Contraffazione di marchi. Irrilevante l'induzione in errore del singolo consumatore

Simone Bonfante
20 Giugno 2016

I delitti previsto dagli artt. 473 e 474 c.p. sono volti precipuamente alla tutela particolare del consumatore finale o della buona fede in senso oggettivo? Il momento consumativo del reato è da individuarsi nel perfezionamento dell'iter per la registrazione dei marchi e brevetti o soltanto in quello successivo dell'effettiva commercializzazione del prodotto?
Massima

L'interesse giuridico tutelato dagli artt. 473 e 474 c.p. è la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione e non l'affidamento del singolo, sicché non è necessario per integrare il reato che sia realizzata una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto.

Il caso

Tizio proponeva riesame reale avanti al tribunale di Lucca avverso il sequestro probatorio operato dalla P.G. di sei borse “griffate” con marchi di proprietà di una famosa casa di moda: il Collegio confermava il decreto di convalida del P.M. riconducendo il fatto nell'alveo della fattispecie di cui all'art. 473 c.p. in luogo di quella di cui all' art. 474 c.p. originariamente contestata.

L'imputato, tramite il proprio difensore, interponeva ricorso per Cassazione deducendo l'inoffensività della condotta contestatagli, in quanto i marchi riportati sulle borse contraffatte, sebbene regolarmente registrati, non sarebbero stati ancora commercializzati e dunque non potevano essere conosciuti e riconoscibili per il consumatore: non poteva allora dirsi tradito l'affidamento che questi riponeva sulla autentica provenienza degli stessi.

La quinta Sezione penale, con la sentenza in commento, rigettava il ricorso ribadendo il consolidato orientamento secondo ai fini della configurabilità della fattispecie cui l'art. 473 c.p. sarebbe irrilevante l'affidamento del singolo individuo e la idoneità della condotta a trarlo in inganno, ponendosi il reato a presidio della fede pubblica in senso oggettivo.

La questione

Il caso di specie è quindi incentrato sulla individuazione del bene giuridico protetto dal precetto penale: il delitto previsto dall'art. 473 c.p. (e lo stesso vale per il reato ex art. 474 c.p.) è volto precipuamente alla tutela particolare del consumatore finale o della buona fede in senso oggettivo?

Il ricorso proposto costringe inoltre la suprema Corte a pronunciarsi indirettamente su una seconda questione: il momento consumativo del reato è da individuarsi nel perfezionamento dell'iter per la registrazione dei marchi e brevetti previsto dalle norme interne e dai regolamenti internazionali o soltanto in quello successivo dell'effettiva commercializzazione del prodotto?

Le soluzioni giuridiche

Secondo il noto orientamento giurisprudenziale, il bene giuridico protetto dagli artt. 473 e 474 c.p., quanto meno in via principale, sarebbe quello esplicitato dalla stessa rubrica del Titolo VII del codice penale, ossia la fede pubblica (ex plurimis: Cass. pen.,Sez. II, 27 aprile 2012, n. 28423). Fede pubblica da intendersi in senso oggettivo e cioè come l'interesse della collettività alla certezza ed affidabilità del traffico economico e/o giuridico (FIANDACA- MUSCO). Bene che, con riferimento ai delitti in parola, viene declinato come l'affidamento riposto dai cittadini sulla genuinità dei marchi e delle opere d'ingegno.

Trattandosi di reati di pericolo presunto la messa in pericolo del bene giuridico protetto si verificherebbe ancor prima che la merce contraffatta venga offerta al pubblico. Non sarebbe pertanto necessario, ai fini della integrazione della fattispecie, la verificazione di un pregiudizio per il singolo consumatore. Anzi, secondo i giudici di legittimità, il reato sussisterebbe anche qualora il compratore fosse stato messo a conoscenza dal venditore della non autenticità del marchio (tra le altre, Cass. pen., Sez. V, 14 gennaio 2002, n. 1195).

In conformità all'orientamento accolto anche dalle Sezioni unite la sentenza in commento considera in realtà plurioffensive le fattispecie in parola ritenendole poste a tutela anche di ulteriori beni giuridici: quali le privative sui marchi registrati, l'interesse alla regolarità del commercio e dell'industria e, più in generale, l'economia nazionale, secondo una condivisibile tendenza volta ad assicurare effettività ai principi costituzionali in materia di iniziativa economica e di proprietà privata.

