Il sindaco inerte concorre nella bancarotta causata dagli amministratori
21 Dicembre 2015
La V sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 49628 del 2015, premesso che, ai sensi dell'art. 2403 c.c., l'obbligo di vigilanza dei sindaci e del collegio sindacale non è limitato al mero controllo contabile, ma si estende al contenuto della gestione (dovendo la predetta disposizione essere interpretata in unione alle plurime altre norme che conferiscono ai sindaci il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni e su determinate operazioni quando queste potessero suscitare, per le modalità della loro scelte o della loro esecuzione, delle perplessità), ha ribadito che, ai fini dell'affermazione di penale responsabilità del sindaco di una società occorre che egli abbia dato un contributo giuridicamente rilevante - sotto l'aspetto causale - alla verificazione dell'evento e che abbia avuto la coscienza e la volontà di quel contributo, anche solo a livello di dolo eventuale (a parte i casi in cui l'elemento soggettivo sia richiesto nella forma del dolo specifico). Ne consegue che non basta imputare al sindaco - e provare - comportamenti di negligenza o imperizia anche gravi, come può essere il disinteresse verso le vicende societarie (fonte indiscutibile di responsabilità civile), ma occorre la prova - che può essere data, come di regola, anche in via indiziaria - del fatto che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente, la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell'amministratore; né può ritenersi necessaria la prova di un preventivo accordo del sindaco con chi amministra la società in relazione alle operazioni distrattive, giacché l'inerzia è sinonimo di omissione e questa, così come può essere l'effetto di una negligenza, può anche essere animata dal dolo, in tutte le sue possibili graduazioni; ed essa, al pari dell'azione, entra a pieno titolo nelle possibili modalità esecutive di un reato. |