Limiti di applicazione al sequestro preventivo nei confronti del soggetto emittente fatture per operazioni inesistenti

19 Dicembre 2016

Il quesito posto dal ricorrente concerne l'individuazione del profitto confiscabile e di conseguenza dei beni su cui può essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, con riferimento al soggetto cui viene contestato il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Massima

In materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell'emittente, per il valore corrispondente al profitto conseguito dall'utilizzatore delle fatture medesime, poiché il regime derogatorio previsto dal d.lgs. 74 del 2000, art. 9 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture e chi se ne avvale – impedisce l'applicazione del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo. Il sequestro preventivo, astrattamente consentito dalla l. 244 del 2007, art. 1, comma 143, nei confronti dell'emittente le fatture per operazioni inesistenti deve essere relativo al solo profitto (prezzo del reato) per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, da dimostrarsi in sede di sequestro relativamente a qualsiasi utilità economica valutabile ed immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Sassari disponeva il sequestro preventivo fino alla concorrenza della somma evasa, pari a 14.818,00 euro, nei confronti degli imputati nella loro veste di amministratore unico e amministratore di fatto di una società, che aveva emesso fatture per operazioni inesistenti, così permettendo alla società Tecnoservice l'evasione delle imposte.

Il tribunale delle libertà di Sassari annullava il provvedimento del Gip, argomentando che i beni, relativamente ai quali era stato disposto il sequestro preventivo, appartenevano a soggetti che, sulla base del reato contestato, risultavano estranei al profitto del reato.

Secondo le osservazioni del tribunale del riesame il profitto del reato poteva essere rinvenuto unicamente in capo a colui che aveva utilizzato le fatture per operazioni inesistenti e non anche in capo a chi le aveva emesse.

In mancanza di una prova circa il pagamento di un compenso per l'emissione delle fatture per operazioni inesistenti, doveva dunque ritenersi che il profitto conseguito dai soggetti emittenti i documenti contabili fosse inesistente.

Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il procuratore della Repubblica del tribunale di Sassari, adducendo una violazione di legge, con riferimento al disposto di cui agli artt. 8, d.lgs. 74 del 2000 e art. 1, comma 143, l. 244 del 2007.

La questione

Il quesito posto dal ricorrente concerne l'individuazione del profitto confiscabile e di conseguenza dei beni su cui può essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, con riferimento al soggetto cui viene contestato il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.

In particolare, la Corte è stata investita della questione se il profitto conseguito dall'utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti equivalga a quello conseguito dal soggetto emittente le stesse.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in commento, i giudici della suprema Corte affrontavano preliminarmente il regime derogatorio del concorso di persone in tema di reati tributari.

A tale riguardo, la Corte di cassazione analizzava la struttura dei reati previsti e puniti dal d.lgs. 74 del 2000, relativi alle operazioni di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dando conto che, in tali fattispecie delittuose, due sono i soggetti coinvolti.

Da un lato, il soggetto che emette le fatture, il quale si rende responsabile del reato di cui all'art. 8 del citato decreto legislativo e, dall'altro, il soggetto che utilizza, invece, le fatture, inserendole nella propria contabilità, portandole in detrazione e conseguendo un risparmio di imposta, che risponde del reato di cui all'art. 2, rubricato dichiarazione infedele.

Ebbene, l'art. 9 del d.lgs. 74 del 2000, in difformità da quanto disciplinato dalle norme sul concorso contenute nella parte generale del codice penale, all'art. 110, stabilisce che il soggetto emittente le fatture per operazioni inesistenti non è punibile, a titolo concorsuale, nel reato previsto dall'art. 2 d.lgs. 74 del 2000; così come, analogamente, chi commette il reato di dichiarazione infedele non è punibile, a titolo di concorso, nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.

In merito al profitto conseguito da chi commette i reati sopra citati, i giudici di legittimità osservavano come l'utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti otteneva un profitto pari al risparmio di imposta, che doveva essere tenuto distinto dall'eventuale profitto raggiunto dall'emittente le fatture, pari al compenso pattuito per l'emissione delle stesse, di regola molto inferiore al profitto dell'utilizzatore.

