La configurabilità del peculato per uso indebito dell'autovettura di servizio

Alessandro Trinci
23 Giugno 2017

Per l'integrazione del delitto di peculato d'uso mediante l'utilizzo dell'autovettura di servizio per scopi privati è necessaria la configurazione di un danno a carico della pubblica amministrazione oppure è sufficiente il mero uso indebito del mezzo?
Massima

Ai fini della configurabilità del peculato mediante uso per scopi personali dell'autovettura di servizio non è sufficiente che il veicolo sia stato utilizzato dal pubblico ufficiale per fini estranei agli interessi dell'amministrazione ma occorre anche che la condotta abusiva abbia leso la funzionalità della pubblica amministrazione ed abbia arrecato un danno patrimoniale apprezzabile.

Il caso

Tizio è stato accusato di peculato in quanto, come responsabile dell'area agricoltura, ambiente, foreste ed ecologia di una comunità montana, avrebbe utilizzato l'autovettura di servizio, di cui aveva la disponibilità per ragioni del suo ufficio, per recarsi in palestra durante l'orario di lavoro, causando all'ente un danno consistente nella quota parte dello stipendio indebitamente percepita in relazione ai giorni e agli orari in cui si trovava in palestra anziché sul luogo di lavoro.

Il giudice dell'udienza preliminare ha emesso sentenza di non luogo a procedere stimando come inoffensiva la condotta di Tizio, in quanto nel suo caso non sarebbe ravvisabile una maggiore usura del mezzo posto che la palestra si trova a poche centinaia di metri dalla sede della comunità montana e l'imputato vi accedeva percorrendo il medesimo tragitto seguito per recarsi in ufficio o per svolgere altre attività di servizio.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte di appello di Torino ritenendo che il giudice abbia errato nel ritenere necessaria, per l'integrazione del delitto di peculato, la sussistenza di un danno per la pubblica amministrazione. Ritiene infatti il pubblico ministero di secondo grado che il delitto in esame sia integrato dal mero utilizzo per scopi privati dell'autovettura di servizio.

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso della procura generale, avendo il giudice di merito fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di peculato d'uso.

Secondo un consolidato orientamento ermeneutico (sul quale torneremo infra), ai fini della integrazione del reato di peculato non è sufficiente che sia provato l'uso di un'autovettura di servizio per scopi personali estranei agli interessi dell'amministrazione ma è necessario che la condotta abusiva abbia leso la funzionalità della pubblica amministrazione ed abbia arrecato un danno patrimoniale apprezzabile, in relazione all'utilizzo del carburante e dell'energia lavorativa degli autisti addetti alla guida.

A tali coordinate ermeneutiche si è perfettamente attenuto il giudice a quo. Infatti, la palestra nella quale si recava l'imputato con il veicolo di servizio si trovava sullo stesso percorso che lo stesso doveva seguire per andare da casa al luogo di lavoro e viceversa. Ne consegue che l'impiego del veicolo per raggiungere detto luogo, sia pure per una finalità privata, non ha comportato un maggior consumo di carburante, né una maggiore usura del mezzo, né una lesione alla funzionalità della pubblica amministrazione, riducendosi il danno cagionato a quest'ultima alla quota di stipendio indebitamente percepita dal prevenuto durante l'orario nel quale egli si trovava intento ad affari privati, condotta già oggetto della contestazione di truffa per la quale egli è stato rinviato a giudizio.

La questione

La questione in esame è la seguente: per l'integrazione del delitto di peculato d'uso mediante l'utilizzo dell'autovettura di servizio per scopi privati è necessaria la configurazione di un danno a carico della pubblica amministrazione oppure è sufficiente il mero uso indebito del mezzo?

Le soluzioni giuridiche

Una parte della giurisprudenza, invero minoritaria, sembra orientata nel senso di ritenere configurabile il peculato anche nel caso di utilizzo, sia pure temporalmente limitato, di un'autovettura di servizio per fini personali estranei agli interessi dell'amministrazione (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 25541), indipendentemente dalla concomitante utilizzazione della vettura anche per fini istituzionali (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 9 febbraio 2006, n. 10274).

