L’ingiuria e i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume dopo i decreti Depenalizzazioni

Natalina Folla
23 Febbraio 2016

Tra le varie fattispecie incriminatrici "depenalizzate" dai decreti 7 e 8 del 2016 vi sono l'ingiuria e i reati contro la moralità pubblica e il buon costume: di essi viene tratteggiata la nuova fisionomia, emergente dal testo normativo e vengono messi in rilievo alcuni nodi problematici che inevitabilmente segnano i momenti di transizione legislativa.
Abstract

I decreti legislativi 7 e 8 del 15 gennaio 2016, che danno esecuzione all'art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67, hanno apportato nell'ordinamento italiano alcune innovazioni in verità auspicate da decenni dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Tra le varie fattispecie incriminatrici coinvolte in questa rivisitazione anche l'ingiuria e i reati contro la moralità pubblica e il buon costume: di essi viene tratteggiata la nuova fisionomia, emergente dal testo normativo e vengono messi in rilievo alcuni nodi problematici che inevitabilmente segnano i momenti di transizione legislativa.

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L'ingiuria: da illecito penale a illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria civile

La legge delega 67/2014, all'art. 2, comma 3, lett. a), n. 2, prevedeva l'abrogazione del delitto di ingiuria, di cui all'art. 594 c.p. e il legislatore delegato vi ha provveduto, ai sensi dell'art. 1, lett. c) del d. lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

Offendere l'onore o il decoro di una persona presente non dà più luogo, quindi, ad un reato.

Alla luce di tale scelta, appare chiaro che il legislatore ha considerato non essere più meritevoli di tutela penale le condotte lesive della dignità sociale di ogni persona umana, come ormai viene inteso il bene giuridico dell'onore secondo una interpretazione costituzionalmente orientata. Egli ha, tuttavia, ritenuto che siffatte condotte non potessero considerarsi lecite e che, anzi, richiedessero una sorta di tutela “rafforzata”, ragion per cui ha statuito che, se esse sono realizzate dolosamente, obbligano, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno in base alle leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile (art. 3, d.lgs. 7/2016). Ha dunque forgiato un illecito civile che riproduce la fattispecie descrittiva penale abrogata, con le differenze che andremo a puntualizzare, stabilendo all'art.4, comma 1, lett. a) del d.lgs. 7/2016 che soggiace alla sanzione pecuniaria civile chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

È interessante osservare che, con l'abrogazione dell'ingiuria e con la contestuale “riconversione” del previgente reato in un illecito sottoposto a sanzione pecuniaria civile, la novella si pone in consonanza con la tendenza, diffusa nella prassi applicativa, a preferire il ricorso allo strumento di tutela civilistica, contrassegnato, evidentemente, da un percorso più agevole e più rapido al fine di conseguire quello che si manifesta essere, spesso, la finalità preponderante del soggetto offeso: ottenere il risarcimento del danno.

Una consonanza che trova, del resto, conferma in quel passaggio della Relazione illustrativa, che accompagna il decreto legislativo 7/2016, laddove, nel delineare la ragione che ha portato all'abrogazione di alcune fattispecie poste a presidio dell'onore nonché della fede pubblica e del patrimonio, si rimarca come il loro disvalore si collochi nell'orbita delle relazioni private, in forza della natura sostanzialmente privatistica degli interessi in esse protetti, e che si riverberi, poi, anche nella subordinazione della tutela alla richiesta di risarcimento della persona offesa.

È comunque doveroso segnalare che, nella rinnovata cornice normativa, il profilo dell'autonomia di scelta affidata alla persona offesa viene a smarrirsi per quanto concerne la sanzione pecuniaria civile: se, infatti, la perseguibilità a querela, che connotava l'ingiuria nella sfera penale, si può immaginare trasfusa nella opzione della persona offesa di intraprendere o meno l'azione di risarcimento per il ristoro del danno subito, per contro, non si è ritenuto di subordinare anche l'applicazione della sanzione pecuniaria civile alla richiesta espressa della persona offesa o danneggiata. Riemerge, dunque, un'istanza pubblicistica che sembrava espunta e che si riflette inoltre nella decisione di destinare i proventi della sanzione civile a favore dello Stato, anziché della persona offesa, e precisamente, alla Cassa delle ammende (cfr. art. 10 del d. lgs. 7/2016).

In ogni caso, questa soluzione è stata certamente favorita anche da alcune considerazioni di natura tecnico giuridica, come il rischio (messo in risalto dalla dottrina, cfr. Palazzo, Commissione ministeriale costituita con D.M. 27 maggio 2014 e da lui presieduta) di irrigidire e di complicare il processo civile per il risarcimento se si fosse deciso di condizionarne lo svolgimento alla richiesta della somma aggiuntiva a titolo di sanzione pecuniaria. Con ciò disattendendo, peraltro, la ratio di “snellimento” del sistema che ha ispirato l'impianto della riforma.

