Le problematicità del delitto d'induzione indebita e la configurabilità del tentativo
23 Maggio 2016
Abstract
Il Gip presso il tribunale di Palermo, ha rigettato la richiesta del pubblico ministero di applicare una misura cautelare nei confronti di un soggetto pubblico ufficiale, accusato del delitto tentato d'induzione indebita a dare o promettere utilità, sul presupposto del difetto degli elementi tipici del fatto-reato. L'indagato avrebbe, nella veste di dirigente generale della Regione Sicilia e abusando della detta qualità e dei corrispondenti poteri, tentato di indurre (attraverso toni bruschi e perentori) un funzionario, dirigente del FORMEZ, Ente in house del Ministero della Funzione Pubblica, a promettere e/o realizzare indebitamente una pretesa plurima contrattualizzazione di alcuni soggetti. In particolare, la richiesta è stata ritenuta non meritevole di accoglimento in quanto negli atti processuali non è stato rinvenuto alcun vantaggio indebito che poteva perseguire, a fronte dell'induzione, in prima persona o nella qualità (nell'interesse dell'Associazione FORMEZ P.A.) la persona indotta. Il Gip, nell'esaminare il caso sottoposto alla sua attenzione, ha preliminarmente compiuto delle brevi osservazioni sulla nuova fattispecie delittuosa. Condividendo il dictum delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un., 24 ottobre 2013, n. 12228), il Gip ha dato rilievo alla circostanza che l'art. 319-quater c.p. si potrà configurare in presenza dell'induzione e dell'indebito vantaggio da parte del privato. L'argomentazione posta a fondamento dell'ordinanza del Gip di Palermo, però, non trova conforto in un arresto giurisprudenziale della Sezione VI della Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, 11 aprile 2014 n. 32246) che, in netto contrasto, ha affermato che il requisito del perseguimento di un indebito vantaggio da parte del privato rimane estraneo alla struttura della norma incriminatrice di cui agli artt. 56 e 319-quater c.p. Invero, e bene ha fatto il Gip, il sopraindicato pronunciamento non è in linea con l'orientamento maggioritario del supremo Collegio che più volte ha ribadito che il reato di induzione indebita si configura quando il funzionario pubblico pone in essere l'abuso induttivo operando da una posizione di forza e sfruttando la situazione di debolezza del privato che presta acquiescienza alla richiesta, non per evitare un danno ingiusto ma per conseguire un vantaggio indebito (Cass. pen., Sez. VI, 15 luglio 2014 n. 47014). L'introduzione nel nostro ordinamento del delitto d'induzione indebita a dare o promettere utilità (ex art. 319-quater c.p.) pone notevoli problemi giuridici che coinvolgono diversi istituti del diritto penale quali quelli della concussione, della corruzione, dell'istigazione alla corruzione, del delitto tentato, del concorso di persone nel reato, del reato impossibile. Innanzitutto, la questione dibattuta è quella concernente il concetto d'induzione che il supremo Collegio a Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un., 24 ottobre 2013, n. 12228) ha risolto nel senso che, fuori dalla violenza o minaccia e cioè quindi fuori dalla costrizione, ogni condotta di persuasione, di suggestione, d'inganno (purchè quest'ultimo non si risolva in induzione in errore, sulla doverosità della dazione), di pressione morale nei confronti del privato, che dispone in tali circostanze di più ampi margini decisionali, configura il delitto di nuovo conio, collocato subito dopo la corruzione propria nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione, d'induzione indebita a dare o promettere utilità. Se l'interpretazione data dai giudici di legittimità, ai fini della differenziazione tra il predetto delitto (ex art. 319-quaterc.p.) e il delitto di concussione (ex art. 317 c.p.) sembrerebbe aver dato una linea guida ai giudici di merito, invece, ciò che rimane nel ginepraio, dove è immerso l'art. 317-quater c.p., è ancora colmo di difficoltà interpretativa specie nell'ambito della configurabilità del detto delitto nella forma tentata e in quello della differenziazione con il delitto d'istigazione alla corruzione (ex art. 322 c.p.). L'ordinanza in esame