Sussiste il reato di molestia anche se le offese via sms sono reciproche
19 Luglio 2016
Chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da un soggetto condannato per i reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e molestia e disturbo alle persone commesse per mezzo del telefono (art. 660, comma 1, c.p.) la Cassazione, sesta Sezione, ha affermato che la reciprocità delle offese, prevista come causa di non punibilità dall'art. 599, comma 1, c.p., non fa venir meno la contravvenzione contestata. Se si ritenesse che, in caso di reciprocità delle ingiurie effettuate col mezzo del telefonico, venga sempre la mancare “la petulanza o altro biasimevole motivo”, richiesto dalla norma incriminatrice delle molestie, si opererebbe di fatto un'estensione della causa di non punibilità in questione ad un'altra fattispecie incriminatrice, contro l'evidente volontà del legislatore che, appunto, ha limitato la previsione eccezionale del reato di ingiuria Pertanto, sostengono i giudici di legittimità, l'autore delle ingiurie, anche qualora queste siano reciproche con la persona offesa, può comunque agire per petulanza o per altro biasimevole motivo e, quindi, la sua condotta può rilevare ai sensi dell'art. 660 c.p. Inoltre, chiarisce la suprema Corte, anche nell'ipotesi in la condotta non venga punita, perché il giudice ritiene sussistente la suddetta causa di non punibilità, non viene meno la sua illiceità. Ciò comporta che non può essere applicato l'art. 625 c.p.p. in quanto l'art. 599, comma 1, c.p. non fa venir meno la natura di illecito civile e l'esistenza di un'obbligazione risarcitoria, ove ne sia derivato un danno, che può esser fatta valere in sede civile |