A ben considerare, questo insopprimibile accento pubblicistico ha portato il legislatore a “compensare” la rinuncia, da parte dell'ordinamento, allo strumento penale, con una tutela potenziata, come si è detto, da una sanzione pecuniaria civile, in funzione accessoria e aggiuntiva, a cui è conferita, dunque, una innegabile finalità di prevenzione generale.

Difficile, a questo punto, non cogliere la venatura sostanzialmente punitiva del nuovo assetto legislativo dell'ingiuria. Se ne è reso conto il legislatore (delegante e delegato), il quale, nella fase di costruzione della nuova disciplina ha tenuto in considerazione le preziose riflessioni svolte in sede di lavori preparatori (in particolare, dalla Commissione ministeriale costituita con D.M. 27 maggio 2014) circa la necessità di attenersi alla giurisprudenza, maggioritaria, della Corte di Strasburgo, che estende le garanzie sostanziali e processuali previste dalla Cedu per la “materia penale” a tutti gli illeciti che presentino una natura punitiva. Questa assimilazione sostanziale tra la categoria dei nuovi illeciti civili e la sfera penale ha indotto, pertanto, il legislatore a confezionare una normativa in linea con l'indirizzo interpretativo ora rammentato.

Così è stato anche per l'ingiuria: in primo luogo, il nuovo illecito civile risponde al principio di tipizzazione legislativa e di predeterminazione dei limiti edittali delle sanzioni. Come già anticipato, soggiace alla sanzione pecuniaria civile chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, con scritti o disegni, diretti alla persona offesa (art. 4, d.lgs. 7/2016). Il dettato normativo è stato definito nel solco della norma penale previgente (cfr. art. 594, comma 1, c.p.), con la precisazione che, cogliendo l'opportunità della novella, il legislatore ha ampliato il catalogo delle condotte, ricomprendendovi anche i comportamenti realizzati con l'utilizzo dei mezzi informatici e telematici.

Sul versante dell'elemento psicologico poi e, anche qui, in continuità con la fattispecie abrogata, il criterio di imputazione personale richiesto è quello del dolo (v. art. 3, d.lgs. 7/2016).

Quanto ai limiti edittali delle sanzioni pecuniarie civili, rammentiamo che la tecnica legislativa adottata per riscriverli è consistita nella previsione di due distinte clausole generali sanzionatorie, connotate dal progressivo grado di afflittività (da euro cento a euro ottomila la prima, da euro duecento a euro dodicimila la seconda), a cui corrispondono due gruppi di illeciti civili, differenziati sulla base della gravità ricavata dalle loro sanzioni penali originarie.

Ciò premesso, vediamo qual è il quadro sanzionatorio dell'illecito civile dell'ingiuria.

Segue. Il regime sanzionatorio

Con riferimento alla disciplina previgente è opportuno ricordare che il reato di ingiuria, attratto nella sfera di competenza del giudice penale di pace (d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274), veniva punito con la multa da euro 258 a euro 2582, nell'ipotesi del primo comma dell'art. 594 c.p., mentre l'ipotesi aggravata del secondo comma, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, veniva sanzionata con la multa da euro 258 a euro 2582 o con la permanenza domiciliare da sei giorni a trenta giorni o con il lavoro di pubblica utilità da dieci giorni a tre mesi; era infine previsto un aumento delle pene, ai sensi dell'ultimo comma della disposizione de qua, per l'offesa commessa in presenza di più persone.

Il regime sanzionatorio attuale prevede per l'illecito civile di ingiuria la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000 (art. 4, comma 1, lett. a) d.lgs. 7/2016) ma, se l'offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di più persone, scatta la seconda clausola generale che prevede il livello sanzionatorio compreso tra i 200 e i 12.000 euro (art. 4, comma 4, lett. f), d. lgs. 7/2016).

L'avere evocato l'ipotesi di ingiuria aggravata ci porta a constatare che il legislatore, riproponendola nel nuovo assetto legislativo, ha di fatto strutturato la fisionomia dell'illecito civile di ingiuria sulla falsariga del reato previsto nel codice penale.

E dalla previgente disciplina complessiva dei delitti contro l'onore egli ha attinto anche per riproporre il tema della reciprocità delle offese che, ricordiamo, prevedeva la possibilità per il giudice di dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori (art. 594, comma 1, c.p.) per ragioni, sostanzialmente, di opportunità e convenienza. Ebbene, questa causa di non punibilità, rimessa alla applicazione discrezionale del giudice, si è ora “tradotta” nel potere discrezionale del giudice (civile) di non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad entrambi gli offensori (art. 4, comma 2, d.lgs. 7/2016).

