Principi e criteri direttivi della delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario
19 Ottobre 2015
Abstract
Il d.d.l. S.2067 attualmente in attesa di essere esaminato al Senato, contiene la delega al Governo per Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena. L'art. 31 del d.d.l. in esame reca, in particolare, i principi e criteri direttivi per la riforma dell'ordinamento penitenziario che dovranno toccare molti e delicati profili dell'attuale assetto normativo: dalla semplificazione del procedimento di sorveglianza, alle condizioni di accesso alle misure alternative alla detenzione – anche con riferimento alla eliminazione delle preclusioni che impediscono o rendono difficile per gli autori di determinate specie di reati l'accesso ai benefici penitenziari – oltre all'introduzione di strumenti di giustizia riparativa. La delega contempla, altresì, interventi in materia di lavoro penitenziario, di volontariato, di tutela della salute e delle esigenze affettive dei soggetti ristretti nonché i criteri direttivi per l'adeguamento dell'ordinamento penitenziario alle esigenze rieducative dei condannati minori d'età.
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La questione penitenziaria, apertasi in seguito alla sentenza Cedu Torreggiani e al. c. Italia dell'8 gennaio 2013, la quale ha condannato l'Italia per violazione dell'art. 3 Cedu a causa delle condizioni detentive inumane e degradanti sofferte dai ricorrenti in ragione del sovraffollamento ormai sistemico degli istituti di pena, ha determinato l'attuale Guardasigilli, nella consapevolezza della non rinviabilità dei necessari interventi sul nostro sistema penitenziario, a presentare un d.d.l. delega per la riforma dell'esecuzione penitenziaria. Ad accompagnarne il non facile cammino parlamentare, sono i lavori degli Stati generali dell'esecuzione penale: vera e propria assise culturale (composta da professori, magistrati, avvocati, operatori penitenziari, rappresentanti di associazioni, professionisti, ministri di culto), istituita presso il Ministero della giustizia con il duplice obiettivo di fornire al futuro legislatore delegato materiale tecnico-giuridico utile all'attuazione dei criteri direttivi espressi dalla legge in discussione e di sensibilizzare l'opinione pubblica sui temi della riforma, nella consapevolezza che si tratta di un tema tradizionalmente poco sentito dalla coscienza civile del Paese. L'art. 31, lett. a), del d.d.l. in esame prevede la semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, fatta eccezione per quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione. Si tratta di un'ipotesi che persegue una razionalizzazione della materia procedurale con l'obiettivo di abbattimento dei tempi di definizione delle procedure di sorveglianza, così da rendere più rapida ed efficiente l'attività della magistratura di sorveglianza, soprattutto in rapporto alle esecuzioni relative a pene di breve durata in relazione alle quali la tempistica delle procedure gioca un ruolo cruciale. A fronte di tale esigenza, peraltro, occorre tenere conto che la rinuncia al contraddittorio per alcune fasi o gradi dei procedimenti di sorveglianza, già operata nel passato dal legislatore in relazione ad alcune materie (es. liberazione anticipata, riabilitazione, applicazione delle sanzioni sostitutive) sembra avere – per così dire – “saturato” gli ambiti di possibile ulteriore intervento, se si considera che alcuni gruppi di materie (quali ad es. i procedimenti in tema di misure di sicurezza o di applicazione delle misure alternative alla detenzione comprese nel capo VI della l. 354/1975) sembrano refrattari – a pena di torsioni sul piano dei principi costituzionali – a compressioni del contraddittorio che limitino o escludano la facoltà di interlocuzione diretta dell'interessato con il proprio giudice, la quale risponde inoltre alle esigenze correlate alla formulazione di una valutazione sulla personalità del condannato o dell'internato; mentre per altri ambiti (es. i reclami giurisdizionali di cui all'art. 35-bis ord. penit., o i rimedi risarcitori previsti dall'art. 35-ter della medesima legge, rispettivamente introdotti dai d.l. 146/2013 (conv. in l. 10/2014) e d.l. 92/2014 (conv. in l. 117/2014), il legislatore ha optato per una piena giurisdizionalità fin dal primo grado del procedimento, del che apparirebbe contraddittoria una scelta di segno contrario. La lett. b) indica la necessità della revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale. Il tenore del criterio direttivo in esame pare concentrarsi esclusivamente sull'obiettivo di deflazionare le eccessive presenze nelle carceri