Le figure dei garanti. Ruoli e responsabilità nell'ambito della salute e sicurezza in cantiere
23 Gennaio 2017
Abstract
Di rado pronunce giurisprudenziali della suprema Corte si prodigano per approfondire la normativa e la relativa ermeneutica di un istituto o, perfino, di un ampio settore di analisi giuridica. La recente pronuncia n. 40033 del 2016 (“sentenza”) si segnala – non solo per il suo fine precipuo di controllo di legittimità in merito alla risoluzione di un procedimento penale ma, soprattutto, – per un approccio ricognitivo su un tema tanto delicato quanto controverso: le posizioni di garanzia e la responsabilità penale nell'ambito della sicurezza sul lavoro nel campo dell'attività in cantiere delle diverse figure professionali che operano. La sentenza, specificando i diversi ruoli dei soggetti demandati alla sicurezza in cantiere, diviene quindi occasione non solo per ricapitolare la regolamentazione in merito ed evidenziare i confini (spesso intrecciati) delle diverse posizioni, bensì per saggiarne la conformità ai principi generali del diritto penale. Invero, la casistica giurisprudenziale concerne ipotesi di delitti colposi ex art. 589, comma 2, c.p. e lesioni personali di cui all'art. 590, comma 3, c.p. quali eventi non voluti cagionati da condotte omissive tenute dai destinatari dell'obbligo di tutela imposto dalla legge; la posizione di controllo inoltre grava, in siffatto contesto, su una pluralità di garanti tutti deputati a rivestire un ruolo diverso in ottica di prevenzione degli infortuni. Il ragionamento che il giudice è tenuto a seguire, in sede di accertamento, deve allinearsi alla complessità della realtà (edilizia e cantieristica) in cui questi obblighi, nella maggior parte dei casi, sono imposti. In primis emerge la figura del committente, nel cui interesse l'opera cantieristica sarà realizzata, il quale provvede a devolvere, tramite contratto di appalto, la realizzazione dell'unità edile ad una, o più, imprese affidatarie all'interno delle quali i datori di lavoro delle imprese esecutrici sono tenuti ad una serie di obblighi, tutti finalizzati all'esecuzione dei lavori in sicurezza. In aggiunta, il Legislatore ha creato una serie di altre figure, in linea con la finalità preventiva del testo unico del 2008, quali il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e più specificatamente, nel settore de quo, la figura bifasica del coordinatore per la sicurezza e salute durante la progettazione e durante l'esecuzione; su di essi gravano una serie di ulteriori oneri, omessi i quali, possono sorgere due ordini di responsabilità penale: a) il mancato rispetto di norme prevenzionistiche dà luogo ad illeciti contravvenzionali ai sensi degli artt. 157 e ss. d.lgs. 81/2008 ed b) al verificarsi di un infortunio cui conseguono lesioni personali o la morte, si tratterà di vagliare i compiti e i ruoli di ciascun garante ed imputarne l'addebito alla luce dell'ambito dei compiti e delle responsabilità di ognuno. Infine, la struttura appena descritta si complica quando la disciplina della sicurezza sul lavoro si intreccia con la responsabilità amministrativa degli enti a norma del d.lgs. 231/2001, da cui scaturisce un ulteriore elemento d'indagine che verte sull'adozione, applicazione ed effettività dei modelli di organizzazione e gestione eventualmente adottati dalle società coinvolte nell'evento. Normativa antinfortunistica in evoluzione
In materia di infortuni sul lavoro verificatisi in cantiere, vigeva in passato il d.P.R. del 1956 n. 164 Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni – norma speciale rispetto al d.P.R. 547 del 1955 Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di natura generale – la cui regolamentazione però peccava di lacune in ordine a manovre di effettiva prevenzione dei rischi e di pianificazione sistematica della sicurezza. Ben presto, sulla scorta di una serie di carenze che il Legislatore europeo aveva individuato nelle varie normative degli Stati membri tra cui, in principalità, la sproporzione tra l'elevato rango dei beni giuridici esposti a pericolo e le misure all'uopo adottate risultate in concreto insufficienti, la Comunità europea ha provveduto ad emanare la direttiva 92/57/Cee del 24 giugno 1992 recante quel livello minimo di tutela che gli Stati membri sarebbero stati chiamati a garantire, appianando i divergenti standard di protezione esistenti all'epoca (v. anche Cass. pen., Sez. IV, 4 luglio 2016, n. 27165). Il surplus introdotto dalla direttiva atteneva all'elaborazione di figure specialistiche deputate allo svolgimento di specifici compiti il cui inadempimento conduceva ad un addebito di responsabilità. È in questa sede che emerge il primo riferimento al ruolo del responsabile dei lavori oltre che al coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione e l'esecuzione dell'opera la cui nozione è esplicata all'art. 2 ed i compiti elencati all'art. 5. L'Italia si è adeguata all'imposizione con il d.lgs. 494 del 1996 (Attuazione della direttiva 92/57/Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), divenendo quest'ultimo il testo di legge che ha regolato in autonomia la sicurezza nel settore edile fino all'entrata in vigore del testo unico del 2008 (T.U.), a seguito di diversi emendamenti apportati da una serie di decreti (d.lgs. 528/1999, d.lgs. 276/2003 e d.lgs. 251/2004). L'ordinamento italiano pertanto ha recepito i dicta europei, non solo nei suoi fini bensì nell'individuazione di una serie di figure: dal committente, centrale nelle politiche di sicurezza della compliance aziendale, provvedevano a dipanarsi una serie di ulteriori attori, chiamati a rivestire compiti e correlati obblighi: responsabile dei lavori, coordinatore in materia di sicurezza di salute durante la progettazione e coordinatore durante l'esecuzione dell'opera. Da un punto di vista oggettivo invece altra novità ha riguardato la previsione del piano di sicurezza e coordinamento (P.S.C.) ed il secondario piano operativo di sicurezza (Pos). Infine il testo unico sulla sicurezza sul lavoro, d.lgs. 81 del 2008, ha assorbito la previgente legislazione, unificando la totalità delle norme