsi al giudizio di riesame.

Contrariamente al costante indirizzo ermeneutico fatto proprio dalla Suprema Corte, pertanto, sembra doversi concludere che, ancora oggi, pur a seguito dell'entrata in vigore della l. 47/2015, l'indagato detenuto al di fuori del circondario del tribunale del riesame possa, in alternativa alla richiesta di traduzione innanzi a quest'ultimo giudice, rendere dichiarazioni difensive al magistrato di sorveglianza del luogo in cui è ristretto, che devono essere immediatamente trasmesse al tribunale, con la conseguente sospensione del termine di dieci giorni per la decisione fino al momento in cui il verbale contenente le predette propalazioni non sia giunto presso la cancelleria del collegio giudicante.

D'altro canto, la soluzione adottata dal Legislatore, che non può essere sbrigativamente licenziata come una mera dimenticanza o considerata una semplice aporia normativa, appare ispirata a un criterio di economia processuale (oltre che finanziaria): se lo stesso interessato, indagato (o imputato) detenuto al di fuori del circondario del tribunale del riesame, ritiene di poter adeguatamente articolare le proprie difese rendendo dichiarazioni al magistrato di sorveglianza, non si vede per quale motivo dovrebbe essere costretto a rendere le medesime dichiarazioni recandosi personalmente, con tutti i conseguenti oneri di traduzione, innanzi al collegio giudicante, percorrendo (con scorta) magari centinaia di chilometri.

La richiamata giurisprudenza della Corte, peraltro, non fa alcuna distinzione tra primo e secondo comma dell'art. 101 disp. att. c.p.p., con la conseguenza che, stando all'interpretazione propugnata dalla Cassazione, anche il primo comma, al pari del secondo, sarebbe ormai “superato” dalla nuova normativa. Com'è noto, i due commi in esame attengono entrambi (come recita la stessa rubrica dell'articolo) al termine per decidere sull'istanza di riesame, determinandone un prolungamento, che scaturisce: nel secondo comma, dalla necessità di raccogliere e trasmettere al tribunale del riesame, le dichiarazioni rilasciate dal detenuto fuori circondario; nel primo comma, dal legittimo impedimento del detenuto che abbia chiesto di partecipare all'udienza (in quest'ultimo caso, il termine, sospeso per l'impedimento, decorre nuovamente dalla data in cui il tribunale riceve comunicazione della cessazione della causa impeditiva o comunque accerta la cessazione della stessa.

Appare evidente che non vi è alcun motivo per ritenere che il primo comma della disposizione in esame (legittimo impedimento) sia stato “superato” o “abrogato” anche implicitamente dalla l. 47/2015: medesimo ragionamento vale indubbiamente anche per il secondo comma (dichiarazioni al magistrato di sorveglianza). In entrambi i casi si tratta di disposizioni speciali, specificamente riferite al procedimento di riesame, certamente non abrogate dalla normativa sopravvenuta, né esplicitamente, né implicitamente.

Né si può obiettare che la facoltà di rendere dichiarazioni sarebbe comunque garantita dal testo dell'art. 123 c.p.p., Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate, secondo cui l'imputato detenuto ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste con atto ricevuto dal direttore, così come l'imputato in stato di arresto o di detenzione domiciliare può esercitare la medesima facoltà con atto ricevuto da un ufficiale di polizia giudiziaria, con la precisazione che le impugnazioni, le dichiarazioni e le richieste in tal modo articolate sono immediatamente comunicate all'autorità competente e hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria.

Infatti, è agevole rilevare come la facoltà sancita dall'art. 101 disp. att. c.p.p. sia assistita da un compendio di garanzie non previste, invece, dall'assai più generico art. 123 c.p.p. (l'obbligo di rendere preventivamente tempestivo avviso al difensore dell'imputato; la qualifica del soggetto cui vengono rese le dichiarazioni, direttamente l'autorità giudiziaria e non il direttore dell'istituto penitenziario o un ufficiale di polizia giudiziaria; nonché, soprattutto, la sospensione del termine per la decisione da parte del Tribunale fino a quando il verbale che contiene le dichiarazioni rese dall'indagato non sia giunto nella sua disponibilità).