per effetto dell'overcrowding che, tuttavia, dovrebbe essere perseguito – anche in chiave “costituzionalmente orientata” – non solo sul fronte del più agevole accesso dei detenuti al circuito delle misure extramurarie ma anche con strumenti per evitare o rendere più difficile l'ingresso stesso in carcere a quei condannati per i quali la detenzione intra moenia si configurerebbe sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva del reato e al grado di pericolosità del soggetto, così come era stato con i recenti interventi operati con la recente l. 67/2014 in tema di trattamento sanzionatorio e di istituti deflativi operanti sul versante processuale (la “messa alla prova” dell'imputato adulto e la non punibilità del reo per speciale tenuità del fatto). Coordinate per l'attuazione del criterio direttivo in esame dovrebbero, in ogni caso, essere costituite dalla revisione degli attuali limiti di pena posti all'accesso alle misure alternative e dalla modifica della disciplina di alcuni benefici penitenziari e misure alternative, così da favorire un più ampio accesso ai benefici alternativi già dallo stato di libertà mentre dura la sospensione dell'ordine di esecuzione (art. 656, comma 5, c.p.p.). La lett. c), strettamente collegata al precedente criterio, richiede la revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell'ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni e che il procedimento di sorveglianza garantisca il diritto alla presenza dell'interessato e la pubblicità dell'udienza. Sul piano procedurale il criterio mira ad allineare l'attuale meccanismo della sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'evocata disposizione del comma 5, art. 656 c.p.p., con l'attuale soglia di pena massima che consente l'accesso ai principali benefici penitenziari (segnatamente, l'affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare). Merita di essere segnalata l'esigenza sussunta dalla direttiva di recepire il principio affermato dalla recente sentenza costituzionale n. 97 del 2015 in relazione all'esigenza della pubblicità delle udienze dei procedimenti camerali di sorveglianza. La lett. d)contiene alcune innovazioni sul versante dell'esecuzione delle misure alternative, prevedendo una necessaria osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà, stabilendone tempi, modalità e soggetti chiamati a intervenire; integrazione delle previsioni sugli interventi degli uffici dell'esecuzione penale esterna; previsione di misure per rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante il coinvolgimento della polizia penitenziaria. Si tratta di una previsione ambiziosa quanto agli obiettivi che si propone di perseguire in quanto evidente l'attuale distanza tra essi e le risorse materiali e umane sul campo, soprattutto con riguardo all'esigenza di un rafforzamento dell'organico degli Uepe attualmente in affanno nell'assolvimento della molteplicità dei compiti di cui sono titolari già a normativa vigente. La lett. e) impone di procedere alla eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di preclusione dei benefìci penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque per le condanneper i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale. Benché la sua valenza riformatrice, in seguito alle critiche mosse al testo originario, abbia subìto un importante depotenziamento nel testo licenziato dalla Camera, contenendo ora la clausola eccettuativa riferita ai condannati per reati di mafia e terrorismo internazionale, si tratta di una delle direttive più gravide di ricadute sul piano sistematico ed assume – anche per il suo valore altamente simbolico – una importanza decisiva sul versante di quel mutamento culturale che si invoca da più parti in relazione al significato e alle finalità della legge di ordinamento penitenziario. L'intervento riformatore che, in forza di tale disposto, potrà esercitarsi da parte del legislatore delegato si dovrebbe indirizzare su tre direttrici, le quali opererebbero nei confronti di altrettanti gruppi di preclusioni attualmente presenti nella legge di ordinamento penitenziario e coincidenti con i “blocchi” relativi ai benefici penitenziari concedibili ai condannati per particolari reati (art. 4-bis, ord. penit.), con le preclusioni relative ai “recidivi qualificati” (art. 99, comma 4, c.p.) e con il regime applicato agli ergastolani non collaboratori (c.d. ergastolo ostativo). Si tratta di un ampio fronte di intervento che potrebbe portare al quasi completo superamento del c.d. sistema a doppio binario, introdotto dalla l. 203/1991, il quale cristallizza l'opzione legislativa di subordinare la concessione