riguardanti la prevenzione degli infortuni sul lavoro e dedicando al settore trattato il Titolo IV, rubricato Cantieri temporanei o mobili. In particolare, l'art. 88 T.U. del presente decreto sgombra il campo di applicazione della normativa identificando i settori nei quali il testo non trova applicazione. L'art. 89 T.U. invece provvede ad elencare una serie di definizioni necessarie per individuare in termini, soggettivi ed oggettivi, gli elementi che nelle disposizioni successive trovano attuazione. Il testo attualmente vigente era il frutto di una politica incentrata sulla prevenzione di eventi non voluti e sull'assessment di rischi ontologicamente inscindibili all'attività lavorativa in un'ottica generalizzata di tutela della salute come diritto costituzionalmente indisponibile (v. Cass. pen, Sez. IV, 20 marzo 2008, n. 12348). De iure condito vi sono quindi due diverse tipologie di obblighi a cui i destinatari della normativa sono chiamati ad adempiere: di tipo generale (a titolo esemplificativo, l'art. 15 T.U. che prevede le misure di carattere generale di tutela gravanti su qualsiasi tipo settore e su qualsiasi soggetto coinvolto nella gestione di prevenzione) e di tipo specifico (ricollegati a compiti e ruoli dei quali solo certe figure sono chiamate a ricoprire). Se il Titolo IV del T.U. ricalca, per la maggior parte, le disposizioni del precedente testo normativo (GIURINTANO), l'emendamento più significativo concerne la necessità di una pianificazione dei rischi ove l'esecuzione dei lavori sia devoluta a più imprese. È infatti prevista la designazione obbligatoria del coordinatore per la progettazione qualora siano presenti più imprese esecutrici, ai sensi dell'art. 90, comma 4, T.U., indipendentemente dalla dimensione del cantiere – il d.lgs. 494/1996 richiedeva più di 200 uomini al giorno – e dalla presenza di rischi particolari. Vengono rimodulati gli obblighi a carico delle imprese affidatarie ex artt. 96 e 97 T.U., le quali coordinano gli interventi di cui alla normativa e verificano la congruenza dei piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici rispetto al proprio, prima di trasmetterli al coordinatore per l'esecuzione; emendata è altresì la definizione del P.S.C. In sintesi, l'intero quadro normativo volge a razionalizzare ed ordinare i precedenti interventi legislativi in tema di sicurezza sul lavoro, cristallizzando il principio di sussidiarietà proprio dello strumento penale e focalizzando l'attenzione su un intervento ex ante diretto ad individuare e valutare i rischi concreti che si possono presentare in un settore specialistico come l'edilizia ed infine a predisporre le misure idonee a prevenirli. Non solo. Il presente quadro sarà letto alla luce della dimensione delle realtà imprenditoriali in questo campo, dell'imprescindibile esigenza di un'attività di coordinamento tra i vari rischi interferenziali che si profilano, della costante comunicazione nell'opera di attuazione delle misure di prevenzione dei pericoli potenziali e di quelli eventualmente insorgenti in fase di esecuzione. Struttura del reato: principi generali
La sentenza da cui prende spunto il presente elaborato ha cassato in parte la pronuncia della Corte di appello di Milano la quale, ripercorrendo a grandi linee le medesime orme del giudice di primo grado, ha riconosciuto responsabili del reato di omicidio colposo mediante omissione di cui agli artt. 40 cpv e 589, commi 1 e 2, c.p. il committente dei lavori per la costruzione di opera edilizia nonché l'amministratore della società appaltatrice, affidataria dei lavori ed infine il preposto di una delle due società subappaltatrici. In capo ad essi, invero, i giudici del merito hanno riconosciuto posizione di garanzia e la conseguente violazione dell'obbligo giuridico di impedire l'evento non voluto (nel caso a mani, la morte di un dipendente della società esecutrice dei lavori di intonacatura, in subappalto). Prima di analizzare nel merito i diversi ruoli e le seguenti responsabilità che le figure specialistiche sono chiamate a ricoprire, è necessario illustrare, in via sintetica, la ratio dell'addebito a carico dei diversi soggetti, ovvero, in base ai principi penalistici generali, gli elementi necessari che consentono una pronuncia di colpevolezza, in assenza dei quali null'altro può che il giudice assolvere. L'accertamento del giudice infatti non può prescindere dalla verifica degli elementi oggettivi e soggettivi che assumono, in tale sede, veste peculiare, trattandosi, il più delle volte, della verifica della condotta omissiva. La stessa Cassazione è ben consapevole della peculiare struttura di questi reati tanto che, nelle sue pronunce, è solita approfondire i criteri pilota che debbono guidare l'accertamento giudiziale volto a ricostruire non solo la materialità del delitto bensì il profilo psicologico dell'agente a cui è imputato (v. Cass. pen., Sez. IV, 3 maggio 2016, n. 26490). Qualsiasi obbligo di garanzia trova fondamento legislativo nel disposto di cui all'art. 40 cpvc.p. in base al quale non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo; vi sono beni giuridici, quali la vita o l'integrità fisica, di rilevanza tale che, in virtù dei principi costituzionali espressi dagli artt. 2 e 32, esigono una tutela intensificata nel momento in cui i titolari di essi non sono nelle condizioni di proteggerli in proprio, devolvendone pertanto la salvaguardia a soggetti terzi definiti garanti. Mentre per la genesi di tale posizione dottrina e giurisprudenza convengono nell'accoglimento di una tesi c.d. mista, ritenendo che la fonte dell'obbligo debba essere in via generale legislativamente predeterminata (salvo lasciare aperta la possibilità di una presa in carico in concreto dell'interesse protetto), per i contenuti distinguono tra obbligo di protezione ed obbligo di controllo. Invero, quest'ultimo impone al soggetto di neutralizzare le eventuali fonti di rischio che mettono in pericolo il bene tutelato: esso trova fondamento normativo nell'art. 2050 c.c. ed è connesso all'esistenza di un potere di organizzazione e di gestione di un'attività potenzialmente pericolosa, come può definirsi