Parimenti è stata recepita la circostanza attenuante della provocazione, che, secondo l'art. 599, comma 2, c.p. rendeva non punibile l'ingiuria (e anche la diffamazione), quando questa fosse stata commessa nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso. L'art. 4, comma 3, del d.lgs. 7/2016, afferma, infatti, che non è sanzionabile chi ha realizzato una condotta ingiuriosa quando sussistano i tre elementi (gli stessi richiesti dal codice penale, ora menzionati) del fatto ingiusto altrui, dello stato d'ira, della immediatezza della reazione lesiva dell'onore.

Ragioni di coerenza sistematica hanno, quindi, imposto una riscrittura delle disposizioni codicistiche, investite dall'intervento riformatore, specificamente dell'Esclusione della prova liberatoria (art. 596 c.p.), della Querela della persona offesa ed estinzione del reato (art. 597 c.p.) nonché della Ritorsione e provocazione (art. 599 c.p.), il cui contenuto, sulla base di quanto previsto dall'art. 2, comma 1, lett. g), h), i), del d.lgs. 7/2016 è riferito solamente alla fattispecie penale della diffamazione, l'unico reato contro l'onore del codice penale sopravvissuto all'intervento riformatore. In particolare, la modifica sostanziale apportata al dettato legislativo dell'art. 599 c.p., consistente nella soppressione della causa di non punibilità, affidata alla discrezionalità del giudice, e rappresentata dalla reciprocità delle ingiurie, di cui si è detto, ha comportato la mutazione della rubrica dell'art. 599 c.p., che si riferisce oramai soltanto alla Provocazione, quale causa di esclusione della pena connessa al (solo) reato di diffamazione.

Il decreto fissa anche altri aspetti della disciplina concernente le sanzioni pecuniarie civili, come i criteri di commisurazione delle sanzioni medesime, la reiterazione dell'illecito e il concorso di persone.

Sul versante della prassi applicativa, infine, merita attenzione la questione delle norme di diritto intertemporale. Il legislatore delegato, in assenza di coordinate di riferimento espresse dal legislatore delegante, ha introdotto, all'art. 12 del d.lgs.7/2016, delle disposizioni transitorie.

Applicando tali regole all'illecito civile di ingiuria, che qui rileva, possiamo tracciare il seguente schema: ai fatti di ingiuria commessi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 7/2016, si applicano le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili, salvo che il procedimento sia stato definito dal giudice (di pace) con sentenza passata in giudicato (art. 12, comma 1, d.lgs. 7/2016). Pertanto, il soggetto che ritenga di essere stato danneggiato dalla condotta ingiuriosa del soggetto agente, potrà esperire l'azione civile per ottenere il risarcimento del danno e, laddove risulti vittorioso, il giudice provvederà ad applicare al condannato anche la sanzione pecuniaria civile. Si è ritenuto in tal modo di evitare disparità di trattamento; tuttavia, sul punto, qualche riserva potrebbe essere avanzata circa la mancanza, nel d. lgs. 7/2016, di uno sbarramento analogo a quello contenuto nel comma 3 dell'art. 8 del d.lgs. 8/2016, per il quale, ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo non può essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato. A ben guardare, una siffatta previsione sarebbe risultata opportuna anche per l'illecito civile di ingiuria, se solo si pensa che il massimo edittale della sanzione civile pecuniaria per esso stabilita è fissato in ben 8.000 euro, a fronte dei 2582 euro previsti dall'art. 594 c.p.

Nel caso in cui, invece, sia già intervenuta una pronuncia irrevocabile di condanna per il reato di ingiuria, il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 2, comma 2, c.p., revoca la sentenza, dichiara che il fatto non è più previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti, seguendo la procedura semplificata di cui all'art. 667, comma 4, c.p.p. È utile ricordare che, se all'abolitio criminis di cui all'art. 2, comma 2, c.p., conseguono la revoca della sentenza, la cessazione dell'esecuzione della pena, compresa quella delle pene accessorie, nonché degli altri gli effetti penali della condanna; restano ferme, invece, le obbligazioni civili nascenti dal reato, come quelle che hanno ad oggetto il risarcimento del danno.

La depenalizzazione dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume

Sono passati più di trent'anni da quando autorevole dottrina italiana, guardando con interesse alla depenalizzazione avviata in alcuni ordinamenti europei in tema di reati contro la moralità pubblica e il buon costume, auspicava che anche il legislatore italiano facesse propria quella che già all'epoca sembrava essere una ragionevole opzione di politica criminale, considerato il mutato sentire sociale delineatosi rispetto a queste tematiche.

