La mancata consegna della cosa venduta on-line: tra inadempimento negoziale e truffa

20 Gennaio 2016

Viene esaminata una fattispecie, ricorrente nella prassi, costituita dall'offerta di beni su siti internet cui segue la mancata consegna al compratore di quanto pagato in anticipo. È l'occasione per soffermarsi sulla difficile distinzione tra il mero inadempimento dell'obbligazione e la truffa c.d. contrattuale e sui criteri da applicare per determinare la competenza per territorio nel caso di simili reati.
Abstract

Viene esaminata una fattispecie, ricorrente nella prassi, costituita dall'offerta di beni su siti internet cui segue la mancata consegna al compratore di quanto pagato in anticipo. È l'occasione per soffermarsi sulla difficile distinzione tra il mero inadempimento dell'obbligazione e la truffa c.d. contrattuale e sui criteri da applicare per determinare la competenza per territorio nel caso di simili reati.

Il fenomeno

Nel corso del 2015, secondo i dati dell'osservatorio Netcomm-Politenico di Milano, l'e-commerce è cresciuto in Italia del 16% rispetto al 2014, raggiungendo un volume complessivo pari a 16,6 miliardi di euro. Il progresso è ancor più rilevante perché è intervenuto in un momento in cui i consumi ristagnano. La crescita non ha riguardato solo i tradizionali settori del commercio on-line, rappresentati dal turismo, dai prodotti informatici e dall'editoria, ma ha investito anche ambiti rispetto ai quali gli italiani erano piuttosto restii all'impiego di mezzi di commercio alternativi al contatto diretto con il venditore, come l'abbigliamento, gli alimentari e l'arredamento.

Di pari passo rispetto alle transazioni sono aumentate anche le truffe perpetrate nel corso di transazioni elettroniche.

Si tratta di un'attività criminale purtroppo diffusa, che assume varie denominazioni gergali come quella di truffa e-bay”, con riferimento ad una delle piattaforme informatiche più impiegate per l'e-commerce, o di truffa Postepay, con allusione ad una tipologia di carta di credito che, in quanto ricaricabile, viene adoperata per riscuotere il profitto del reato.

Nella sua manifestazione più semplice, il fatto consiste nell'offerta di un bene su un portale internet (come, ad esempio, e-bay, Subito.it, etc.). All'offerta segue l'accettazione di uno o più compratori, che si concretizza con il pagamento del prezzo per mezzo della ricarica, di un importo corrispondente al costo del prodotto ed alle spese di spedizioni pattuite, di una carta di credito. Dopo il pagamento, il bene non viene consegnato al compratore.

Le modalità operative, peraltro, possono essere diverse e, in buona sostanza, dipendono dalle forme di pagamento adottate. Accanto a quello più frequente dell'impiego per le transazioni elettroniche di una carta ricaricabile non collegata ad uno specifico conto corrente, il cui impiego su taluni siti di e-commerce come anche e-bay, peraltro, sarebbe vietato, infatti, sono utilizzate anche carte che costituiscono servizi aggiuntivi del conto corrente tradizionale o di quello che si apre su banche “senza sportelli”, altrimenti definite di tipo virtuale.

Le deviazioni dal modello della truffa

Rispetto al paradigma del reato descritto dall'art. 640 c.p., la condotta della truffa on-line è molto diversa: manca il contatto fisico tra l'agente e la vittima; la relazione tra venditore e compratore avviene nella rete internet; le trattative commerciali sono prive di qualsiasi materialità, sicché le parti non si conoscono fisicamente; la somma di denaro data in pagamento non passa da una mano all'altra; soprattutto, la vendita non avviene nello stesso contesto spazio – temporale ma in due luoghi distinti, perché quello in cui la vittima effettua il pagamento non corrisponde a quello in cui il destinatario riceve detto importo, conseguendo il profitto del reato. Il primo luogo è facilmente identificabile, desumendosi dalla querela presentata. Qualora la carta di credito su cui è accreditato il pagamento non sia collegata ad un conto corrente, invece, il secondo si identifica con quello dell'ufficio postale (o dell'esercizio commerciale per le carte di altri gestori) che ha rilasciato lo strumento finanziario. Si tratta, in verità, di una mera finzione, perché le somme possono essere prelevate dal possessore della carta in ogni A.T.M. che si trova sul territorio nazionale.