l'attività lavorativa in cantiere. Il mancato compimento dell'azione impeditiva dell'evento è imposto da una norma giuridica la quale, negli illeciti colposi, non è altro che una regola cautelare volta a prevenire l'evento della specie di quello verificatosi. Più specificatamente nei reati omissivi impropri la colpa può consistere sia nell'inottemperanza del dovere di attivarsi per riconoscere le fonti di pericolo oppure nell'inerzia, mancando di compiere azione diretta a neutralizzare o ridurre pericoli (MARINUCCI, DOLCINI). In sintesi, solo se ricorre la posizione di garanzia è possibile intraprendere la verifica della sussistenza di eventuali profili di colpevolezza. Quest'ultima può rinvenirsi nell'inosservanza di regole cautelari codificate – c.d. colpa specifica – oppure regole sociali generalmente osservate – c.d. colpa generica – (v. Cass. pen., Sez. IV, 3 maggio 2016, n. 26490). Si vedrà come i profili di colpa si snodano in modo diverso a seconda dei diversi soggetti protagonisti della sicurezza in cantiere: culpa in eligendo e culpa in vigilando per il committente, colpa specifica per i coordinatori ed infine colpa generica per i soggetti delle imprese esecutrici, in virtù del precetto generale di cui all'art. 2087 c.c. Per quanto concerne l'accertamento della materialità del fatto occorrerà dimostrare altresì il nesso causale: dopo aver accertato che l'evento concreto è la realizzazione del pericolo che la norma cautelare mirava a prevenire, ci si dovrà domandare se l'aggiunta in via ipotetica dell'azione doverosa, in concreto mancata, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento finale. Occorre che tale verifica sia specifica ed approfondita e non si traduca in una responsabilità accollata in modo automatico in capo alle figure qualificate, escludendo che l'evento coincida con un fatto eccentrico, intervenuto al di là dei meccanismi organizzativi predisposti dagli enti e dei sistemi di prevenzione degli incidenti (FERRUCCI) che spezzi la connessione eziologica tra condotta omissiva ed evento. Sul punto, inoltre, è necessario precisare che, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., l'eventuale causa sopravvenuta idonea da sola a determinare l'evento, può spezzare la concatenazione causale: tale causa – consistente talvolta in un comportamento colposo della persona offesa – porterà ad esclusione della responsabilità dei garanti solo se il suo contegno sarà connotato da eccezionalità, abnormità, esorbitanza rispetto al processo lavorativo e alle direttive ricevute che sia del tutto imprevedibile (v. Cass. pen., 24 aprile 2007, n. 16422). Anche la sentenza in esame tratta il tema della causalità o abnormità cristallizzando la tendenza giurisprudenziale secondo cui, in ogni caso, l'eventuale condotta concorrente del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoratore che abbia a sua volta concorso violando le norme in materia di sicurezza in cantiere. Anomalo, abnorme o esorbitante sarà quindi solo quel comportamento che si snoda in un ambito estraneo alle mansioni affidategli, al di fuori delle prestazioni inerenti una determinata lavorazione ovvero una condotta che, pur rientrando nella specie di quelle dal lavoratore imposte, sia consistita in un qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro. Proprio per la presenza e l'intersezione di molteplici figure di garanti, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato la necessità di personalizzare la sfera di responsabilità di ciascuno dei soggetti coinvolti, analizzandone i vari ruoli, sia sotto il profilo dell'apporto di causazione dell'evento, sia per ciò che attiene alla ponderazione del rimprovero personale e quindi della colpa (v. Cass. pen., 23 marzo 2007, n. 21587, Pelosi). Da ultimo, è necessario ricordare che le condotte esaminate si inseriscono in un contesto complesso dove la compliance aziendale non può che tener conto – avendo a che fare costantemente con attività insite di rischi e pericoli – di una forma di collaborazione, in virtù del principio di affidamento secondo il quale ciascuno degli agenti può confidare nella correttezza dell'altrui comportamento. Il committente ed il responsabile dei lavori
L'art. 89 T.U., alla lettera b), identifica il committente in colui per conto del quale l'intera opera viene realizzata. Peraltro tale definizione non coincide appieno con la definizione civilistica di committente: non è necessario infatti, ai sensi del T.U., che il committente sia titolare di un diritto specifico, essendo sufficiente che sia il beneficiario dell'opera che si realizzerà. La figura del committente acquista rilevanza nel momento in cui, a fronte di una organizzazione complessa del lavoro, la realizzazione delle opere non segue più una struttura elementare bensì richiede una distribuzione dei compiti ampia con ripartizione di funzioni, volta a parcellizzare l'esecuzione dell'opera finale. Sul punto, la sentenza identifica il ruolo e il quid pluris di tale figura rispetto a quella del datore di lavoro, che, astrattamente, altro non è che lo stesso committente, scevro però da una realtà complessa come quella del contratto di appalto: normalmente è il datore di lavoro il personaggio che riveste una posizione di vertice nel sistema di sicurezza, in quanto titolare del rapporto di lavoro e al contempo titolare dell'impresa esecutrice dei lavori, con compiti quindi organizzativi ed economici inerenti l'attività di impresa che lo vedono direttamente coinvolto anche nella predisposizione ed osservanza delle misure antinfortunistiche. Tuttavia, nella previsione di una pluralità di soggetti che concorrono al rafforzamento della sicurezza del lavoro, il d.lgs. n. 494/1996 introduce, affiancandola al datore di lavoro con i suoi collaboratori, la figura del committente. Quest'ultimo quindi assume il ruolo di promotore, programmatore e finanziatore dell'opera, assumendo una qualifica imprescindibile anche in tema di sicurezza sul lavoro. Gli obblighi a lui demandati sono elencati all'art. 90 T.U., il quale, dopo aver richiamato le misure di tutela di carattere generale indicate all'art. 15, ne definisce i principali doveri: prendere in considerazione il P.S.C. ed il fascicolo tecnico dell'opera (F.T.) verificare l'idoneità tecnico professionale dell'imprese e lavoratori autonomi, designare, nei casi espressamente previsti, i coordinatori per la sicurezza e vigilare in ordine all'adempimento degli obblighi spettanti ai demandati (TORRE). La giurisprudenza provvede inoltre nelle sue pronunce a declinare una serie di ulteriori obblighi quali, ad esempio, la comunicazione delle informazioni sui rischi dell'ambiente di lavoro e la cooperazione nell'apprestamento delle misure di prevenzione e protezione (v. Cass. pen., Sez. IV, 19 aprile 2013, n. 31304). La collaborazione richiesta deve intendersi non solo nei confronti delle figure da lui delegate bensì in relazione alle società a cui appalta le commesse, senza però tradursi in una intromissione nelle linee essenziali di gestione (v. Cass. pen., 9 luglio 2009, n. 28197). A prescindere dal potenziale frazionamento dell'appalto, proprio perché portatore dell'interesse prevalente alla realizzazione dell'opera, il committente è considerato al vertice dell'intero sistema di prevenzione, nonché il protagonista della rete antinfortunistica predisposta. Tuttavia, la normativa ammette che il committente si avvalga all'uopo di altro soggetto – la cui presenza è facoltativa – a cui demandare gli obblighi previsti qualora il committente in persona non intendesse – o non avesse le capacità – di occuparsene: trattasi del c.d. responsabile dei lavori. Ai sensi dell'art. 93, comma 1, T.U., inoltre, il committente è esonerato dalle responsabilità per la parte in cui abbia validamente incaricato il responsabile, spogliandosi della posizione di garanzia e trasferendola in capo all'ausiliario che assume pertanto una posizione paritetica. Il d.lgs. 106/2009, modificando l'art. 93, comma 1, d.lgs. 81/2008, richiede che il committente, per essere esonerato da responsabilità, debba incaricare un soggetto idoneo: pur tacendo sui requisiti che il responsabile dei lavori deve avere, trattandosi di una scelta frutto di mera discrezionalità del committente, è necessario che egli abbia le competenze tecniche necessarie per adempiere gli obblighi imposti, affinché il committente non sia chiamato a concorrere penalmente per culpa in eligendo, ossia per imputazione a titolo di colpa insita nella nomina di un soggetto senza aver preventivamente verificato che questi ne abbia le necessarie competenze. Inoltre la suprema Corte (v. Cass. pen., Sez. IV, 21 dicembre 2011, n. 47476) per una più chiara ripartizione dei compiti e delle responsabilità, richiede che la nomina del responsabile tecnico sia accompagnata da un atto di delega con la quale vengano evidenziati precisamente i compiti e, più in generale, la sfera di competenza gravante su di lui (TORRE). Chiarito sinteticamente il quadro dei compiti del committente – e responsabile dei lavori – la sentenza corrobora quella tendenza giurisprudenziale di legittimità, ormai consolidata, secondo la quale, nell'alveo del panorama dei compiti che egli è chiamato a rivestire, la posizione di garanzia ricoperta dal committente si traduce in una funzione di c.d. alta vigilanza – culpa in vigilando – e non in un sistematico e continuo controllo sulla sicurezza delle lavorazioni; né si richiede un puntuale monitoraggio circa rischi specifici, la cui valutazione è demandata ad altre figure appositamente previste. Invero, mentre la giurisprudenza di merito appare oggi più propensa ad attribuire a tale figura compiti e responsabilità di diretto controllo con conseguenze processuali evidentemente negative, la suprema Corte continua a ribadire l'esigenza di evitare di gravare il committente di responsabilità non proprie, rimanendo, come detto, nell'ambito dell'alta vigilanza. Una tale tendenza ben si adatta alle realtà complesse ove il beneficiario dell'opera finale non può che avvalersi in modo ampio di deleghe e di collaborazione di altri soggetti; un eventuale obbligo di monitoraggio capillare non solo sarebbe materialmente impossibile bensì rischierebbe di tradursi in una imputazione di responsabilità per posizione, costituzionalmente non conforme (Cass. pen., Sez. IV, 18 gennaio 2012, n. 3563). Rimane tuttavia pacifico che il committente potrà rispondere penalmente per ingerenza qualora dovesse sovrapporsi (anche parzialmente), con frequenza, in attività e processi che non gli competono, interferendo nell'autonomia organizzativa delle altre unità produttive coinvolte (TORRE). Ai fini di agevolare l'accertamento giudiziale, la giurisprudenza di legittimità, da ultimo ribadita nella pronuncia n. 3563/2012, ha dettato una molteplicità di parametri da saggiare per verificare l'effettiva (o meno) incidenza del contegno (non ingerenza) del committente nella causazione dell'evento. Si tratta di valutare peculiarità dei lavori da eseguire, dei criteri adottati nella selezione dell'appaltatore o del prestatore d'opera, l'eventuale ingerenza concreta del committente nella realizzazione dei lavori ed infine “della percepibilità agevole ed immediata” di situazioni di rischio (TRINCHERA). In ogni caso, altra recente pronuncia della IV Sezione penale della suprema Corte, n. 26490/2016, ha chiarito un punto in precedenza controverso, fissando un limite oltre il quale eventuali trasferimenti di doveri di controllo non comportano un esonero totale di responsabilità in capo al committente che, quindi, risponderà in qualità di beneficiario e soggetto obbligato ex lege a vigilare l'andamento generale della gestione e dell'intervento: si tratta dell'obbligo di adottare precauzioni generiche, diversamente dalle regole volte a fronteggiare rischi specifici che solo colui che è dotato di una precipua conoscenza tecnica può fronteggiare. Si trattava, nel caso di specie, di decesso di un lavoratore irregolare della società appaltante a cui la committente aveva dato incarico di eseguire dei lavori di manutenzione di un capannone industriale consistenti, tra i vari, nella pulizia del canale di gronda. Il committente, ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 113, 589, commi 1 e 2, c.p. dai giudici di primo e secondo grado, ha