dei benefici penitenziari alla positiva collaborazione processuale dell'interessato, obliterando così del tutto il profilo inerente alle esigenze rieducative connesse all'esecuzione della pena. L'esercizio della delega potrebbe quindi portare al mantenimento dell'attuale regime restrittivo soltanto per i condannati per mafia o terrorismo, portando, in tutti gli altri casi, al superamento degli automatismi preclusivi al percorso trattamentale esterno al carcere. Un delicato profilo di intervento concerne il c.d. ergastolo ostativo (la situazione, cioè, dell'ergastolano condannato per reati di cui all'art. 4-bis, comma 1, ord. penit., che non abbia collaborato con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter, ord. penit.). Una modifica dell'attuale disciplina (che, in quanto integrante una pena perpetua, immodificabile e insensibile perfino alle riduzioni di pena concesse a titolo di liberazione anticipata si pone in oggettivo contrasto con il principio di recupero sociale del reo sancito dalla Carta costituzionale all'art. 27, comma 3, Cost.), dovrebbe puntare alla revisione dell'art. 58-ter ord. penit. nel senso di sostituire il requisito della collaborazione con la giustizia ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari con il raggiungimento della prova positiva della dissociazione del soggetto dall'organizzazione criminale e ciò sulla scorta di quanto proposto dalla Commissione ministeriale “Palazzo”. Tale Commissione, istituita per Elaborare proposte di interventi in tema di sistema sanzionatorio penale, già aveva suggerito di trasformare l'attuale previsione della mancata collaborazione da presunzione assoluta di insussistenza dei requisiti per la concedibilità al detenuto o all'internato dei benefici penitenziari, a presunzione relativa, superabile con adeguata motivazione da parte del giudice nonché di introdurre ipotesi di accesso alle misure alternative, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a fronte di condotte inequivocabilmente indice di distacco dall'organizzazione criminale di appartenenza e riparative del danno arrecato con la commissione del delitto. Quest'ultimo profilo viene considerato, su un piano più generale, dalla direttiva contenuta nella lett. f) che contempla la previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell'esecuzione delle misure alternative. L'implementazione della restorative justice risponde a un'esigenza fortemente avvertita dalla coscienza sociale e dovrebbe consentire il superamento dell'attuale assetto normativo dove la vittima del reato costituisce il vero “convitato di pietra” dell'attuale dinamica esecutiva della pena che appare, sotto tale importante profilo, risentire di un'anacronistica e ingiusta visione di marginalizzazione della persona offesa, soggetto che dovrebbe, invece, essere portato in primo piano. Il criterio di cui alla lett. g)prevede una maggiore valorizzazione del lavoro, in ogni sua forma intramuraria ed esterna, quale strumento di responsabilizzazione individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche attraverso il potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza esterna, aggiornando quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento. Il lavoro dovrebbe essere un aspetto cruciale del percorso rieducativo del condannato eppure attualmente è forse il punto di maggiore criticità della concreta attuazione del trattamento in favore dei detenuti a causa della elevata onerosità del sistema di gestione del lavoro e della scarsità delle risorse disponibili. Una profonda rinnovazione del sistema dovrebbe partire dal ruolo e dalla funzionalità della Cassa Ammende e da un intervento sul costo del lavoro penitenziario. La promozione del lavoro penitenziario dovrebbe, inoltre, venire dall'istituenda Agenzia per il lavoro penitenziario i cui compiti andrebbero dall'erogazione di sostegni finanziari alle imprese che hanno attivato filiere lavorative con l'amministrazione penitenziaria, al dialogo con il mondo dell'imprenditoria e alla collaborazione con il Dap., i Provveditorati regionali e le direzioni penitenziarie. Nella stessa direzione si muove la direttiva contenuta nella lett. h), volta ad implementare il contributo della comunità esterna al trattamento rieducativo dei detenuti attraverso la previsione di una maggior valorizzazione del volontariato sia all'interno del carcere, sia in collaborazione con gli uffici di esecuzione penale esterna,. Alla lett. i) è invece raccomandatauna modifica della disciplina dell'utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, con modalità che garantiscano il rispetto del diritto di difesa, sia per favorire le relazioni familiari. Sotto l'aspetto operativo consiste nell'estendere la possibilità di utilizzo della videoconferenza per la partecipazione ai procedimenti camerali di sorveglianza. L'attuazione di tale punto di delega dovrà incidere sull'attuale disciplina, contenuta agli artt. 