A ben vedere, anzi, l'art. 123 c.p.p. segue una logica opposta a quella che ispira l'art. 101 disp. att. c.p.p.: tale seconda disposizione fa decorrere gli effetti delle dichiarazioni rese solo dal momento in cui il verbale che le contiene giunge presso la cancelleria del giudice competente a decidere; l'art. 123 c.p.p., al contrario, anticipa gli effetti della dichiarazione al momento in cui essa viene resa al direttore dell'istituto penitenziario, come se le medesime dichiarazioni fossero state rese direttamente all'autorità giudiziaria procedente.

Quanto all'ulteriore questione posta dalla Corte, secondo la quale il riconoscimento in favore dell'imputato detenuto al di fuori del circondario della facoltà di rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza costituirebbe una «iniqua penalizzazione del soggetto detenuto o internato in luogo interno al predetto circondario (che non potrebbe essere ascoltato)», può osservarsi che ad entrambi verrebbe comunque riconosciuto il diritto di presenziare all'udienza di riesame, rendendo tutte le dichiarazioni difensive necessarie. Tale facoltà (maggiore) sarebbe riconosciuta ad entrambi, mentre al detenuto fuori circondario verrebbe attribuita una facoltà minore, in alternativa, non in aggiunta, alla prima, rappresentata dalla possibilità di farsi ascoltare dal magistrato di sorveglianza, in considerazione, com'è ragionevole che sia, della distanza del luogo di detenzione.

Non si ritiene che una simile interpretazione, che si considera più aderente al dato normativo, nonché in grado di contemperare al meglio le facoltà difensive con rilevanti esigenze di economia processuale, possa rappresentare un vulnus alle prerogative dell'indagato detenuto nel circondario o integrare un'inaccettabile disparità di trattamento tra indagati in base al luogo di restrizione degli stessi.

Appare significativo rilevare, infine, che, in una recentissima pronuncia, applicando la disciplina scaturita dalle innovazioni apportate dalla l. 47/2015, la Corte, evidentemente ritenendo ancora possibile che l'imputato detenuto fuori circondario renda dichiarazioni al magistrato di sorveglianza del luogo di restrizione, seppur non motivando specificamente sulla sopravvivenza di detta facoltà alla novella del 2015, ha stabilito che «allorché si proceda ai sensi dell'art. 309 c.p.p., il terzo comma dell'art. 127 stesso codice deve essere interpretato non nel senso che l'interessato debba essere sentito prima del giorno fissato per l'udienza, bensì nel senso che l'udienza deve essere tenuta dopo avere sentito l'interessato e dopo che gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza siano pervenuti al Tribunale del riesame» (Cass. pen., Sez. II, 25 maggio 2016, n. 24021, Papa, secondo cui l'audizione dinanzi al magistrato di sorveglianza deve avvenire prima dell'udienza di riesame con una tempistica tale da garantire l'eventuale allegazione di motivi nuovi, senza necessità che vi sia uno iato temporale prestabilito e inderogabile fra i due eventi processuali: audizione dell'indagato e udienza di riesame).

In conclusione

Può concludersi, in definitiva, che, nonostante il pacifico orientamento ormai assunto dalla Suprema Corte, debba ritenersi ancora oggi possibile, pur a seguito della l. 47/2015, che l'indagato detenuto al di fuori del circondario del tribunale del riesame, prima della celebrazione dell'udienza ex art. 309 c.p.p., chieda di essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione. Le sue dichiarazioni, esattamente come in precedenza, devono essere trasmesse, a pena di nullità, senza ritardo al tribunale del riesame e il termine di dieci giorni per la decisione decorre solo a partire dal momento in cui il verbale che le contiene giunge nella cancelleria del tribunale (art. 101, comma 2, disp. att. c.p.p.).

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