offre,quindi, l'occasione per fare alcune brevi riflessioni sul delitto ex art. 319-quater c.p. introdotto nel nostro ordinamento nell'anno 2012. La nuova fattispecie delittuosa presenta, come detto, problemi interpretativi e, quindi, applicativi specie in relazione a particolari casi concreti. La Corte suprema ha messo dei paletti ben precisi in termini di tipizzazione della fattispecie induttiva che si realizza sulla base della sussistenza di due elementi. Il primo consiste nell'abuso prevaricatore del pubblico ufficiale, il secondo nel vantaggio indebito del privato. Il primo elemento, dunque, presuppone una situazione di sopraffazione, certamente psicologica nei confronti dell'extraneus che, cedendo alla persuasione dell'intraneus, si convince a concludere il patto illecito non perché potrà subire un danno ma al contrario perché potrà ottenere un beneficio. Tale ultimo elemento differenzia il reato di induzione indebita dalla concussione laddove il privato, invece, è vittima e non concorrente. Peraltro, mentre nella concussione la volontà del privato è annullata, nel senso che non ha alcuno spazio per autodeterminarsi, nel delitto di induzione egli ha dei buoni margini di scelta e la conclusione dell'affare illecito, per avervi aderito, comporta la punizione, sia pure in misura attenuata rispetto all'induttore, della condotta appunto consenziente alla proposta illecita del pubblico ufficiale. Diversamente, nell'ipotesi della concussione, il privato, essendo completamente annullata la sua volontà di autodeterminarsi, è soggetto passivo e quindi vittima del reato. Quale significato concreto dare al concetto d'induzione? Severa è la critica di attenta dottrina nei confronti del legislatore che in maniera sbrigativa e superficiale, in nome di avvertite istanze di tutela, sacrifica il principio di determinatezza utilizzando il concetto di induzione come una sorta di passepartout evitando volutamente di specificarne modalità di condotta o indicarne elementi differenziali rispetto ad omologhe fattispecie di costrizione,allo scopo di consentirne un riempimento da parte del giudice a seconda delle esigenze di giustizia del caso concreto (PIVA, 103). Tale vaghezza del concetto di induzione ha spinto le Sezioni Unite, con la nota sentenza già citata, a intervenire essendosi immediatamente formato un netto contrasto di opinioni. Indurre non è altro che invogliare, incitare, trascinare, convincere taluno della bontà della proposta, dell'idea, del progetto, del disegno criminoso. In mancanza di un intervento correttivo del legislatore, giustamente è auspicata un'interpretazione veramente restrittiva del concetto di induzione,agganciata alle limitrofe figure della suggestione o dell'inganno e,al pari di queste,spendibile come “condotta-evento”, sia sul piano della descrizione del comportamento punibile che del suo risultato tipico (PIVA 103). Nell'ambito dell'esame del concetto di induzione è chiaro che bisognerà tener conto delle capacità del soggetto di suggestionare l'indotto e del modo con cui è stata sviluppata la comunicazione induttiva (PIVA, 55). E occorrerà tener conto del destinatario dell'induzione, la cui personalità costituisce un fattore idoneo a qualificare l'adeguatezza della condotta, anche in una prospettiva ex ante, utilizzabile a correzione delle teorie condizionalistiche (PIVA, 55; CALLIERI – FLICK). L'età, le condizioni psichiche, il rapporto di amicizia, il vincolo parentale e quant'altro sono tutte condizioni che influenzano e condizionano il rapporto tra le parti. Correttamente è stato osservato che il rapporto intersoggettivo è influenzato anche dalle caratteristiche psicologiche del privato così come certamente conosciute dall'agente, che sfrutta eventuali condizioni di suggestionabilità, adottando il suo agire in relazione alla percezione che ritiene l'extraneus possa interiorizzare (PIVA, 56). In tale situazione, il pubblico ufficiale dialoga con il privato al quale non estorce il consenso ma lo convince razionalmente che la proposta presenta dei benefici nei suoi confronti. (MAGRO). Il rapporto, quindi, pubblico ufficiale e privato non è impari, anzi entrambi stanno sullo stesso piano poiché