impugnato il provvedimento di condanna in Cassazione; quest'ultima, nel rigettare il ricorso, ha affermato: in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine. Ad ulteriore compendio dell'analisi sul ruolo del committente, è opportuno citare la recente pronuncia dei giudici di legittimità n. 14167/2015 che affronta l'interpolazione tra la peculiare disciplina dettata in materia di cantieri temporanei o mobili e la normativa generale: riconoscendo che la gestione della sicurezza si esplica attraverso diversi documenti programmatici, qualora i cantieri mobili o temporanei siano frutto di un appalto c.d. endoaziendale è necessario applicare l'art. 26 T.U. che, al comma 3, impone al datore di lavoro – committente – di elaborare un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze oppure di devolvere, ma solo nei casi di attività a rischio minimo, ad un proprio incaricato. La questione, come la stessa Cassazione ammette, non è di facile interpretazione; invero, mentre in caso di coinvolgimento di più imprese, il committente è tenuto alla nomina di un soggetto all'uopo incaricato – il c.d. coordinatore per la progettazione – affinché rediga il documento di valutazione dei rischi interferenziali – P.S.C. – diversamente si prevede in caso di appalto interno dove l'elaborazione di tal piano spetterà al datore di lavoro committente (v. Cass. pen., Sez. IV, 12 marzo 2015, n. 14167). In ambo i casi, rimane pacifica la generale valutazione dei rischi di cui all'art. 17 e del relativo documento previsto all'art. 28 T.U., rientranti in un imprescindibile obbligo di qualsiasi datore di lavoro, comunque non delegabile a norma dell'art. 17, comma 1, lett. a) T.U. In ogni caso, nei cantieri complessi ove operano subappaltatori, sulla base di un principio generale di affidamento, vi è l'obbligo principale, gravante sulla totalità dei soggetti coinvolti, di rispettare i doveri imposti dalle norme antinfortunistiche, ciascuno per la porzione che è chiamato a garantire. I coordinatori per la sicurezza
È grazie all'input fornito dalla direttiva europea che la normativa in materia edilizia, fin dal testo del 1996, introduceva il coordinatore in materia di sicurezza e salute quale terzo qualificato, con l'obiettivo di inserire una figura priva di interesse di parte volta a sovraintendere il coordinamento nelle due fasi principali della lavorazione: la progettazione e l'esecuzione. Per quanto concerne il coordinatore in fase di progettazione, l'art. 89 lett. e) T.U. ne fornisce una definizione c.d. in bianco, rinviando agli obblighi su di esso gravanti declinati dall'art. 91 T.U. Egli, designato dal committente o dal responsabile dei lavori nei cantieri, ove è prevista la presenza di più imprese esecutrici ex art. 90, comma 3, T.U. e contestualmente all'assegnazione dell'incarico, si pone come obiettivo, in via principale, di verificare che la futura opera possa essere realizzata in sicurezza già nella fase prodromica della progettazione. Il coordinatore in fase di progettazione pertanto dev'essere chiamato ad operare a stretto contatto con il progettista dell'opera nella ottemperanza degli obblighi di cui è chiamato ad adempiere, consistenti nella redazione del P.S.C. e nella predisposizione di un fascicolo riguardante le informazioni utili sui pericoli ai quali i lavoratori sono maggiormente esposti e che tenga quindi conto delle caratteristiche dell'opera che in concreto sarà realizzata. I contenuti del P.S.C. ex art. 100 T.U. sono definiti, nelle sue linee essenziali, dall'allegato XV dal quale può trarsi che la valutazione dei rischi avviene su tre livelli: a) rischi di tipo interferenziali, discendenti dall'intreccio della pluralità di attività lavorative coinvolte, b) rischi aggiuntivi, concernenti le peculiarità dell'area di cantiere in cui si opera, e c) rischi specifici, riguardanti la natura dell'attività eseguita dall'impresa (TORRE). Quest'ultima tipologia di rischi è espressamente esclusa dalla valutazione che attiene al coordinatore in fase di progettazione, parendo che la valutazione a lui devoluta si limiti ad una analisi delle interferenze fra le lavorazioni. In concreto però, non si può non tener conto della circostanza che, proprio per i requisiti professionali prescritti dall'art. 98 T.U. di cui tale figura deve necessariamente essere in possesso, il piano de quo dovrebbe inglobare una valutazione non solo generica ma specifica dei rischi potenziali. Invero, se la valutazione dei rischi specifici è compito proprio del datore di lavoro nella redazione del Pos e al coordinatore per la progettazione spetta l'analisi delle eventuali interferenze tra le lavorazioni, una valutazione completa di questi rilievi non può prescindere anche dalla tipicità dei pericoli che l'opera presenta, auspicando pertanto una redazione congiunta di essa. Ragionando altrimenti, infatti come si potrebbe parlare di alta vigilanza in senso tecnico se consistesse solo in un'analisi sommaria e globale priva di riscontri specifici? La fase esecutiva è invece presidiata da un coordinatore apposito i cui obblighi sono statuiti dall'art. 92 T.U.; il suo compito precipuo consiste nel verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro riguardanti contenute nel P.S.C. e nella corretta applicazione delle procedure di lavoro. Il ruolo che tale figura è chiamato primariamente ad asservire rimane quello di saggiare il rispetto concreto dei documenti programmatici elaborati per garantire la prevenzione infortunistica, permettendo poi al datore di lavoro una vigilanza puntuale (TORRE). Egli inoltre deve controllare l'idoneità del Pos, compendio del P.S.C. di cui deve valutarne la coerenza, ed adeguare il P.S.C. e il fascicolo di valutazione dei rischi alle contingenze concrete che si verificano in corso d'opera; ha il compito di organizzare, tra i datori di lavoro delle imprese demandate, la cooperazione delle loro attività e l'informazione reciproca, di segnalare al committente eventuali violazioni di legge da parte delle imprese affidatarie ed infine di sospendere, in caso di grave ed imminente pericolo, le singole lavorazioni. Elencati gli obblighi ex lege gravanti sul