Evidentemente, nel nostro Paese, i tempi non erano maturi e quella strada è stata intrapresa soltanto di recente, nel 2016, in forza del d.lgs. 8/2016, attuativo della legge delega 67 del 28 aprile 2014 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'art. 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67, in Gazz. uff. 17 del 22 gennaio 2016, in vigore dal 6 febbraio 2016).

In virtù dell'opera di depenalizzazione in esame, i delitti di Atti osceni, di cui all'art. 527 c.p., e di Pubblicazioni e spettacoli osceni, di cui all'art. 528 c.p., nonché la contravvenzione contemplata nell'art. 726 c.p., di Atti contrari alla pubblica decenza sono stati trasformati in illeciti amministrativi.

In base della nozione di osceno tratteggiata dall'art. 529 c.p. sono considerati osceni, agli effetti della legge penale, gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore. Si tratta, quindi, di fattispecie che erano state poste a tutela del bene giuridico del pudore pubblico, inteso nella sua accezione di buon costume, ossia della moralità pubblica riferita alla sfera sessuale. In altre parole, con lo strumento penale venivano poste delle regole di comportamento volte a stabilire ciò che è socialmente approvato o tollerato con riguardo alla sfera delle relazioni sessuali tra individui. Il grave deficit di tassatività della definizione, nonostante i vari tentativi di incanalare l'interpretazione di quest'ultima in una visione costituzionalmente orientata, aveva, tuttavia, reso discutibile la presenza nel codice penale di tali fattispecie e la dottrina si era posta l'interrogativo se un diritto penale moderno e razionale dovesse continuare ad occuparsi di tali tematiche e se fosse legittimo operare un controllo penale rispetto ai comportamenti di pornografia o di esibizionismo. Ciò con riguardo agli adulti, si intende perché altro è, invece, l'impegno che l'ordinamento si deve assumere nei confronti di soggetti minori, per proteggere i quali, rispetto ad uno sviluppo equilibrato e sereno della loro personalità, è senz'altro giustificato l'utilizzo dello strumento penale.

Come si evince dalle disposizioni contenute nel d.lgs. 8/2016, per gli illeciti penali trasformati in illeciti amministrativi dalla depenalizzazione c.d. generale o “cieca” è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da determinarsi secondo le modalità tracciate dal comma 5 dell'art. 1 del d.lgs. 8/2016

Per quanto attiene alle situazioni previste dagli artt. 2 (Depenalizzazione di reati del codice penale) e 3 (Altri casi di depenalizzazione) del d.lgs. 8/2016, designate come depenalizzazione “nominativa”, le nuove cornici edittali delle sanzioni amministrative sostitutive delle pene originarie, che, in questo ambito, lo ribadiamo, sono (oltre che pecuniarie anche) detentive, sono state articolate, nel rispetto dei principi di proporzione, ragionevolezza e coerenza sistematica, in tre fasce, prevedendo: la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro per le contravvenzioni punite con l'arresto fino a sei mesi; la sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000 euro per le contravvenzioni punite con l'arresto fino a un anno e la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro per i delitti e le contravvenzioni punite con una pena detentiva superiore a un anno.

Alla luce delle disposizioni contenute nel d.lgs. 8/2016, il quadro normativo dei reati qui esaminati risulta essere il seguente:

il delitto di atti osceni, integrato dalle condotte di chiunque in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico compie atti osceni che, in forza dell'art. 527 c.p., veniva punito con la reclusione da tre mesi a tre anni, a seguito della depenalizzazione diventa un illecito amministrativo, soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000 (art. 2, d.lgs. 8/2016).

Come si può notare, in questo caso, la cornice edittale rappresenta un'eccezione ai limiti edittali degli scaglionamenti ora richiamati, attestandosi su soglie inferiori a quelle che si sarebbero dovute applicare seguendo i criteri di “conversione” menzionati. La ratio di tale deroga è da correlarsi alla persuasione del legislatore delegato che la pena edittale prevista in origine per il reato di atti osceni non corrisponda più al disvalore sociale attribuito attualmente a tale fattispecie dai consociati e che quindi andasse non solo sostituita con la sanzione amministrativa, ma anche ridotta nella sua entità.

