I rapporti tra i delitti di associazione di tipo mafioso e di riciclaggio

Piero Indinnimeo
Raffaele Frate
19 Aprile 2016

La sentenza n. 25191 del 27 febbraio 2014 delle Sezioni unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale insorto tra le Sezioni semplici, ha affermato il principio di diritto per cui non è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen. e quello di cui all'art. 416-bis cod. pen., quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa.
Abstract

La sentenza n. 25191 del 27 febbraio 2014 delle Sezioni unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale insorto tra le Sezioni semplici, ha affermato il principio di diritto per cui non è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen. e quello di cui all'art. 416-bis cod. pen., quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa.

Nel caso di specie, la questione di diritto sottoposta alle Sezioni unite trae origine dal ricorso promosso da soggetto partecipe ad associazione camorristica avverso il provvedimento del tribunale di Napoli che rigettava la richiesta di riesame dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta, nei confronti dello stesso, dal Gip in sede.

Nel promosso ricorso le doglianze concernevano la violazione di legge in relazione all'imputazione ex art. 648-ter c.p.: il ricorrente, infatti, risultava già indagato per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p., aggravato ex comma 6, in relazione alla sua partecipazione all'associazione camorristica del "clan dei Casalesi"; pertanto, sosteneva il ricorrente, non poteva essergli contestato anche l'illecito reimpiego del denaro, dei beni e delle utilità che proprio dall'associazione mafiosa scaturivano: lo avrebbe impedito la clausola di riserva prevista dalla lettera dell'art. 648-ter c.p., che prevede si risponda di illecito reimpiego unicamente quando non sussista alcun concorso nel reato che costituisce il presupposto dell'approvvigionamento dei capitali reinvestiti.

Percorsi giurisprudenziali

La prima sezione della Corte di cassazione, investita del ricorso, rilevava come fosse possibile riscontrare, in merito, due diversi e contrastanti orientamenti giurisprudenziali.

Il contrasto fra i due indirizzi evidenziati dalla prima sezione verteva, essenzialmente, sulla operatività della clausola fuori dai casi di concorso nel reato nei casi in cui fosse stato lo stesso sodalizio mafioso a generare autonomamente i proventi oggetto di riciclaggio o reimpiego. Più precipuamente:

Secondo un primo e prevalente orientamento fra il delitto di riciclaggio e quello idi associazione per delinquere, non vi è alcun rapporto di presupposizione. La clausola di riserva che qualifica la disposizione incriminatrice del delitto di riciclaggio dei beni provenienti dalla attività associativa, pertanto, in questa ipotesi non opera ed il concorrente del delitto associativo di matrice mafiosa può essere chiama a rispondere di quello di riciclaggio dei beni provenienti dalla attività associativa, sia quando il delitto presupposto sia da individuarsi nei delitti fine, attuati in esecuzione del programma a criminoso (Cass. pen., Sez. II, 14 febbraio 2003, n.10582; Cass. pen., Sez. II, 2 settembre 2005, n. 40793; Cass. pen., Sez. II, 8 novembre 2007, n. 44138), sia quando esso sia costituito dallo stesso reato associativo di per sé idoneo a produrre proventi illeciti, rientrando tra gli scopi dell' associazione anche quello di trarre vantaggi o profitti da attività economiche illeciti per mezzo del metodo (Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2008, n. 6930; Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2008, n. 1439; Cass. pen., Sez. I, 27 maggio 2011, n. 40354 e Cass. pen., Sez. II, 4 giugno 2013, n. 27292).

Tali principi, si afferma nell'ordinanza di rimessione riprendendo la giurisprudenza citata, conservano validità anche con riguardo all'art. 648-ter c.p., data la sostanziale identità del fatto.

Secondo un altro e più recente orientamento si afferma, invece, l'impossibilità di configurare il reato previsto dall'art. 648-ter c.p. quando la contestazione del reimpiego riguarda denaro, beni o utilità la cui provenienza illecita trova la sua fonte nell'attività costitutiva dell'associazione per delinquere di stampo mafioso ed è rivolta ad un associato cui quella attività sia concretamente attribuibile, sottolineando il tenore letterale della norma e l'insussistenza di ragioni ermeneutiche che depongano in senso contrario.