coordinatore in fase di esecuzione, una recentissima pronuncia di legittimità (Cass. pen., Sez. IV, 24 maggio 2016, n. 27165) ricorda che la posizione di garanzia che il Legislatore ha inteso per tale figura coadiuva ma non sostituisce il committente ed il datore di lavoro, definendo il coordinatore per la fase di esecuzione come gestore del rischio interferenziale e non un mero controllore del datore di lavoro. Di fatto, la Cassazione si assesta e ritiene che in capo al coordinatore, in quanto collaboratore che agisce per conto del committente, venga traslata la medesima funzione (riconosciuta in capo al primo) di alta vigilanza che non può sfociare in un puntuale e costante controllo operativo demandato esclusivamente al datore di lavoro delle imprese esecutrici e ai preposti di esso, i soli in grado di garantire una contingente ed assidua presenza in cantiere (Cass. pen., 12 novembre 2015, n. 46991); da ciò ne discende che solo l'infortunio eventualmente riconducibile ad una carenza macroscopica organizzativa coinvolgerà anche il Coordinatore. La giurisprudenza cerca utilmente di fornire un'indicazione circa la veste che dovrà assumere l'accertamento giudiziale della violazione dell'obbligo giuridico gravante sul coordinatore; in particolare, esso non dovrà vertere sulla ricerca dei segni di una presenza diuturna bensì riguardare le tracce di azione di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale. La necessità quindi di interpretare correttamente il contenuto degli obblighi che la norma richiede, per fondare un addebito di responsabilità di tipo personale, ha portato ad una serie di pronunce di legittimità di annullamento delle sentenze di merito che invece riempivano di contenuti eccessivamente pregnanti i doveri di questi soggetti, esorbitando dalla ratio legis. Al di fuori del contenuto impeditivo dell'obbligo di cui all'art. 92, comma 1, lett. f) secondo cui sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate, i restanti doveri riconosciuti in capo al coordinatore in fase di esecuzione sono di carattere positivo, tale da ingenerare, in caso di inadempimento, una contestazione per colpa specifica (MORGANTE). Se questa è la tendenza giurisprudenziale, ci si potrebbe legittimamente domandare se committente e coordinatori condividono la medesima funzione di vigilanza, qual è l'elemento discretivo fra le due figure, ammesso che una distinzione vi sia? In realtà non bisogna dimenticare che il coordinatore è pur sempre un soggetto super partes anche se delegato ex lege dal committente, quest'ultimo portatore dell'interesse finale. Le due figure pertanto non si sovrappongono totalmente bensì si genera una sorta di climax discendente secondo il quale dal garante apicale, il committente, si snodano le posizioni dei coordinatori aventi funzioni di tipo tecnico di alta vigilanza, per giungere ad un dovere più pregnante ed intenso gravante sul Datore di Lavoro onerato dall'obbligo di monitorare le attività dei propri dipendenti puntualmente (MORGANTE). A fortiori, diversamente considerando, si svuoterebbe di significato l'art. 93, comma 2, T.U. secondo il quale la designazione dei coordinatori può escludere la responsabilità del committente o del responsabile dei lavori, fatta salva la verifica di una serie di adempimenti non demandabili, designati per essere proprio l'espressione di quel ruolo apicale che solo il committente, in virtù dell'interesse perseguito, è in grado di svolgere. Tali obblighi sono appropriatamente sintetizzati dalla sentenza in commento quali la verifica dell'adempimento da parte dei responsabili per la sicurezza degli obblighi ad essi facenti carico, fra i quali, in primis, la redazione del piano di coordinamento e di sicurezza e del documento di valutazione dei rischi per il coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e, per il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, l'azione di coordinamento e di controllo circa l'osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la verifica del piano di sicurezza. Impresa appaltatrice ed impresa esecutrice
Per l'esecuzione dell'opera il committente, qualora non disponga di una propria azienda alla quale affidare i lavori – c.d. appalto interno – è solito commissionare la realizzazione della costruzione ad una impresa esterna; accade poi che, quest'ultima, come nel caso della sentenza in esame, a sua volta subappalti la realizzazione di una lavorazione specifica ad altre imprese, creando così una catena di imprese, in una sorta di progressione discendente, impegnate nell'esecuzione del bene finale, su cui però gravano obblighi diversi e, conseguentemente, responsabilità di tipo diverso. I datori di lavoro delle imprese appaltatrici sono tenuti ad osservare le misure generali di tutela descritte all'art. 15 T.U. e quelle dettagliatamente indicate all'art. 95 T.U., mentre gli obblighi specifici ad essi imposti sono sanciti dagli artt. 96 e 97 T.U. Mentre l'art. 95 T.U. predispone le misure generali di tutela che si aggiungono a quelle previste dalla disposizione comune di cui all'art. 15 T.U., l'art. 96 T.U. detta gli obblighi dei datori di lavoro, dirigenti e preposti delle imprese affidatarie ed esecutrice; infine l'art. 97 T.U. è dedicato solo ai datori di lavoro delle imprese affidatarie ponendo in capo ad essi degli obbiettivi di verifica e coordinamento anche rispetto alle imprese esecutrici. A monte, l'art. 89 alle lettere i) e i-bis) T.U. fornisce una definizione di impresa affidataria (titolare del contratto di appalto con il committente che nell'esecuzione può avvalersi di imprese subappaltatrici o lavoratori autonomi) ed impresa esecutrice (colei che esegue un'opera o parte di essa). In particolare, tra gli obblighi che la normativa pone in capo ai datori di lavoro delle imprese affidatarie ed esecutrici vi è quello principale indicato all'art. 96 lett. g) T.U. consistente nella redazione del Pos, documento i cui contenuti sono dettagliatamente definiti nell'allegato XV comportante una valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori congiuntamente alle misure di prevenzione e protezione ed i dispositivi di protezione