In considerazione dell'impossibilità di configurare un concorso di persone tra i soggetti richiamati, la Corte di cassazione affermava che non era possibile disporre un sequestro preventivo, in via solidale, per il valore corrispondente al profitto pari al risparmio di imposta in capo al soggetto emittente le fatture per operazioni inesistenti.

Sul punto, i giudici richiamavano una pronuncia della Corte di cassazione che escludeva la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture e chi le utilizza, con la conseguente inapplicabilità del principio solidaristico valido per i reati plurisoggettivi.

Tuttavia, secondo un altro orientamento del supremo Consesso, solo apparentemente difforme, in assenza di prove sul compenso del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sarebbe sequestrabile qualsiasi utilità economicamente valutabile, direttamente o indirettamente connessa alla commissione dell'illecito.

Tale pronuncia, tuttavia, doveva essere letta con la precisazione che la confisca per equivalente ex art. 1, comma 143, l. 244 del 2007 non può essere disposta quando dalla condotta illecita non sia derivato alcun effettivo risparmio di imposta.

Da questo principio, discendeva, secondo i giudici, il principio per cui al fine di poter disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti del soggetto che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti deve accertarsi il profitto del reato eventualmente conseguito da quest'ultimo, non potendosi ritenere tale quello ottenuto dall'utilizzatore.

Per quanto sopra osservato, non si poteva identificare il profitto confiscabile con l'importo delle fatture emesse, per la commentata impossibilità di configurare un concorso di persone nei reati summenzionati.

In conclusione, ricorrendo tali fattispecie delittuose, secondo i giudici di legittimità, non era applicabile il principio solidaristico secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca può essere eseguito per l'intero importo del prezzo o profitto del reato nei confronti di uno dei concorrenti del reato, salvo l'eventuale riparto tra i concorrenti medesimi.

Venendo al caso in esame, la Corte di cassazione evidenziava come il ricorrente non avesse fornito elementi utili ad individuare il profitto del reato in capo all'emittente le fatture e che non poteva essere accolta la richiesta di quest'ultimo, di ritenere configurabile e, pertanto, sequestrabile, l'intero profitto conseguito dall'utilizzatore, pari all'imposta evasa.

Per le ragioni suesposte, la Corte di legittimità rigettava il ricorso.

Osservazioni

Al fine di comprendere appieno il ragionamento, del tutto condivisibile, seguito dai Giudici di legittimità nella sentenza in commento, occorre preliminarmente ricordarsi come l'ambito di applicazione della confisca per equivalente, inizialmente limitata ad alcune ipotesi delittuose previste nel codice penale, sia stata estesa ai reati tributari per effetto della previsione espressa dall'art. 1, comma 143, legge 244 del 2007 (Finanziaria 2008).

La ragione di tale dilatazione risiedeva nella volontà, perseguita dal legislatore, di porre rimedio all'impossibilità di aggredire direttamente, con le ordinarie ipotesi di confisca facoltativa e obbligatoria, il risparmio di spesa e di colpire, quindi, quel beneficio economico derivante dall'attività criminosa.

Del resto, difficilmente poteva riconoscersi al risparmio di spesa un profilo di provenienza da reato, posto che, in generale, tali beni appartenevano già al patrimonio del contribuente, che aveva solo omesso di versarli all'Erario.

Per questa ragione alla tradizionale ipotesi di confisca, che non può prescindere dal nesso di pertinenzialità tra prodotto, profitto, prezzo e reato, era stata affiancata la confisca per equivalente che, non richiedendo la prova di alcun nesso di pertinenzialità tra il bene di valore equivalente al prezzo o profitto del reato e quest'ultimo, poteva trovare più facilmente applicazione per i reati tributari.

La distinzione tra prezzo o profitto del reato merita di essere ricordata, benché senz'altro nota ai lettori, avuto particolare riguardo alla materia specifica dei reati tributari di cui si tratta nel presente commento.

Il profitto del reato, in materia tributaria, si individua come già detto, di regola, nel vantaggio economico che l'autore del reato consegue con l'illecito tributario, consistente nell'ammontare delle imposte o delle ritenute evase.