La difficile distinzione tra il reato e l'inadempimento contrattuale

Il profilo più complesso del tema in esame riguarda la distinzione della truffa dal mero inadempimento. In quali casi la mancata consegna del bene offerto in vendita in rete o anche il recapito di un bene diverso da quello proposto travalica l'area dell'inadempimento del contratto per integrare un illecito penale?

Il fatto che le trattative non abbiano alcun contenuto materiale e che non intervenga nessun contatto tra la parte venditrice e quella acquirente, infatti, accentua il rischio di incorrere in errori sull'interpretazione del contratto, sulle caratteristiche dell'oggetto venduto o sulle reali parti contraenti. Da qui la fisiologica possibilità della mancata consegna del bene, della spedizione di un bene diverso per qualità o dell'adempimento parziale del contratto.

La condotta del venditore, inoltre, si risolve spesso nel silenzio su profili rilevanti dell'offerta oppure sulla menzogna circa dati utili a suscitare il consenso dell'acquirente.

Il punto delicato, dunque, consiste nel determinare quando la condotta del venditore integra i raggiri o gli artifici richiesti dalla fattispecie criminale della truffa e, soprattutto, quando, riscontrandosi un comportamento truffaldino sul piano oggettivo, sia ravvisabile anche il c.d. dolo iniziale. Quest'ultimo, secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, è l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato, connotando la truffa c.d. contrattuale, di cui rappresenta una sottospecie (Cass. pen., Sez. VI, n. 10136/2015; Cass. pen., Sez. II, n. 5801/2014).

Assume certamente significato, in questa prospettiva, l'accertamento del carattere episodico o seriale del comportamento. Una sequela di inadempimenti, infatti, potrebbe essere espressione di un raggiro deliberato e organizzato da parte del venditore e, comunque, potrebbe denotare la sua intenzione illecita fin dall'inizio.

Non si tratta, però, di un criterio definitivo e unico per individuare le condotte penalmente rilevanti, dovendo necessariamente farsi ricorso ad altri indici. Un elemento utile nel senso indicato è rappresentato dal mancato rispetto da parte del venditore delle modalità di esecuzione del contratto, come, del resto, per ogni truffa contrattuale (Cass. pen., Sez. II, n. 41073/2004). Questo comportamento costituisce l'elemento oggettivo del reato ma manifesta anche l'esistenza del dolo iniziale di indurre qualcuno a stipulare un contratto, falsandone il processo volitivo (Cass. pen., Sez. VI, n. 10136/2015).

Indicare un nome falso nel corso delle trattative è un fatto che manifesta il dolo della truffa, perché rende complicata la possibilità di risalire al venditore dopo l'inadempimento (Cass. pen., Sez. II, n. 51128/2013). In senso diametralmente opposto, però, è stato sostenuto che fornire dati reali, come appunto il nome, possa rappresentare un elemento costitutivo della truffa, perché permette al compratore di accertare se il proprio interlocutore sia una persona esistente e seriamente intenzionata a vendere il bene pubblicizzato (Cass. pen., sez. II, n. 52696/2014).

La mera fissazione di un'asta telematica è stata reputata un espediente idoneo a integrare il raggiro, sebbene rappresenti il tipico modo di vendita di e-bay, il sito di commercio elettronico più utilizzato nel mondo, mentre la fissazione di un prezzo di vendita corrispondente a quello di mercato non esclude l'intenzione truffaldina inziale dell'agente (Cass. pen., Sez. II, n. 52696/2014).

Un elemento che induce a qualificare il fatto come truffa, inoltre, consiste certamente nella creazione artificiosa di una parvenza di serietà dell'offerta di vendita, per esempio pubblicizzando credenziali provenienti da persone non identificabili (Cass. pen., Sez. VII, ordinanza n. 3058/2012) oppure indicando dati non veri ma utili per invogliare all'acquisto (Cass. pen., Sez. II, n. 46849/2014, relativa ad una fattispecie in cui il venditore aveva fornito il numero di telefono di colui che definiva “corriere” ma che, in realtà, era il proprio).