il privato può non accettare la richiesta rinunciando all'illegittimo beneficio. Accurata dottrina, invero, ha avuto modo di evidenziare che l'extraneus “non è una preda da catturare, ma soggetto razionale, senziente e volente che esprime una più autentica e personale autodeterminazione volitiva”(MAGRO). Se nella concussione, come detto, il privato è vittima, nell'induzione è compartecipe nel reato. Insomma, se l'indotto non cederà "al canto delle sirene", egli non sarà chiamato a rispondere del delitto che in questa sede ci occupa. Una breve preliminare osservazione in tema di delitto tentato è necessaria per meglio argomentare sulla possibile configurabilità nella forma tentata del delitto d'indebita induzione. È assai noto che il delitto tentato, disciplinato dall'art. 56 del codice penale, si configura ogni qualvolta un soggetto compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto senza che l'azione si compia o l'evento si verifichi. L'iter del disegno criminoso, è noto, investe varie fasi della condotta umana illecita: a) l'ideazione; b) l'esecuzione; c) la consumazione. Un delitto può essere solo pensato e ciò non comporta alcuna sanzione se non, eventualmente, l'applicazione di una misura di sicurezza (ex art. 115 c.p.). Ciò che, quindi, distingue il delitto tentato da quello consumato è il non compiersi dell'azione o il non verificarsi dell'evento. È evidente, però, che il giudizio relativo all'avvenuta consumazione del reato va effettuato di caso in caso, in funzione della diversità degli elementi strutturali che compongono le varie fattispecie incriminatrici (FIANDACA – MUSCO). Occorre, perché il reato possa configurarsi, che il fatto concreto corrisponda esattamente a tutti gli elementi costitutivi previsti dalla norma. Potrà accadere che l'azione posta in essere dall'agente difetti di uno degli elementi costitutivi e per ciò solo non potrà parlarsi di delitto tentato ma piuttosto di insussistenza del fatto costituente reato. L'agente, cioè, deve attuare una condotta tipica che possa essere inequivocabilmente ricondotta alla fattispecie penale incriminatrice. Il pubblico ufficiale, per esempio, potrà essere chiamato a rispondere del delitto di abuso d'ufficio (ex art. 323 c.p.) in presenza di tutti gli elementi costitutivi del detto reato e cioè 1) del dolo intenzionale; 2) dell'inosservanza della legge; 3) dell'ingiusto vantaggio o dell'altrui danno. In mancanza di uno dei sopraindicati elementi, la condotta non potrà essere inquadrata nella detta fattispecie nemmeno nella forma tentata. Sicchè, se vi è stato dolo intenzionale ma non violazione di legge, il delitto di abuso d'ufficio non si configurerà nemmeno nella forma tentata, difettando, appunto, di alcuni elementi costitutivi per la sua essenza. Si ritiene, infatti, che il delitto di abuso d'ufficio, ai fini della sua integrazione, richiede la sussistenza della c.d. doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, perché compiuta in violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Occorre cioè una duplice distinta valutazione atteso che non si può far discendere l'ingiustizia del vantaggio conseguito dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dall'accertata esistenza dell'illegittimità della condotta (ex multis, Cass. pen., Sez. VI, 21 agosto 2014, n. 36076). E ancora, è stato affermato, in tema di abuso d'ufficio, che qualora nello svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico legittimamente affidato all'agente dall'ordinamento, (non un fine privato per quanto lecito, non un fine collettivo, né un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato. (Cass. pen., Sez. VI, 22 novembre 2002, n. 42839. Fattispecie relativa alla condotta del sindaco di un comune sito in zona turistica che aveva rilasciato un certificato di abitabilità e di agibilità di un complesso turistico in violazione delle norme in materia urbanistica e sanitaria, subordinata a nulla osta ambientale, allo scopo di perseguire il fine pubblico di assicurare la stagione turistica del Comune che fonda la sua economia esclusivamente sul turismo). Così esaminata, sia pure per brevi cenni, la questione in tema di delitto tentato, è