Il comma 2 del medesimo articolo, introdotto dal c.d. “pacchetto sicurezza”, di cui alla l. 15 luglio 2009, n. 94 e volto a rafforzare la protezione della inviolabilità sessuale dei minori, prevedeva un aumento di pena da un terzo alla metà, per i fatti commessi all'interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano. Il decreto legislativo 8/2016 investe anche tale previsione ma non per depenalizzarla. Come abbiamo anticipato, infatti, essendo la fattispecie un'ipotesi aggravata, viene ad assumere una dimensione autonoma (comma 2 dell'art. 1 d.lgs. 8/2016) e, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. b) del d.lgs. 8/2016, sanzionata con la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi; scomparsa la fattispecie penale base, infatti, il legislatore ha indicato la cornice edittale ex novo.

Va ricordato che un precedente intervento di depenalizzazione, quello attuato con il d.lgs. 507/1999, aveva già provveduto a depenalizzare la figura colposa di atti osceni, sostituendo la precedente pena della multa con una sanziona amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309.

Venendo ora all'art. 528 c.p., Pubblicazioni e spettacoli osceni, le condotte, contemplate nel primo comma, di chi allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualunque specie, punite con la reclusione da tre mesi a tre anni, congiuntamente alla pena pecuniaria della multa non inferiore a euro 103, a seguito della depenalizzazione sono ora soggette alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. La stessa sanzione viene stabilita, poi, per le condotte di chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente, contenute nel secondo comma dell'art. 528 c.p., e sottoposte in origine allo stesso trattamento sanzionatorio di quelle del primo comma (art. 2, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. 8/2016).

Mantiene, invece, rilevanza penale la fattispecie del terzo comma, volta a reprimere chi adopera qualsiasi mezzo di pubblicità atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte dell'articolo (art. 528, comma 3, n. 1, c.p.) e chi dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità (art. 528, comma 3, n. 2, c.p.). Tali condotte, quindi, vengono punite con la pena prevista in origine, ossia, la reclusione da tre mesi a tre anni e la pena pecuniaria della multa non inferiore a euro 103 (art. 2, comma 2, lett. c) d. lgs. 8/2016), assumendo la fisionomia di reato autonomo.

È divenuto, infine, reato autonomo, anche il quarto comma dell'art. 528 c.p., che stabilisce un aumento della pena, in relazione a quest'ultima ipotesi (quella dell'art. 528, comma 3, n. 2, c.p.), se il fatto è commesso nonostante il divieto dell'Autorità. Per inciso, interventi legislativi successivi all'emanazione del codice avevano già escluso i rivenditori professionali e i librai dalla responsabilità derivante dall'art. 528 c.p.

L'ultima figura che qui ci occupa è quella contravvenzionale dell'art. 726 c.p.degli Atti contrari alla pubblica decenza. Ai sensi dell'art.2, comma 6, del d.lgs. 8/2016, i comportamenti di colui che, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza, i quali, disattendendo i criteri di convivenza e decoro (sviluppati dalla giurisprudenza), provocano disgusto e disapprovazione, non sono più puniti con l'ammenda da euro 258 a euro 2582 ma con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 10.000.

In conclusione

Se risulta condivisibile l'opzione di fondo di politica criminale del legislatore volta, su un fronte, a snellire la sfera penale, espungendo da essa una serie di reati che possono trovare più adeguata tutela attraverso l'attivazione di strumenti civilistici e, sull'altro, a depenalizzare fattispecie che non sono più in armonia con i valori dominanti tra i consociati, gravi, tuttavia, sono le perplessità che permangono, a nostro parere, circa l'efficacia degli strumenti messi in atto per superare quelle criticità che sono state all'origine del disegno riformatore.

Quanto all'ingiuria, v'è da chiedersi se davvero le novità introdotte possano assicurare alla persona offesa una tutela autentica e un percorso più agile: la connotazione ibrida della sanzione pecuniaria civile e la sua natura innegabilmente punitiva, unitamente ad alcuni non trascurabili limiti che il processo civile presenta sul piano probatorio, fanno dubitare dell'utilità del cambiamento e alimentano la preoccupazione di una contrazione delle garanzie individuali rispetto a quelle accordate in sede penale.

Sul versante della depenalizzazione dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, l'istanza in tal senso, come si è detto, viene da lontano e, quindi, riteniamo un passo positivo l'avere intrapreso, finalmente, questo cammino.

A nostro parere, però, il legislatore avrebbe dovuto cogliere l'occasione della novella per apportare un mutamento radicale alla materia, sia nella selezione dei comportamenti offensivi, sia nella individuazione del bene giuridico tutelato, che dovrebbe ormai intendersi solo in chiave di protezione della libertà personale. Un segnale in tal senso poteva essere rappresentato quanto meno da una ridefinizione in termini meno “liquidi” della nozione di osceno; il che, però, non è avvenuto.

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