Il rapporto tra verità e accertamento

Angelo Zampaglione
23 Ottobre 2015

Uno degli aspetti fondamentali che contraddistingue un sistema processuale è sicuramente costituito dalle regole prefissate dal legislatore e dalla giurisprudenza in tema di prova. L'esperienza passata infatti insegna che nel sistema inquisitorio la materia della prova è scarsamente regolamentata in quanto su un unico soggetto convergono tutte le funzioni processuali (quelle di giudice, accusatore e difensore) e vige il principio secondo cui più ampi sono i poteri anche coercitivi attribuiti a tale soggetto, tanto meglio può essere accertata la verità. Completamente diverso, invece, quello accusatorio che è fondato sulla separazione delle funzioni processuali e su una articolata regolamentazione della materia probatoria.
Abstract

Uno degli aspetti fondamentali che contraddistingue un sistema processuale è sicuramente costituito dalle regole prefissate dal legislatore e dalla giurisprudenza in tema di prova.

L'esperienza passata infatti insegna che nel sistema inquisitorio la materia della prova è scarsamente regolamentata in quanto su un unico soggetto convergono tutte le funzioni processuali (quelle di giudice, accusatore e difensore) e vige il principio secondo cui più ampi sono i poteri anche coercitivi attribuiti a tale soggetto, tanto meglio può essere accertata la verità. Completamente diverso, invece, quello accusatorio che è fondato sulla separazione delle funzioni processuali e su una articolata regolamentazione della materia probatoria; ciò che conta è assicurare una equa distribuzione di poteri tra accusa e difesa e che il giudice – quale organo terzo ed imparziale – venga messo in condizioni di dirimere qualsiasi contrasto che possa sorgere tra i protagonisti del processo.

L'imparzialità del giudice

Può definirsi “imparziale” il giudice privo di pregiudizi, quelli che possono derivare sia da attività realizzate in una eventuale fase processuale precedente, sia dall'esercizio di poteri che avvicinano il giudicante alle parti. Per un verso, il giudice non deve aver partecipato alle fasi processuali anteriori e, per altro verso, il legislatore non deve attribuire all'organo giudicante compiti che richiederebbero una sua partecipazione attiva che lo avvicinerebbero ad una delle parti. L'imparzialità, quindi, è salvaguardata ogniqualvolta il soggetto che ricerca le prove è diverso da quello che le valuterà al termine del processo.

Tutto ciò assume un peso significativo, essendo il perseguimento di un ideale di giustizia fondato sull'assoluzione dell'innocente e sulla condanna del colpevole un obiettivo tanto “ammirevole” quanto “irrealizzabile”, a causa della oggettiva impossibilità di poter riprodurre un evento che si è verificato nel passato. Come anticipato, il fatto storico di reato è un fatto non ripetibile che può essere conosciuto soltanto attraverso le tracce che ha lasciato nel mondo del reale o nella memoria degli uomini. Così, il giudice è chiamato a valutare un fatto che è stato ma che non è più e lo deve ricostruire facendolo rivivere attraverso la rappresentazione che ne fanno altri.

Verità giudiziaria e legalità probatoria

È dato ormai pacifico che il processo penale è in grado di fornire esclusivamente una verità di tipo giudiziaria (o processuale) e non assoluta (o materiale).

A ben vedere, tanto il processo inquisitorio quanto quello accusatorio ricercano la verità ma la perseguono in modi diversi, seguendo cioè regole differenti: il primo fornendo ampi poteri al giudice e consentendo metodi come la tortura, quello accusatorio attraverso una ripartizione di funzioni tra giudice e parti e ammettendo la prova solo se assunta nel pieno rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo e di regole probatorie appositamente predisposte.

Nel nostro attuale sistema processuale di tipo “tendenzialmente accusatorio”, finalizzato alla verifica dell'imputazione, l'accertamento deve avvenire secondo le regole stabilite nella Carta fondamentale e nel codice e la sentenza del giudice deve fondarsi su materiale probatorio legittimamente acquisito nel corso del dibattimento (art. 526 c.p.p.). Si tratta, nello specifico, dei seguenti valori: uguaglianza, tutela dei diritti inviolabili, contraddittorio, terzietà e imparzialità del giudice, parità, difesa e diritto alla prova delle parti, contraddittorio e suoi corollari, libero convincimento del giudice, dovere di motivazione, diritto al controllo della decisione (sia di merito che di legittimità), ragionevole durata del processo, tutela assoluta della libertà personale.

Il legislatore infatti, a presidio della “legalità probatoria”, ha introdotto la specifica sanzione dell'inutilizzabilità rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (art. 191 c.p.p.) (Corte cost., 31 gennaio 1992, n. 24). Ciò significa, per esempio, che non possono fare ingresso nel processo intercettazioni non autorizzate oppure deposizioni rese da soggetti sottoposti a tortura o a trattamenti inumani, anche se tali elementi di prova potrebbero rivelarsi utili per la ricostruzione dei fatti contestati all'imputato.

In questa prospettiva, è stato acutamente rilevato che al di fuori delle forme non solo non c'è garanzia ma addirittura non c'è processo (Nobili, Il principio del libero convincimento del giudice, Milano, 1974).

Non a caso, l'art. 188 c.p.p., in perfetta armonia con il principio sancito dall'art. 3 Cedu secondo cui “nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti”, sanziona con l'inutilizzabilità le prove assunte con metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Dalla norma del codice traspare un'ampia nozione di libertà personale comprensiva non solo della coercizione fisica ma anche di ogni forma di coazione psichica e morale e verso la dignità del soggetto. Così, il rispetto della libertà morale della persona va ben oltre i casi di coercizione finalizzata a far dire qualcosa, ricomprendendo anche le violenze fisiche volte ad indebolire la resistenza dell'individuo, le minacce, le suggestioni, le induzioni in errore e l'uso di preparati chimici.

Emerge, pertanto, che due sono i dati essenziali per l'accertamento: innanzitutto che il metodo attraverso cui si indaga assume grande importanza perché – purificando il materiale della decisione – restringe il campo in cui si esercita l'arbitrio del giudice ed in secondo luogo che la finalità gnoseologica del processo non deve avere la prevalenza sulle forme dell'accertamento. Il metodo prescelto dal legislatore è quello “dialettico”, proprio per la sua buona attitudine «a raggiungere la massima coincidenza tra fatto accertato e fatto storico, tenendo sempre presente che la conclusione è frutto di un ragionamento e non di un esperimento».

In conclusione

In breve, lo scopo del processo è quello di ricostruire il fatto di reato, accertando – tanto in positivo quanto in negativo – l'eventuale responsabilità penale dell'imputato. Ma è altrettanto importante che venga assicurata la tutela di interessi e di diritti che potenzialmente entrano in conflitto con l'obiettivo della concreta repressione dei reati. In questa prospettiva, finalità cognitiva e accertamento della responsabilità devono essere contemperate alla garanzia dei diritti fondamentali, in primo luogo, dell'imputato che direttamente e personalmente subisce la pretesa punitiva dello Stato (Mazza, Verità reale e verità processuale, in Digesto pen., Agg., VIII, Torino, 2014).

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