Questo secondo orientamento si fonda su un unico apporto giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. VI, 24 maggio 2012, n.25633); a questa sentenza si può aggiungere una ulteriore pronuncia sul punto: Cass. pen., Sez. V, 14 gennaio 2010, n. 17694, che ha contrastato il riportato indirizzo, ritenendo che, una volta che il delitto associativo di tipo mafioso si consideri per sé potenzialmente idoneo a costituire il reato presupposto dei delitti di riciclaggio e di illecito reimpiego, non sono ravvisabili ragioni ermeneutiche che consentano, già in linea di principio, di escludere anche per esso l'operatività della cosiddetta clausola di riserva fuori dei casi di concorso nel reato.

Pertanto, preso atto del contrasto giurisprudenziale, il ricorso veniva assegnato alle Sezioni unite perché si pronunciassero sulla seguente questione di diritto: se sia configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen. e quello di cui all'art. 416-bis cod. pen., quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa.

Il significato della clausola “fuori dai casi di reato” e la configurabilità del concorso di reati

In buona sostanza, la questione da dirimere concerne il nesso intercorrente tra le connotazioni assunte dai delitti di riciclaggio e reimpiego e le clausole di riserva, fuori dei casi di concorso nel reato contenute nell'incipit delle due disposizioni. Infatti, entrambi i dettati normativi prevedono l'impunità per i reati descritti nei confronti di colui che abbia commessoo concorso a commettere il delitto presupposto. Ed invero, le due fattispecie di reato in parola esordiscono facendo salvi i casi di concorsodi persone nel reato, con la conseguenza che il riciclaggio e l'impiego di denaro, beni o utilità, posti in essere dai partecipi dei delitti dai quale essi provengono non determinano l'attribuzione di una responsabilità ulteriore rispetto a quella che deriva dall'art. 110 c.p.

Corre l'obbligo di evidenziare come il significato di tale clausola fuori dei casi di concorso nel reato sia stato variamente interpretato: infatti, secondo la Corte la previsione che esclude l'applicabilità dei delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali nei confronti di chi abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto costituisce una deroga al concorso di reati che trova la sua ragione di essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore di ritenere l'intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto.

Venendo ora alla decisione, le Sezioni unite, con la sentenza 27 febbraio 2014, n. 25191, hanno affermato che non è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter c.p. e quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa. Si esclude, quindi, la possibilità che all'associato del delitto di cui all'art. 416-bis c.p. possano contestarsi anche i reati di riciclaggio o reimpiego dei proventi illeciti dello stesso delitto associativo.

Le Sezioni unite, con chiarezza definitoria, affermano che la previsione che esclude l'applicabilità dei delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali nei confronti di chi abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto costituisca una deroga al concorso di reati basata sulla valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere l'intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto.

Affermata la natura di clausola di riserva della previsione normativa con la quale esordiscono le fattispecie di cui agli artt. 648, 648-bise 648-ter c.p., la Corte di cassazione si interroga su un passaggio preliminare indispensabile per risolvere la questione sottoposta, e cioè se il delitto di associazione di tipo mafioso possa costituire di per sé una fonte di ricchezza illecita suscettibile di riciclaggio o di reimpiego, indipendentemente dalla commissione di singoli reati fine.

La soluzione proposta è positiva, condividendosi l'orientamento giurisprudenziale maggioritario che ritiene il delitto di associazione di tipo mafioso autonomamente idoneo a generare ricchezza illecita, a prescindere dalla realizzazione di specifici delitti, rientrando tra gli scopi dell'associazione anche quello di trarre vantaggi o profitti da attività lecite per mezzo del metodo mafioso (si richiamano in tema Cass. pen., Sez. VI, 30 ottobre 2009, n. 45643; Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2009, n. 6930; Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2008, n. 2451; Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2008, n. 1439; Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2008, n. 1024; Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2008, n. 6931).