necessario, a questo punto, chiedersi quali sono gli elementi strutturali del reato di indebita induzione per come disciplinato dall'art. 319-quater c.p. e se è possibile la configurabilità nella forma del tentativo. In assenza di accettazione della proposta per volontà del privato, è possibile configurare l'ipotesi di tentata induzione? Se la fattispecie induttiva, secondo il dictum della Cassazione, richiede due presupposti, il venir meno dell'accettazione del privato, inteso come assoluta libera scelta di non adesione, non può, a nostro giudizio, comportare la configurabilità del tentativo del delitto d'induzione. In tale ipotesi, si verserebbe nell'ipotesi del reato impossibile per inidoneità dell'azione in quanto non è stata in grado di persuadere, di convincere l'extraneus ad aderire alla proposta. Se l'agente pubblico, quindi, non è stato in grado di "ammaliare" il partner prescelto, il suo tentativo potrà dirsi abortito e, pertanto, non punibile. È di tutta evidenza, però, che fuori dai canoni dell'induzione, per così come delineati dalle Sezioni unite, altre ipotesi di reato potranno configurarsi in capo al pubblico ufficiale (es. la tentata concussione, o l'istigazione alla corruzione). In definitiva sul punto, si è concordi con quella dottrina che mostra notevoli perplessità nell'ipotizzare una realizzazione della fattispecie d'indebita promessa o dazione nella forma tentata dovendosi necessariamente ritenere, qualora sussista una precedente condotta induttiva, la fattispecie già consumata (MAGRO). In tema di delitto tentato, si può, pertanto, efficacemente affermare con importante dottrina che nei casi in cui l'agente non riesce a portare a compimento il delitto programmato, ma gli atti parzialmente realizzati sono tali da esteriorizzare l'intenzione criminosa (FIANDACA – MUSCO, 334-335, ed. 1994) risponderà del fatto incriminato a titolo di delitto tentato. Ma tale efficace e qualificata definizione, nel delitto in esame, ha bisogno, a nostro giudizio, di una precisazione. Se il pubblico ufficiale, per esempio, ha pensato di indurre il privato ad accettare una sua proposta che gli procuri un indebito vantaggio, non per ciò solo sarà chiamato in giudizio per rispondere del delitto programmato. Invero, se il privato non ha ceduto alle sue lusinghe, occorre perché si perfezioni il delitto, per come è stato pensato dal nostro legislatore, il concorso di due volontà. Da una parte, il pubblico ufficiale che con modi suadenti dovrà convincere l'extraneus a subire la condotta, dall'altra il privato che dovrà aderire alla richiesta di "subire" un indebito vantaggio. Sono tre, pertanto, gli elementi oggettivi che sostanziano la fattispecie delittuosa che ci occupa: l'induzione del pubblico ufficiale, l'accettazione da parte dell'extraneus e l'indebito vantaggio. Si badi, il vantaggio, per come diligentemente è stato osservato nell'ordinanza in esame, deve essere necessariamente indebito, poiché diversamente, in presenza di un vantaggio lecito, verrebbe a mancare uno dei pilastri portanti del delitto di che trattasi. Così ancora, se l'induzione non ha raggiunto un livello tale da far intendere al privato che si tratta di un abuso di poteri del pubblico ufficiale (tale, cioè, da non rendersi conto che gli è stata fatta una proposta illecita), il mancato superamento della soglia dell'induzione, oltre la quale si ha l'evidente prospettazione della promessa o dazione di utilità indebita, non potrà costituire la struttura del reato ex art. 319-quater c.p. Insomma, se il delitto tentato ha bisogno dell'idoneità dell'azione, è chiaro che un'azione non adeguata al raggiungimento dello scopo farà venir meno la struttura materiale della condotta punita dalla norma penale speciale. L'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, in materia d'idoneità degli atti, è sempre stato quello di riconoscere a tale requisito natura oggettiva, sia pure con diversità di vedute, sul suo contenuto, da parte della dottrina e della stessa giurisprudenza (FIANDACA – MUSCO, ed. 1994). Si è così affermato che nel delitto tentato, pur avendo valenza concorrente, i due profili dell'intenzione dell'agente e dell'idoneità degli atti, quest'ultimo prevale rispetto a un intenzione del soggetto agente solo in una parte denunciata, concorrendo alla configurazione del tentativo soprattutto criteri di natura oggettiva. Quanto, poi, all'univocità degli atti, questa dev'essere considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, sicché è necessario che gli atti, in sé stessi per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura ed essenza, rivelino secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall'agente (Cass. pen., Sez. III 8 luglio 2015 – 22 settembre 2015, n. 38373). Ai confini del reato impossibile