In sostanza, seguendo questa linea ermeneutica, risponderebbe di peculato il pubblico agente che utilizza l'autovettura di servizio di cui ha la disponibilità per soddisfare esigenze personali anche se tale comportamento non ha provocato alcuna conseguenza sul patrimonio e sulla funzione della pubblica amministrazione: si pensi, ad esempio, ad un magistrato che, dovendo recarsi sul luogo di un delitto con la vettura in dotazione alla procura della Repubblica, effettua una sosta durante il tragitto per compiere una commissione privata.

Si ritiene infatti che la distrazione del bene pubblico dalle sue finalità istituzionali realizzi le lesione dell'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione, indipendentemente dalla sussistenza di un danno patrimoniale ulteriore rispetto a quello consistente nella appropriazione temporanea della vettura.

A dire il vero, leggendo le pronunce citate sopra, che non brillano per uno sforzo motivazionale sul punto, non si evince una espressa presa di posizione della Suprema Corte in favore della irrilevanza del danno patrimoniale ai fini dell'integrazione del delitto di peculato.

Del resto, in aderenza al principio di necessaria offensività, deve escludersi la ricorrenza dell'illecito di cui si discorre quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della pubblica amministrazione e non abbia arrecato un danno patrimoniale apprezzabile, come, ad esempio, nel caso del dipendente pubblico che utilizzi, per pochi minuti, l'autovettura di servizio per andare ad acquistare alcune bottiglie di acqua destinate ai suoi colleghi impegnati al lavoro in ufficio (Cass. pen., Sez. VI, 10 gennaio 20077, n. 10233).

Nelle decisioni che hanno affrontato più approfonditamente il tema si legge che «l'uso temporaneo del bene pubblico per finalità, reali o supposte, non corrispondenti a quelle istituzionali non sempre è destinato ad integrare la fattispecie del peculato d'uso. Non certamente nei casi in cui un siffatto temporaneo uso, rivelatosi affatto episodico ed occasionale, non risulti caratterizzarsi, quanto a consistenza (distanze percorse) e durata dell'uso, in fatti di effettiva ‘appropriazione' delle autovetture di servizio, suscettibili di recare un concreto e significativo danno economico all'ente pubblico (in termini di carburante utilizzato e di energia lavorativa degli autisti addetti alla guida) ovvero di pregiudicarne l'ordinaria attività funzionale» (Cass. pen., Sez. VI, 27 ottobre 2010, n. 7177; Cass. pen., Sez. VI, 12 gennaio 2012, n. 5006.).

Nella più recente giurisprudenza di legittimità si registra, invece, qualche oscillazione in merito alla qualificazione giuridica dell'uso reiterato dell'autovettura di servizio per finalità attinenti alla vita privata.

Infatti, secondo alcune decisioni, la reiterazione delle condotte determina l'integrazione di una pluralità di peculati d'uso, eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione ma non il mutamento della qualificazione giuridica del fatto in peculato "ordinario" (Cfr. Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 14040). Ciò in quanto l'elevato numero di chilometri complessivamente percorsi dall'autovettura di servizio, quando è determinato da un ripetuto utilizzo del veicolo per brevi tragitti, costituisce indice della momentaneità dell'uso dello stesso.

Altre decisioni, invece, hanno ravvisato la configurabilità del peculato "ordinario", e non già quello d'uso, nella condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che utilizza reiteratamente l'autovettura di servizio per finalità attinenti alla vita privata, atteso che tale condotta si risolve nell'appropriazione di un bene della pubblica amministrazione, in quanto l'agente esercita sul bene un potere uti dominus tale da sottrarlo alla disponibilità dell'ente (Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 31 marzo 2016, n. 13038).

Risulta invece del tutto minoritario l'orientamento secondo il quale integra il delitto di abuso d'ufficio l'utilizzo di autovetture e personale di servizio per scopi estranei ai compiti d'istituto, non rilevando a tal fine le disfunzioni o l'entità del danno cagionato alla pubblica amministrazione ma solo l'ingiusto vantaggio patrimoniale procurato dall'agente a sé stesso o a terzi, reso in un caso relativo alla modifica dell'originaria imputazione di peculato nel delitto di abuso d'ufficio continuato, in cui un prefetto ha disposto e consentito diversi accompagnamenti della moglie per viaggi effettuati con autovetture di servizio (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 15 aprile 2009, n. 25537).