A corroborare l'assunto della Corte di cassazione depongono una serie di qualificanti elementi: in primo luogo la rubrica e il dato testuale dell'art. 416-bis c.p. Associazioni di tipo mafioso anche straniere rispetto all'art. 416 c.p. Associazione per delinquere che rispecchia la differenza ontologica delle due fattispecie, delle quali la seconda preordinata esclusivamente alla commissione di reati, la prima contraddistinta da una maggiore articolazione del disegno criminoso e tale in ragione dei mezzi usati e dei fini perseguiti, individuando il metodo mafioso mediante la fissazione di tre parametri caratterizzanti necessari: forza intimidatrice del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e condizione di omertà.

In secondo luogo la maggiore ampiezza degli scopi perseguiti dal sodalizio di stampo mafioso, delineati nel terzo comma dell'art. 416-bis c.p. in modo alternativo. In tal modo, nello schema della fattispecie incriminatrice, si esprimono le più recenti dinamiche delle organizzazioni mafiose, che cercano il loro arricchimento non solo mediante azioni criminose ma anche attraverso il reimpiego in attività economico-produttive dei proventi derivanti dalla pregressa attività criminosa, il controllo delle attività economiche mediante il ricorso alla metodologia mafiosa, la realizzazione di profitti conseguiti avvalendosi della particolare forza d'intimidazione del vincolo associativo e mafioso.

Da ultimo il dato normativo offerto dal settimo comma dell'art. 416-bis c.p. che, nel prevedere la confisca obbligatoria, nei confronti del condannato per tale reato, delle cose costituenti il prezzo, il prodotto, il profitto del reato o l'impiego dei predetti proventi, presuppone che l'associazione in quanto tale sia produttiva di ricchezze illecite.

La Cassazione, dunque, stabilito il ruolo di reato presupposto della fattispecie ex art. 416-bis c.p. quale antecedente logico alla soluzione, traccia il percorso del contrasto interpretativo oggetto della questione, evidenziando come in sostanza si delinei piuttosto un equivoco che una difformità di indirizzi vera e propria. Ed infatti, le decisioni ricondotte al primo dei due indirizzi giurisprudenziali, ritenuti espressione del contrasto, non hanno, secondo la ricostruzione delle Sezioni unite, affrontato la specifica questione circa la non applicabilità della clausola di riserva all'autore del delitto presupposto di associazione mafiosa che commetta anche la condotta di ricettazione, riciclaggio o reimpiego. In altre parole, non si erano preoccupate di interrogarsi effettivamente sulla non applicabilità del beneficio di autoriciclaggio all'autore del reato presupposto qualora questo fosse dato dall'associazione mafiosa di cui il soggetto fosse partecipe, confondendo peraltro i piani di ragionamento ed ingenerando l'equivoco interpretativo alla base del contrasto.

Diversamente, altre due pronunce, facenti capo a quello che veniva rilevato essere l'opposto orientamento, (Cass. pen., Sez. VI, 24 maggio 2012, n. 25633; Cass. pen., Sez. V, 14 gennaio 2010, n. 17694) hanno ritenuto non configurabile il reato previsto dall'art. 648-ter c.p. ovvero quello di riciclaggio, quando tali contestazioni riguardino denaro, beni o utilità la cui provenienza illecita trovi la sua fonte nell'attività costitutiva dell'associazione per delinquere di stampo mafioso e siano rivolta ad un associato cui quell'attività sia concretamente attribuibile. Si argomenta in tali pronunce che, ove si ritenga che il delitto associativo di tipo mafioso sia da considerare per sé potenzialmente idoneo a costituire il reato presupposto dei delitti di riciclaggio e di illecito reimpiego, non sono ravvisabili ragioni ermeneutiche che consentano, già in linea di principio, di escludere l'operatività della c.d. clausola di riserva – “fuori dei casi di concorso nel reato” – anche per esso.