Diversamente, il prezzo del reato si sostanzia nella somma pattuita e corrisposta all'emittente le fatture per operazioni inesistenti affinché questi realizzi la condotta illecita.

Questa distinzione si comprende appieno solo dopo aver effettuato una breve disamina del reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all'art. 8 d.lgs. 74 del 2000.

Per quanto di interesse in questa sede, deve osservarsi che la condotta penalmente rilevante è rappresentata, come noto, dall'emissione o dal rilascio di fatture o altri documenti ideologicamente falsi mediante consegna o spedizione ad un terzo, potenziale utilizzatore.

Ciò che rileva maggiormente ai fini del tema in esame, è il momento consumativo del delitto de quo, che si configura nel momento in cui l'autore emette o rilascia la fattura o il documento per operazioni inesistenti, non essendo necessario, ai fini del perfezionamento della fattispecie criminosa, che chi riceve il documento contabile lo utilizzi.

Il delitto si atteggia, evidentemente, come un reato di pericolo astratto ed istantaneo, atteso che non si richiede l'utilizzazione delle fatture e la conseguente evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Proprio la costruzione del reato in parola come reato di pericolo, aiuta gli interpreti del diritto a risolvere i problemi di individuazione del profitto confiscabile.

appare evidente, del resto, che il profitto confiscabile per l'autore del reato ex art. 8 d.lgs. 74 del 2000, non possa consistere nel risparmio d'imposta, non solo perché non si è in presenza di un fatto di evasione, ma anche perché tale fatto potrebbe non realizzarsi del tutto, allorquando, ad esempio, il contribuente che riceva i documenti fittizi non li porti in detrazione.

È da queste considerazioni, unitamente alla disciplina tributaria derogatoria del concorso di persone del reato, che la Corte di cassazione trae l'argomento per risolvere il quesito sorto con la presentazione del ricorso del procuratore della Repubblica.

A tale riguardo, appare interessante osservare come l'art. 9 d.lgs. 74 del 2000 che, in deroga alla regola generale fissata dall'art. 110 c.p., esclude il concorso dell'emittente le fatture fittizie nel reato di dichiarazione infedele commesso dal soggetto che se ne avvale, possa trovare alcune eccezioni.

Né è un esempio l'ipotesi di commissione dei reati tributari nell'ambito delle operazioni infragruppo. In tali casi è ritenuto responsabile di entrambi i reati di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. 74 del 2000, il soggetto che può condizionare la gestione e le soluzioni contabili sia della società emittente le fatture per operazioni inesistenti, sia della società che di tali documenti contabili fa uso.

Così si è espressa la giurisprudenza di legittimità nella sentenza n. 36859 del 16 gennaio 2016.

A ben vedere è ipotizzabile almeno un altro caso in cui il regime derogatorio previsto dall'art. 9 succitato non opera.

Quello in cui, ad esempio, il soggetto sia il medesimo che emette le fatture per operazioni inesistenti e che le utilizza; in tal caso, ovviamente, l'autore risponderà di entrambi i reati di cui agli artt. 8 e 2, d.lgs. 74 del 2000.

Qualora si versi in tali ipotesi, appare evidente che non operando la disciplina derogatoria del concorso di persone nel reato, l'autore sarà soggetto al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non solo per il prezzo del reato ma anche per il profitto, quando entrambi siano accertati dall'organo inquirente.

In conclusione, può ritenersi che la soluzione adottata nella sentenza in commento dai giudici di legittimità appaia rispettosa dei principi garantiti dagli artt. 3 e 27 della Costituzione, in merito alla personalità della responsabilità penale e alla proporzionalità della pena alla gravità del fatto commesso.

Guida all'approfondimento

COMELLINI, Confisca per equivalente possibile per emissione di fatture false, in eutekne.info;

DELLA RAGIONE, La confisca per equivalente nel diritto penale tributario, in dir. pen. cont.;

FONTANA, La confisca per equivalente di quote sociali e reati tributari, Diritto & Giustizia;

TRINGALI, La confisca per equivalente nei reati tributari, altalex.it;

TRINGALI, Le fatture per operazioni inesistenti: concetti di base, altalex.it.

Sommario