individuale (Cass. pen., sez. IV, 19 aprile 2013, n. 31304). Unanime giurisprudenza, inoltre, ritiene che l'eventuale presenza di una catena di appaltatori e subappaltatori non comporti il trasferimento degli obblighi in capo ad una sola delle imprese, bensì ciascuna di esse è tenuta ad elaborare il proprio Pos (Cass., sez. IV, 9 settembre 2008, n. 43111). Appare altresì condivisibile quanto sostenuto da copiosa giurisprudenza secondo cui il dies a quo per la redazione del Pos decorre dall'inizio dell'intera unità cantieristica, a prescindere da come si staglino cronologicamente le singole lavorazioni, pena altrimenti l'impossibilità di attuare la cooperazione tra i datori di lavoro, attività che rientra nelle misure generali di tutela di cui all'art. 15 T.U. Trattasi peraltro di obbligo che la giurisprudenza prevalente (Cass. pen., sez. IV, 19 aprile 2013, n. 31304) ritiene non delegabile alla stregua del documento di valutazione dei rischi ex art. 17 T.U. Il datore di lavoro quindi deve predisporre il proprio organigramma aziendale che si conformi alla situazione contingente di cantiere, predisponendo figure gerarchiche idonee al controllo puntuale dello status delle lavorazioni. L'impresa affidataria, oltre a dover assolvere il compito appena menzionato, è tenuta a verificare la congruenza dei diversi Pos tra di loro e rispetto al proprio elaborato, gravandosi pertanto di un surplus, rispetto alla impresa esecutrice, sancito dall'art. 97, comma 3, lett. a) T.U. Il Legislatore, ben consapevole che l'impresa consiste in una realtà articolata, estende gli obblighi descritti in capo al datore di lavoro ai dirigenti (art. 2 lett. d) T.U. persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa) e, in maniera parallela, anche ai preposti (art. 2 lett. e) T.U. persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa). Mentre gli obblighi in capo ai dirigenti sono i medesimi – sebbene per questi ultimi posti in fase di attuazione – di quelli del datore di lavoro ed indicati all'art. 18 T.U., l'art. 19 T.U., elenca gli obblighi generici in capo ai preposti a cui si aggiungono, per la peculiarità dell'ambito trattato, quelli specifici di cui al Titolo IV relativi all'attività cantieristica. L'insieme dei compiti affidati a questi ultimi non fa altro che identificare il confine verso il basso dei doveri di verifica e, a fortiori, il contenuto della posizione di garanzia che essi sono chiamati a ricoprire (MORGANTE): il datore di lavoro – sia che assuma la veste di appaltatore, subappaltatore o meno – è considerato quindi primo garante della salvaguardia dei propri lavoratori e nel fare ciò egli è deputato a valutare quei rischi specifici, connessi alla natura dell'attività oggetto di appalto la cui valutazione è sottratta al coordinatore ed al committente, in ottica di una maggior vicinanza del datore di lavoro alla fonte del pericolo e di conseguenza, ad una migliore ponderazione di esso (Cass. pen., 25 febbraio 2015, n. 12228). Ne discende, il dovere del datore di lavoro di assicurare altresì ai lavoratori una formazione consapevole ed adeguata alla natura del pericolo che per la loro attività sono tenuti ad affrontare (Cass. pen., 15 maggio 2013, n. 20970). La sentenza in commento tratta altresì di altri due ricorsi che offrono l'occasione di analizzare, seppur sommariamente, le figure del “direttore tecnico” di cantiere e del “preposto di fatto”. Ciò diviene occasione per affrontare l'eventuale ruolo ricoperto dai Delegati del datore di lavoro. Seppure la qualifica di “direttore tecnico di cantiere” non trova puntuale riscontro nella normativa, la Cassazione ricorda ancora una volta la prevalenza della situazione di fatto rispetto alla forma. Nel caso de quo il soggetto definito “direttore tecnico di cantiere” altro non era che l'appaltatore, amministratore unico della società a cui il committente aveva provveduto a concedere l'appalto. Sul punto la pronuncia provvede a richiamare l'orientamento giurisprudenziale (v. Cass. Pen., sez. III, n. 50996/2013 e Cass., sez. IV, n. 7954/2014) secondo il quale, nonostante all'appaltatore sia concesso subappaltare l'esecuzione delle opere: egli continua ad essere responsabile del rispetto della normativa antinfortunistica qualora, come nel caso di specie, eserciti una continua ingerenza e controlli la prosecuzione dei lavori. Infine, la sentenza provvede a sussumere nel preposto del datore di lavoro, incluso tra i destinatari degli obblighi di cui all'art. 96 T.U., il ruolo di capo cantiere chiarendo che, in quanto sovraintendente delle attività, egli impartisce istruzioni, dirige gli operai, provvede ad attuare le direttive impartite e ne monitora l'esecuzione, assumendo così il ruolo di garante nella tutela della sicurezza dei lavoratori (Cass. pen., 24 novembre 2015, n. 4340); ciò sulla base del consolidato principio secondo cui, come detto, ai fini dell'accertamento della qualifica menzionata non rileva l'eventuale assunzione formale ed istituzionale bensì la mansione di fatto concretamente accollata nonché la concreta interferenza del soggetto nei compiti rientranti nella nozione di preposto fornita dal T.U. Ne consegue che mentre la condotta tenuta dalle figure professionali dei collaboratori dà vita ad un addebito a titolo di colpa specifica, il datore di lavoro ed i suoi collaboratori saranno passibili di un addebito di colpa generica, per aver violato le regole di diligenza e prudenza nello svolgimento delle lavorazioni ad essi preposti. La responsabilità che scaturisce dalla violazione della normativa infortunistica è tale da coinvolgere non solo le persone fisiche chiamate a rivestire lo status di garante con le diverse sfaccettature sopra evidenziate, ma anche le persone giuridiche per le quali tali soggetti rivestono funzioni di direzione, rappresentanza, amministrazione, gestione. Diviene pertanto imprescindibile un seppur breve accenno alla responsabilità amministrativa dell'ente derivante da reato, qualora questo venga commesso nell'interesse ed a vantaggio della società da persone in ruolo apicale ovvero da coloro che sono sottoposti alla direzione o vigilanza di questi soggetti. L'art. 