Tale estensivo orientamento della giurisprudenza di legittimità non è stato condiviso da autorevole dottrina (MANZINI) secondo cui i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. proteggerebbero soltanto la fede pubblica, mentre gli interessi generali dell'industria nazionale sarebbero riconducibili alla fattispecie di cui all'art.514 c.p., aggravato per l'attentato alla pubblica fede. Altri autori, nel sostenere la natura monoffensiva della fattispecie in commento, si spingono ad affermare che gli interessi patrimoniali non possono trovare protezione da parte della norma, poiché vi sarebbero in realtà casi non infrequenti in cui le usurpazioni del marchio possono ripercuotersi favorevolmente sul patrimonio del titolare, al punto da indurle maliziosamente a sollecitarle (MARINUCCI).

Osservazioni

La quinta Sezione penale con la pronuncia de quo tocca una serie di argomenti di cui era stata già in passato investita la giurisprudenza di legittimità.

Occorre premettere che la novella introdotta con la l. 99/2009, inserendo nell'incipit dell'art 473 c.p. l'inciso potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà individuale, da un lato, ha esteso la punibilità alle condotte poste in essere da chi abbia colposamente ignorato od erroneamente ritenuto inesistente il titolo di proprietà sul marchio, o su altro segno distintivo, per errore o ignoranza delle disposizioni del codice della proprietà industriale, dall'altro, ha ritenuto meritevoli di tutela solo le contraffazioni di marchi e brevetti che avessero perfezionato la procedura di registrazione.

È appunto su tale aspetto che la riforma del 2009 dispiega la sua portata più innovativa: in passato, infatti, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che il semplice deposito dell'istanza di registrazione rendeva formalmente conoscibile al pubblico i titoli di privativa, permettendone quindi già in quella fase la contraffazione (Cass. pen., Sez. III, 4 marzo 2009 n. 16746; Cass. pen., Sez. V, 8 gennaio 2009, n. 9752; Cass. pen., Sez. II, 21 novembre 2006, n. 6323).

Di recente si è consolidato l'orientamento di segno opposto secondo cui, per potersi parlare di contraffazione, il bene deve avere effettivamente conseguito il titolo, non essendo più sufficiente la semplice domanda (Cass. pen., Sez. V, 12 aprile 2012, n. 25273).

Interessante, anche se non nuovo, il distinguo operato dalla sentenza in commento tra la condotta di utilizzazione e quella di immissione in commercio del bene contraffatto. Mentre la prima condotta, in quanto ontologicamente precedente, integrerebbe la fattispecie di cui all'art. 473 c.p., la seconda quella di cui all'art. 474 c.p. Il Legislatore in sostanza con le fattispecie in questione avrebbe previsto e punito una sorta di progressione criminosa.

Ebbene, proprio il dato della immissione o meno in commercio del bene contraffatto offre lo spunto alla suprema Corte di ricordare quali sono i beni giuridici protetti dalle fattispecie in parola. In particolare, muovendo dalla assoluta irrilevanza dell'atteggiamento psicologico del consumatore finale ai fini della configurazione del reato, la sentenza in commento ribadisce come il bene protetto sia la fede pubblica in senso oggettivo e non la libertà di autodeterminazione del singolo (ex multis: Cass. pen, Sez. V, 10 giugno 2014, n. 51698; ed ancora: Cass. pen., Sez. II, 3 giugno 2010, n. 25073; Cass. pen., Sez. V, 14 maggio 1969, n. 918).

Da notare come sulla base del medesimo assunto la suprema Corte, in diverse occasioni, abbia escluso la configurabilità del c.d. falso grossolano: l'art. 474 c.p. tutela in via principale e diretta non la libera determinazione dell'acquirente, bensì la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione. Si tratta, dunque, di un reato di pericolo, la cui configurazione non esige la realizzazione dell'inganno. (Cass. pen., Sez. V, 4 ottobre 2007, n. 40874. Si confronti inoltre, tra le sentenze di merito, Corte d'appello Napoli, Sez. II, 22 maggio 2013, n. 4547).

Guida all'approfondimento

FIANDACA, MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, Vol I, Torino, 2012, 536;

MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Vol. VI, Torino, 1987, 656;

MARINUCCI, Falsità in segni distintivi delle opere dell'ingegno e dei prodotti industriali, in Enciclopedia del Diritto, XVI, Milano 1967, 657.

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