A tale orientamento aderiscono le Sezioni unite con la pronuncia in esame nella quale compiono ulteriori rilevanti affermazioni in tema di aggravante prevista dall'art. 416-bis, comma 6, c.p., contestata al ricorrente nel procedimento parallelo per il reato associativo, presupposto di quello di reimpiego oggetto della rimessione e, pertanto, ritenuta rilevante.

Si chiarisce come essa sia configurabile nei confronti dell'associato che abbia commesso il delitto che ha generato i proventi oggetto, da parte sua, di successivo reimpiego. Tale conclusione viene fondata sull'interpretazione letterale dell'art. 416-bis, comma 6, c.p., in cui sono assenti forme di esclusione o limitazione della responsabilità per tale ipotesi, e sulla ratio giustificatrice della disposizione che, si dice, rappresenta una sorta di progressione criminosa rispetto al reato-base e denota la maggiore pericolosità di un'organizzazione che, mediante il conseguimento degli obiettivi prefissati, produce una più intensa lesione degli interessi protetti, influendo sul mercato finanziario e sulle regole della concorrenza mediante la penetrazione in settori di attività imprenditoriale lecita.

Le Sezioni unite, d'altra parte, chiariscono come il necessario coordinamento sistematico tra l'art. 416-bis, comma 6, c.p. e l'art. 648-ter c.p. porti, al contrario, ad escludere che, in questo caso, l'associato possa autonomamente rispondere anche del delitto di reimpiego, non consentendolo la clausola personale di esclusione della responsabilità avente valenza generale.

La lettera dell'art. 416-bis, comma 6, c.p. osta, infine, a che l'associato possa essere chiamato a rispondere ad alcun titolo del post-fatto di autoriciclaggio.

In conclusione

Alla luce della emanata sentenza in esame, il quadro dei rapporti fra l'art. 416-bis c.p. e gli artt. 648-biso 648-ter c.p., di fatto, viene ricondotto ad una precisa e schematica ricostruzione casistica da parte delle Sezioni Unite delineata nei seguenti termini:

  • se il soggetto che ricicla o reimpiega i proventi derivanti da uno dei delitti fine dell'associazione mafiosa non è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa, né ha concorso nel delitto fine, risponderà solo ex art. 648-biso 684-ter c.p.; ed inoltre, se non è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa ma ha concorso nel delitto fine, risponderà del delitto fine da lui commesso ma non di riciclaggio o reimpiego (operando in questo caso la clausola di esclusione fuori dai casi di concorso nel reato);
  • se, invece, il soggetto che ricicla o reimpiega i proventi derivanti da uno dei delitti fine dell'associazione mafiosa è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa ed ha concorso nel delitto fine, risponderà "solo" di associazione per delinquere di stampo mafioso e del delitto fine da lui commesso ma non di riciclaggio o reimpiego (anche in questo caso, infatti, opererà la clausola di esclusione);ed ancora, se è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa ma non ha concorso nel delitto fine, risponderà tanto del delitto di associazione mafiosa, quanto del riciclaggio o del reimpiego (in questi caso, infatti, la clausola di esclusione prevista dagli artt. 648-biso 684-ter c.p. opera solo in relazione al delitto-fine dell'associazione mafiosa e mai in relazione all'associazione stessa).

Infine, il soggetto che ricicla o reimpiega i proventi frutto diretto dell'associazione per delinquere di stampo mafioso (quei proventi, cioè, che il sodalizio criminoso è in grado di produrre, valendosi del metodo mafioso, senza la commissione di alcun ulteriore reato): se non è membro o concorrente esterno nell'associazione di cui all'art. 416-bis c.p., risponderà solo dei delitti di riciclaggio o reimpiego; al contrario, se è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa, risponderà solo dell'associazione per delinquere di stampo mafioso e non del riciclaggio o reimpiego (essendo, in questo caso, la stessa associazione di cui all'art. 416 bis c.p. il reato presupposto dei delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter c.p. ed operando, dunque, la clausola di esclusione).

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