Va infine rilevato che si registrano decisioni che hanno concluso per l'irrilevanza penale dell'abuso dell'autovettura di servizio. Tanto, in un caso relativo ad un episodio di spostamento dell'autovettura dalla periferia al centro della città al fine di compiere una visita privata, percorrendo un tragitto comunque necessario prima di riconsegnare il veicolo all'amministrazione, come pure in altro caso, relativo a nove episodi di indebito utilizzo di autovetture di servizio da parte di assessori comunali – laddove è stato affermato che non è configurabile il reato di peculato nell'uso episodico ed occasionale di un'autovettura di servizio, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della pubblica amministrazione e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 12 gennaio 2012, n. 5006), anche in relazione all'utilizzo del carburante e dell'energia lavorativa degli autisti addetti alla guida (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 27 ottobre 2010, n. 7177). In particolare, è stata esclusa l'appropriazione, quale elemento materiale integrante il reato di peculato, nell'uso da parte del pubblico ufficiale della vettura di servizio per il compimento del tragitto casa-ufficio, quando l'accompagnamento non è effettuato in violazione di alcuna disposizione regolamentare, poiché in tal caso, a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di utilizzo dell'auto per motivi personali e privati, il bene di cui il pubblico ufficiale ha la disponibilità per ragioni del suo ufficio rimane, comunque, nell'ambito della sua normale destinazione giuridica, e cioè nella sfera della pubblica amministrazione (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 17 settembre 2014, n. 46061).

Osservazioni

La lettura costituzionalmente orientata operata dalla Suprema Corte in materia di peculato, con specifico riferimento all'uso improprio delle autovetture pubbliche, merita di essere pienamente condivisa. Infatti, un utilizzo della cosa del tutto occasionale, caratterizzato da eccezionalità o addirittura meramente “istantaneo”, comporta una compressione dell'utilità per la pubblica amministrazione minima o quasi inesistente. Ne consegue che la sussistenza del peculato d'uso dovrà escludersi essendo l'azione del funzionario pubblico priva di una concreta offensività, con eventuale rilievo del comportamento del soggetto agente sotto il profilo disciplinare.

Il quantum di offesa arrecata al buon funzionamento della pubblica amministrazione, a seguito dell'uso indebito dell'autovettura di servizio, oltre a fornire un criterio per accertare la sussistenza del peculato d'uso, consente anche di tracciarne i confini con la fattispecie maggiore.

Deve infatti ritenersi che nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 314 c.p. rientrino le ipotesi di uso protratto per un tempo limitato, così da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da non compromettere seriamente la funzionalità della pubblica amministrazione. Qualora, invece, la temporanea sottrazione dalla destinazione pubblicistica dovesse comportare un pregiudizio grave per la pubblica amministrazione, compromettendone seriamente il buon andamento, troverà applicazione la fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 314 c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 1 febbraio 2005, n. 9216).

Non va sottaciuto che l'adesione al criterio del quantum di offesa arrecato al bene giuridico concede all'apprezzamento del giudice un ampio margine di discrezionalità, che sembra contrastare con le esigenze di tassatività e determinatezza che dovrebbero caratterizzare l'intervento penale.

Tuttavia, un parametro che dovrebbe guidare l'interprete nella determinazione del concetto di uso momentaneo è dato dalla specifica natura del bene oggetto di appropriazione, essendo evidente che i tempi e le modalità di impiego di un'auto di servizio difficilmente possano coincidere, ad esempio, con quelli relativi all'utilizzo di un'utenza telefonica.

Guida all'approndimento

CARINGELLA-DE PALMA-FARINI-TRINCI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Roma, 2016;

BENUSSI, Diritto penale della pubblica amministrazione, Padova, 2016;

BENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione, in Marinucci-Dolcini (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte speciale, Padova, 2013.

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