Bancarotta per distrazione: il reato non sussiste se la società ha a disposizione altre risorse
18 Dicembre 2015
Con la sentenza n. 49622 depositata il 16 dicembre scorso, la Corte di cassazione ribadisce come il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale si configuri quale reato di pericolo concreto, aggiungendo che tale fattispecie delittuosa non può essere contestata all'amministratore che impoverisca la società di risorse enormi quando questa abbia comunque a disposizione risorse ben più rilevanti idonee a fornire garanzia per eventuali pretese creditorie.
Il caso. La Corte d'appello di Napoli confermava la sentenza del Gup di Avellino con la quale alcuni membri del C.D.A e del collegio sindacale di una società cooperativa a responsabilità limitata venivano condannati per bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver concorso alla distrazione dei beni della cooperativa attraverso il conferimento di un ramo dell'azienda ad una S.R.L. di nuova costituzione, alla quale conferivano gratuitamente anche marchio, il know how e autorizzazioni amministrative poco prima del fallimento della cooperativa.
L'indeterminatezza dell'imputazione. Avverso tale pronuncia propongono ricorso per cassazione gli imputati lamentando la nullità della sentenza per indeterminatezza delle imputazioni. I ricorrenti si erano infatti visti contestare le condotte di cui all'art. 216, n. 1 ma la sentenza con cui il Gup li riteneva responsabili in primo grado, sottolineando come le condotte contestate si concretizzavano nel conferimento dell'intera azienda la cui sopravvivenza era mera utopia, era invece riferita alla diversa fattispecie di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, l. fall.
La lesione del diritto di difesa. La Corte di cassazione ritiene fondate le censure così sollevate e sottolinea come non siano condivisibili le argomentazioni del giudice di merito, secondo il quale pur rimanendo nell'identità del fatto contestato la diversa qualificazione giuridica dello stesso non abbia comportato una lesione del diritto di difesa. Al contrario, i ricorrenti inizialmente rinviati a giudizio per aver (tra l'altro) distratto beni della cooperativa, ritennero di optare per il rito abbreviato, ma si videro poi dichiarati penalmente responsabili per la diversa fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il capo d'imputazione contestato riferendosi all'art. 223 l. fall. doveva infatti intendersi come riferito alle condotte di cui all'art. 216, nn. 1 e 2, non potendo in alcun modo essere interpretato come strumento formale per far rientrare nell'addebito le ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 223 l. fall. considerato pacificamente come reato di evento consistente nella declaratoria di fallimento, quale conseguenza eziologica della condotta dolosa del soggetto.
L'elemento soggettivo nel reato. In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale invece assumono rilevanza penale, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione in qualunque momento verificatisi anche prima dunque dello stato di insolvenza, senza che sia necessario alcun nesso causale o psichico tra la condotta e il dissesto dell'impresa. Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo concreto e si perfeziona con il dolo generico della consapevolezza di dare una destinazione diversa al patrimonio sociale come dimostra la divergenza strutturale tra la fattispecie di cui all'art. 216 l. fall. e quella risultante delle varie ipotesi di cui all'art. 223 l. fall., le uniche in cui il legislatore abbia espressamente conferito rilievo alle condotte che hanno cagionato il fallimento. Tale argomentazione non può superarsi nemmeno considerando l'art. 223, comma 2 come norma di chiusura con funzioni interpretative dell'intero sistema sanzionatorio.
Il concreto pericolo per le garanzie creditorie. In conclusione, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale punisce il depauperamento dell'impresa consistente nell'aver destinato le risorse della stessa a scopi estranei all'oggetto sociale, in cui la rappresentazione e la volontà dell'agente attiene alla deminutio patrimoni e non certo al successivo fallimento. Si configura dunque come reato di pericolo concreto in cui la concretezza assume la sua dimensione effettiva nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento, condizione comunque non indispensabile per l'esercizio dell'azione penale. Deve dunque restare esente da pena il soggetto che distragga enormi risorse alla società se la stessa ha comunque a disposizione riserve ben più rilevanti e idonee a fronteggiare le eventuali pretese creditorie, posto che in tal caso il pericolo di pregiudizio per i creditori non assume la concretezza richiesta dall'ordinamento. Per questi motivi, la Corte di cassazione accoglie il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Fonte: ilSocietario.it |