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p., contemperando l'opportunità di migliorare il profilo organizzativo attuale con positive ricadute sul piano logistico e del risparmio di risorse finanziarie con la necessaria garanzia della interlocuzione diretta della persona detenuta o internata con il giudice in quelle materie (es. revoca delle misure alternative, misure di sicurezza) in cui, per la rilevanza della posta in gioco, non può prescindersi da un contraddittorio effettivo con il soggetto interessato. L'attuazione del criterio di cui alla lett. l) porterà alla revisione delle disposizioni dell'ordinamento penitenziario alla luce del riordino della medicina penitenziaria disposto dal decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230. Al di là della apparente laconicità della direttiva, si tratta di un profilo cruciale della riforma volto a migliorare l'organizzazione e la qualità dell'assistenza sanitaria in favore dei detenuti attualmente non ottimale e tale da esporre il nostro Paese al rischio di censure in sede europea. La direttiva contenuta nella lett. m) importa il riconoscimento del diritto all'affettività delle persone detenute e internate e disciplina delle condizioni generali per il suo esercizio ed implicherà l'adeguamento dell'ordinamento penitenziario ai principi sanciti dalla giurisprudenza anche costituzionale e dalle regole penitenziarie elaborate in sede europea, anche con riferimento al delicato tema dell'esercizio dell'affettività in carcere, espressione di un diritto fondamentale dell'individuo. Nella medesima prospettiva si muove la direttiva della lett. n) che mira a garantire meglio i diritti fondamentali di una larga parte della popolazione detenuta costituita da cittadini stranieri o apolidi. Particolare importanza anche sul piano culturale assume l'ampia direttiva di cui alla lett. o),in materia di adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età secondo gli articolati e specifici criteri direttivi precisati dal progetto di delega in analisi. L'obiettivo di adeguare l'ordinamento penitenziario alle peculiari esigenze dei minori d'età non può che implicare una riforma organica dell'intero sistema penale, ponendo le basi per lo sviluppo di un autonomo ordinamento penitenziario minorile caratterizzato da principi e istituti peculiari. Il coronamento della riforma prefigurata dalla delega si attua con l'impegnativa direttiva contenuta nella lett. p)che prevede la c.d. “riserva di codice” nella materia penale attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini diprofitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell'integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato. Si tratta di un'aspirazione costante della nostra tradizione giuridica fin da Giustiniano, sulla cui praticabilità in tempi ragionevoli è pertanto lecito nutrire qualche dubbio, che ci auguriamo possa rivelarsi frutto del pessimismo della ragione sul quale prevarrà l'ottimismo della volontà del nostro Legislatore (e di chi sarà chiamato a dare attuazione a questo punto di delega). In conclusione
L'importanza e la complessità delle materie oggetto del d.d.l. all'esame del Senato, così come il non lineare percorso fino ad ora seguito dall'iter parlamentare che ha visto l'originario testo integrato dall'inserzione di ulteriori criteri e direttive e la modifica di altri originariamente presenti, porta a esprimere una valutazione che, se è molto positiva sull'aspirazione riformatrice che ha animato il proponente del progetto di delega e non può che salutare con ancor maggiore favore l'intuizione della costituzione degli Stati Generali, lascia tuttavia dei margini di pessimistico dubbio sulla concreta attuabilità della delega nella sua integrale formulazione. Mentre, infatti, l'eventuale intervento sul corpus normativo esistente in termini di abrogazione o interpolazione di alcune specifiche disposizioni è operazione alla portata del legislatore delegato, i più ambiziosi obiettivi del riassetto della sanità penitenziaria, dell'implementazione dell'offerta trattamentale sotto l'aspetto del lavoro e, soprattutto, la complessiva riforma dell'ordinamento penitenziario minorile sembrano invece, traguardi meno facilmente raggiungibili in tempi compatibili con le aspettative poste sulla riforma da parte di tutti coloro che vi hanno fattivamente contribuito. |