Anche alcune condotte post-factum, se volte ad ostacolare le operazioni di identificazione del venditore, sono elementi che possono aiutare a distinguere l'illecito penale dall'inadempimento contrattuale, perché, in genere, sono espressione del dolo iniziale: ad esempio, è stato ravvisato il reato di cui all'art. 640 c.p. nel comportamento di colui che, dopo essersi accreditato sul sito ed aver messo in vendita un bene, ha riscosso il prezzo richiesto senza consegnare il bene all'acquirente, provvedendo, dopo la transazione, a far cancellare il proprio account dal predetto sito (Cass. pen., Sez. VI, n. 10136/2015).

L'offerta di cosa indisponibile

Una delle condotte di più difficile qualificazione riguarda l'offerta in rete di beni di cui il venditore non dispone nel momento della pubblicazione sul sito internet. Rispetto ad essa non è possibile fornire una soluzione unitaria. Nella maggior parte dei casi, infatti, detta offerta è accompagnata da una serie assicurazioni sulla consegna del bene e sulla serietà della transazione commerciale, come la “pronta spedizione”, o da garanzie sulle caratteristiche tecniche e sulle qualità intrinseche del bene, di cui viene pubblicata normalmente una fotografia. In questo modo il compratore è tranquillizzato e si determina all'acquisto, stipulando un contratto che non avrebbe concluso, se avesse saputo che il venditore non dispone di quanto pubblicizzava. In tali evenienze, sussistono pochi dubbi sulla ricorrenza di una condotta penalmente rilevante. Sul piano oggettivo, della truffa è presente il raggiro, integrato dal mendacio nel corso delle trattative, e l'artificio, rappresentato dalla creazione di un'aurea di credibilità. La mancata disponibilità del bene, inoltre, è indice del dolo dell'agente (Cass. pen., Sez. II, n. 24515/2015; Cass. pen., Sez. II, n. 46115/2015).

Tale conclusione appare ancora più corretta se si considera che le condotte illustrate spesso si inseriscono in un più ampio contesto fraudolento integrato dalla sostituzione di persone (per esempio, l'uso di indirizzi mail aperti a nome altrui o con nomi falsi), dall'uso di ragioni sociali inesistenti (in genere di società di capitali per dare l'idea della consistenza del venditore) o dall'indicazione di recapiti telefonici inesistenti o altrui ovvero di sedi fittizie.

Più difficile, invece, è la qualificazione della condotta che consiste nella mera offerta di cosa di cui non si dispone. In mancanza degli ulteriori elementi descritti, infatti, si può fondatamente sostenere che si tratti di un mero inadempimento doloso del contratto, perché nel codice civile non si ravvisa una disposizione che imponga di detenere la cosa che si offre in vendita, né esiste una prassi commerciale in tal senso. Si può concludere, dunque, che manca già l'elemento oggettivo della truffa.

In senso contrario, però, deve rilevarsi che un indirizzo giurisprudenziale distingue il mero silenzio dalla reticenza su elementi significativi del contratto (Cass. pen., Sez. II, n. 2879/2015). L'art. 1337 c.c., nel prescrivere comportamenti ispirati alla buona fede nel corso delle trattative, impone di comunicare all'altro contraente i profili decisivi per la formazione della volontà negoziale e tra questi, senza dubbio, va inserito la disponibilità del bene. Anzi, nell'ambito di trattative prive di materialità, è stato rilevato che la mancanza di qualsivoglia contatto fisico diretto tra le parti accentua l'obbligo di informazione del compratore. Ne deriva che l'impossibilità del controllo preventivo imporrebbe di avere la disponibilità della cosa nel momento in cui si offre la cosa.

Un fondamento normativo più preciso per tale ricostruzione è stato individuato nell'art. 22 d.lgs. 206/2005 (codice del consumo) che considera ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, del resto, configura il delitto di truffa contrattuale anche la condotta del venditore che omette di rendere nota all'acquirente l'altruità del bene oggetto del contratto, ritenendosi che si tratti di una circostanza tale che, ove conosciuta, avrebbe indotto l'altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto (Cass. pen., Sez. II, n. 31927/2013).

La determinazione della competenza per territorio

Il delitto di truffa contrattuale non consente di individuare, in via preventiva e universale, il momento e il luogo di consumazione con criteri valevoli per ogni fattispecie concreta. Essi dipendono dal contenuto dell'accordo negoziale e dalle peculiari modalità pattuite per l'adempimento delle prestazioni corrispettive. Il reato, comunque, ha natura istantanea e la sua consumazione postula il danno della vittima ed il conseguimento del profitto da parte dell'autore. Non assumono rilievo, in genere, il momento e il luogo della conclusione del contratto e dell'assunzione dell'obbligazione, quanto piuttosto quelli in cui l'agente, che ha realizzato la condotta artificiosa e ingannatoria, consegue l'indebito vantaggio con pregiudizio per il disponente, che subisce una perdita patrimoniale.

