Nessun indennizzo per ingiusta detenzione a Sollecito: il suo comportamento ha concorso a dare causa alla custodia cautelare
22 Settembre 2017
Con sentenza n. 42014, depositata il 14 settembre 2017, la Cassazione penale, Sez. IV, ha dichiarato non fondato il ricorso presentato da Raffaele Sollecito avverso l'ordinanza della Corte d'appello di Firenze che respingeva la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione patita tra il 6 novembre 2007 e il 3 ottobre 2011 nell'ambito del procedimento che lo ha visto imputato per l'omicidio di Meredith Kercher, dal quale era stato assolto per non aver commesso il fatto con sentenza della Corte di cassazione il 27 marzo 2015, di annullamento senza rinvio della condanna pronunciata in appello. In motivazione la Cassazione ha ricordato che presupposti necessari per avanzare l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione di cui all'art. 314 c.p.p. sono:
Nel caso specifico, l'imputato ha avuto un ruolo sinergico rispetto all'adozione ed al mantenimento della misura restrittiva, tale da costituire un ostacolo al riconoscimento dell'indennizzo: «[…] La sua presenza sul luogo dell'omicidio, e segnatamente nella stanza in cui fu commesso il delitto, è legato alla sola traccia biologica rinvenuta sul gancetto di chiusura del reggiseno, in ordine alla cui riferibilità non può, però, esservi certezza alcuna, giacché quella traccia è insuscettibile di seconda amplificazione, stante la sua esiguità, di talché si tratta di elemento privo di valore indiziario. Resta, nondimeno, forte il sospetto che egli fosse, realmente, presente nella casa di (…), la notte dell'omicidio, in un momento, però, che non è stato possibile determinare. D'altro canto, certa la presenza della Knonx in quella casa, appare scarsamente credibile che egli non si trovasse con lei […] e assai strano che la Knox non abbia chiamato subito il fidanzato Raffaele Sollecito il quale avrebbe dovuto essere la prima persona a cui chiedere aiuto, mentre altro elemento di forte sospetto discendeva dalla smentita dell'alibi offerto dalla Knox sulla presenza di entrambi in casa del ricorrente la sera dell'omicidio, dato che i due fidanzati erano stati visti insieme in città fino alle 24.00. La presenza della Knox in casa al momento dell'omicidio e la smentita del suo alibi, insieme alle contraddittorie dichiarazioni del Sollecito, mai più sentito nel corso del dibattimento, hanno perciò rafforzato il convincimento della presenza anche del Sollecito nella casa di (…), contribuendo a formare nel G.I.P. la prospettiva di un suo coinvolgimento nei delitti a lui attribuiti che lo ha portato all'applicazione della misura».
L'imputato che, per finalità di mera strategia difensiva, durante il processo risulti reticente, mendace o silenzioso, ha buon diritto di farlo, tuttavia il giudice della riparazione può valutare tale atteggiamento come doloso o gravemente colposo e quindi ostativo alla riparazione per ingiusta detenzione soprattutto qualora, in presenza di un quadro indiziario già di per sé significativo, contribuisca a rafforzare il convincimento della di lui colpevolezza. Il giudice della riparazione, infatti, deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta – sia extra processuale che processuale – tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri gli estremi del reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità precedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ed effetto, fornendo del convincimento conseguito motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. |