L'idoneità degli atti, come detto, va verificata in senso oggettivo, cosicché il tentativo di compiere un delitto sarà ritenuto tale solo se si mostrerà in grado di mettere in pericolo il bene protetto dalla norma; tutto ciò che è inoffensivo, innocuo non potrà, pertanto, entrare nell'alveo dell'atto idoneo. È chiaro che per qualificare un atto idoneo deve aversi riguardo al fatto del delitto consumato correlativo e al suo disvalore (TULLIO PADOVANI). L'atto, infatti, deve essere ritenuto capace di offendere quel bene, cioè deve avere quella particolare attitudine offensiva, nei confronti del bene tutelato (DOLCINI – GATTA, 1082). Idoneità, secondo la migliore dottrina, da intendersi come capacità potenziale, vale a dire attitudine agli atti, alla luce di una valutazione prognostica, a contribuire in modo rilevante alla commissione di un delitto (DOLCINI – GATTA, 1083). Dall'indiscutibile principio del nullum crimen sine lege si ricava che una condotta è rilevante penalmente giacché corrisponde al modello – tipo normativamente descritto (SINISCALCO). In conclusione
In conclusione, in assenza dei requisiti richiesti dalla norma per l'integrazione del tentativo (inidoneità dell'azione oppure l'inesistenza dell'oggetto di essa) che rende impossibile l'evento dannoso o pericoloso (ex art. 49, comma 2, c.p.), l'agente non potrà essere punito trattandosi di reato impossibile. Le argomentazioni sviluppate in questa sede,in materia di delitto tentato, ci consentono di confermare la bontà della tesi sin qui sostenuta relativa alla non possibile configurabilità del tentativo del delitto d'induzione indebita. Per l'integrazione della fattispecie in esame occorrono un'attività di persuasione da parte del pubblico ufficiale e un pur minimo consenso da parte del privato. Un'attività di convincimento se porta all'adesione della proposta illecita sostanzia il delitto ex art. 319-quater c.p. Trattasi, dunque,di un reato plurisoggettivo(o di reato a concorso necessario) in quanto la pluralità dei soggetti è elemento costitutivo della fattispecie qui esaminata. Se dunque sono questi i parametri oggettivi, si può affermare che il difetto di uno di questi rende impossibile l'essenza del reato anche nella forma tentata. Cosicché, se non c'è induzione non c'è proposta sopraffattrice; se c'è induzione ma non c'è accettazione, ciò vuol dire che il privato non ha dato né promesso denaro o altra utilità indebita; in entrambe le ipotesi, come è facile osservare, difetta un elemento portante della struttura del delitto in questione. Allora, in tali circostanze, la condotta del pubblico ufficiale piuttosto che essere qualificata come tentata induzione, potrà, sussistendone i presupposti, essere inquadrata nell'ipotesi dell'istigazione alla corruzione (ex art. 322 c.p.) oppure come penalmente non sussistente. CALLIERI – FLICK, I comportamenti indotti: aspetti psichiatrici e giuridici,in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1973, 800 ss.; DOLCINI – GATTA, Codice penale commentato, I, Milano, 2015; FIANDACA – MUSCO, Diritto penale - parte generale, Torino, 1994; FIANDACA – MUSCO, Diritto penale - parte generale, Torino, 2001, pag. 415; MAGRO, Ai confini tra tentato induzione indebita e istigazione alla corruzione: Riflessioni a margine di un caso di induzione indebita del pubblico ufficiale non accolta,in Cass. pen., fasc. 12, 2014, pag. 4093; PIVA, Premesse ad un'indagine sull'induzione, pag.103, Napoli, 2013; SINISCALCO, La struttura del delitto tentato, 35, Milano, 1981; TULLIO PADOVANI (a cura di), Codice penale, 294, Milano, 1997. |