Secondo un orientamento giurisprudenziale, nel caso di truffa on-line in cui il profitto è acquisito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile o su conto corrente, il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro. Tale operazione, infatti, determina, contestualmente, sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima (Cass. pen., Sez. I, n. 25230/2015).

L'adesione a questo indirizzo comporta che da un unico annuncio in rete possano derivare una pluralità di procedimenti penali: in buona sostanza, quante sono le vittime che denunciano l'accaduto, tanti sono i procedimenti che si aprono sul territorio nazionale.

Un diverso orientamento, invece, ritiene che, ai fini della competenza per territorio, il luogo di consumazione del reato sia quello del conseguimento del profitto illecito da identificarsi nel luogo di apertura del conto corrente sul quale è “appoggiata” la carta o nel luogo di attivazione della carta su cui si effettua la ricarica (desumibile dal codice univoco scritto sulla carta). Si tratta, in buona sostanza, del luogo che il venditore ha indicato al compratore quando specifica le modalità di pagamento. Sovente, però, manca un conto collegato ad una carta prepagata ed anzi proprio questo profilo ha favorito il successo commerciale di queste carte. La ricarica avviene in un luogo virtuale e il denaro potrà essere prelevato presso un qualsiasi sportello A.T.M. presente sul territorio nazionale (o anche in diversi esercizi commerciali). In questo caso, non essendo possibile individuare con esattezza il luogo nel quale l'autore del reato ha ottenuto il denaro versato dalla controparte, la competenza per territorio va determinata per mera finzione nel luogo in cui si trova l'ufficio postale (o altro esercizio commerciale) presso cui è stata attivata la carta o in base al criterio residuale di cui all'art. 9, comma 2, c.p.p., rifacendosi al luogo di residenza, dimora, domicilio dell'indagato (Cass. pen., Sez. II, n. 7749/2015; Cass. pen, Sez. I, n. 28261/2014).

Il vantaggio offerto da questa seconda soluzione del quesito giuridico consiste nella concentrazione dei procedimenti penali presso una sola sede giudiziaria, che favorisce la possibilità di percepire la portata seriale o isolata del fenomeno.

In conclusione

Quanto illustrato permette di comprendere come la truffa on-line rappresenti un valido osservatorio per apprezzare l'evoluzione che ha subito il modello del reato descritto dall'art. 640 c.p. La cooperazione diretta dell'agente con la vittima, indotta a compiere un atto di disposizione a causa di un errore provocato dai raggiri o dagli artifici dell'agente, sta perdendo progressivamente di rilievo, essendo mediata ormai dal mezzo informatico. Il reato, pertanto, può essere compiuto anche a distanza, per mezzo di condotte rivolte alla generalità delle persone e non a soggetti determinati, senza un contatto personale tra le parti. Questa evoluzione, però, allontanando l'illecito penale dal paradigma codicistico, ha reso più complessa la distinzione della truffa dal mero inadempimento civilistico, obbligando l'interprete a valutazioni che si reggono su sfumature del fatto o su profili accessori della condotta. Analogamente complessa è la determinazione della competenza per territorio perché, sebbene il reato abbia natura istantanea, il danno della vittima ed il conseguimento del profitto da parte dell'autore si producono in due posti diversi.

Guida all'approfondimento

Bartoli, La frode informatica tra "modellistica", diritto vigente, diritto vivente e prospettive di riforma, in Dir. informatica, 2011, 383 e ss.;

Cajani, I nuovi strumenti di investigazione per il contrasto del fenomeno della criminalità informativa, relazione all'incontro di studi del Consiglio Superiore della Magistratura “Falcone e Borsellino”, in www.cosmag.it;

Cipolla, E-commerce e truffa, in Giur. merito 2013, 2624;

De Robbio, Giurisdizione e competenza in materia penale, in Giur. merito, 2013, 2605; Pecorella, Truffa on-line: momento consumativo e competenza territoriale, in Riv. it. proc. pen. 2012, 113;

Sargenti, Giurisdizione e competenza territoriale in materia penale, in Giur. merito, 2012, 2641.

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