25-septies del D.lgs 231/01, inserito nel 2007 ed emendato nel 2008, include nel novero dei reati suscettibili di far scattare la responsabilità amministrativa da reato, l'omicidio colposo e le lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Ciò che distingue l'interesse dal vantaggio, secondo orientamento giurisprudenziale e dottrinale consolidato, è il momento della sua valutazione: il primo avviene ex ante come obiettivo soggettivamente perseguito dall'agente mentre il secondo va rilevato ex post alla luce degli effetti economici concretamente prodotti dal reato (MARINUCCI, DOLCINI). Calato nella specificità del tema trattato, l'interesse riguarda un bilanciamento degli interessi in gioco tra l'esecuzione dell'attività pericolosa in sicurezza e una consapevole condotta colposa; il vantaggio comporta l'effettivo verificarsi di un beneficio economico – risparmio dei costi, di tempo o potenziale guadagno – alla società (Cass. SS.UU., 18 settembre 2014, n. 38343). La pronuncia in commento riconosce la responsabilità del preposto di fatto in quanto risulta evidente l'interesse della impresa subappaltatrice insito nella natura del contratto stipulato con la società subcommittente, trattandosi un contratto “a corpo”, con pagamento calibrato sullo stato di avanzamento dei lavori. Una tale osservazione, pur condivisibile dal punto di vista logico, sembra poter ingenerare una responsabilità c.d. oggettiva poiché, soprattutto in questi tipi di contratti, si rischierebbe di sfociare nella retorica argomentazione secondo cui è ontologico l'interesse di una società alla conclusione delle lavorazioni in tempi tali da non vedersi costretta a lavorare in perdita, soprattutto per l'impiego di personale per tempo maggiore di quello preventivato. In conclusione
La normativa antinfortunistica, nella sua ermeneutica giurisprudenziale, presenta delle criticità che meritano di essere sottolineate. In primis, si segnala la recente tendenza giurisprudenziale – principalmente nelle sedi giudiziarie di merito – a ricorrere ad una imputazione dolosa a dispetto di un aerea tipicamente coperta dalla responsabilità colposa (DOLCINI, GATTA): è quanto è accaduto nel caso Thyssenkrupp dove i giudici di primo grado (Corte sssise Torino, 14 novembre 2011, Espenhahn), rispetto ad una ipotesi di infortunio sul lavoro, hanno riconosciuto dolo eventuale nella condotta dell'amministratore delegato che aveva deciso di non autorizzare minimi interventi di manutenzione per garantire la sicurezza, pur rappresentandosi la concreta possibilità del verificarsi di un evento mortale. La Corte d'assise d'appello (Corte Assise App. Torino, 28 febbraio 2013, Espenhahn) invece, e la Cassazione sulla medesima scia, ha riformato la pronuncia colorando la condotta del suddetto datore di lavoro di colpa cosciente: l'evento non è voluto ma l'agente si è rappresento la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito astenendosi comunque dalla condotta doverosa per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo. Il secondo rilievo riguarda la necessità di una maggior comprensione della normativa e della suddivisione dei ruoli di ciascuna figura in cantiere: nulla quaestio sull'esistenza imprescindibile di aree di coordinamento e comunicazione tra i vari protagonisti dove necessariamente compiti – e di conseguenza responsabilità – si intersecano; tuttavia, proprio a causa di questa articolazione irrinunciabile, sarebbe auspicabile che oltre al P.S.C. e al Pos (documenti prettamente tecnici), come manifestazione di quell'alta vigilanza riconosciuta in capo al committente, gravasse su di lui o sugli altri collaboratori l'ulteriore onere di redigere ed applicare una sorta di “Manuale Operativo” modellato sulla/e realtà aziendale/i operante/i, che in concreto definisca precisamente il ruolo e i compiti di ciascuno dei soggetti coinvolti. In questo modo, non solo ciascun soggetto sarebbe perfettamente consapevole dell'ambito e dei limiti dei propri compiti e responsabilità – evitando in tal modo eventuali ingerenze o interferenze –ma gli stessi vertici aziendali sarebbero maggiormente facilitati nel dimostrare la loro estraneità ai fatti accaduti. Invero, trattandosi di commesse per la maggior parte coinvolgenti società con struttura e dimensioni articolate, un sistema simile dovrebbe essere già adottato in conformità alle disposizione del d.lgs. 231/2001: l'adozione di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire i reati della specie verificatosi, unitamente all'affidamento ad un organismo autonomo della vigilanza sul funzionamento e sull'osservanza dei modelli a norma dell'art 6 d.lgs. 231/2001, possono asservire anche lo scopo primario di tutela e salvaguardia della sicurezza e quindi della salute di tutti i lavoratori. La progettazione della sicurezza nel cantiere, Volume INAIL, edizione 2015; GIURINTANO, Il rapporto tra l'ex d.lgs 494/96 e il d. lgs. 81/08 (“Testo Unico”) – prime note, in I commenti di istituto ambiente Europa al Testo Unico, in www.ambienteeuropa.it; MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2015, p. 358 e 766; FERRUCCI, La Corte d'Appello di Milano sulla responsabilità dell'ente in materia di sicurezza sul lavoro, nota a Corte d'Appello di Milano, sez. V, sent. 24 novembre 2015, Pres. Carfagna, in Diritto Penale Contemporaneo, 2016; TORRE, Sicurezza cantieri. Le responsabilità di committenti e coordinatori, in Ambiente & sicurezza sul lavoro, fasc. 2, 2013, p. 47 e ss.; TRINCHERA, Contratto di prestazione d'opera e responsabilità del committente in tema di sicurezza sul lavoro, in Diritto Penale Contemporaneo, 2012; MORGANTE, Responsabilità penale del coordinatore per l'esecuzione – il coordinatore per l'esecuzione: fino a quando (e a quanto) risponde?, in Giur. It. 2015, fasc. 5, p. 1225 e 2015; LEPORE, Le responsabilità penali dei committenti e dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e la delega in materia di redazione del Pos, in Giur. It., 2014, fasc. 1, p. 129; Commento ad art. 589, in Codice Penale commentato, in Dolcini, Gatta (a cura di), Tomo II, 2015, p. 3149 e ss.
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