Patologie applicative in tema di omessa o ritardata iscrizione della notitia criminis

Antonio Trimboli
23 Novembre 2015

Il caso riguarda la tempestiva iscrizione del nominativo dell'indagato nel registro delle notizie di reato – oggi di grande attualità – e può essere così sintetizzato. Un soggetto viene attinto da una misura cautelare personale in relazione ad una serie di reati di usura. L'indagato, però, è iscritto nel registro ex art. 335 c.p.p. solo con riguardo a uno dei reati contestati, mentre nessuna iscrizione risulta eseguita dal P.M. con riferimento ai successivi fatti usurari consumati ai danni di altre persone offese.
Abstract

Il caso riguarda la tempestiva iscrizione del nominativo dell'indagato nel registro delle notizie di reato – oggi di grande attualità – e può essere così sintetizzato.

Un soggetto viene attinto da una misura cautelare personale in relazione ad una serie di reati di usura.

L'indagato, però, è iscritto nel registro ex art. 335 c.p.p. solo con riguardo a uno dei reati contestati, mentre nessuna iscrizione risulta eseguita dal P.M. con riferimento ai successivi fatti usurari consumati ai danni di altre persone offese.

Il tribunale del riesame – con provvedimento del 19 aprile 2011 – ha confermato la cautela anche rispetto ai reati non iscritti (tali anche al tempo in cui si è pronunciato il riesame), riconoscendo validità all'impianto indiziario perché la mancata o tardiva iscrizione della notizia di reato nel relativo registro non determina l'inutilizzabilità degli atti d'indagine compiuti sino al momento dell'effettiva iscrizione.

La problematica giuridica e la giurisprudenza di legittimità

La questione esaminata nel caso di specie attiene alle conseguenze derivanti dalla mancata o ritardata iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. (inutilizzabilità degli atti e/o responsabilità del P.M.) ed è strettamente collegata al riconoscimento o meno del potere del giudice di sindacare la tempestività della iscrizione da parte del P.M.

Temendo possibili “arbitrii” dei P.M. nel corso degli anni diverse autorità giudiziarie hanno sospettato d'illegittimità costituzionale la disciplina dei termini delle indagini ove questa non prevede la possibilità di far retroagire la decorrenza degli stessi nei casi di indebito ritardo o di omissione nella iscrizione ex art. 335 c.p.p.

La Corte costituzionale ha, però, sempre reputato inammissibili le questioni per ambiguità del petitum oscillante tra più alternative nessuna però indicata in modo univoco (ex multis: ord. n. 306 del 2005 e n. 400 del 2006).

Altresì, gli approdi ermeneutici sul punto non sono univoci, come testimoniato dai due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

Per un primo consolidato indirizzo di gran lunga prevalente l'omessa annotazione della notitia criminis nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p.[…] non determina l'inutilizzabilità degli atti di indagini compiuti sino al momento dell'effettiva iscrizione, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall'art. 407 c.p.p., al cui scadere consegue l'inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre per l'indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie, e non dalla presunta data nella quale il pubblico ministero avrebbe dovuto iscrivere. L'apprezzamento della tempestività dell'iscrizione, il cui obbligo nasce solo ove a carico di una persona emerga l'esistenza di specifici elementi indizianti e non meri sospetti, rientra nell'esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero ed è sottratto, in ordine all'an e al quando, al sindacato del giudice, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del p.m. negligente (ex multis: Cass. pen., Sez. un., 21 giugno 2000, n. 16).

Più recentemente è stato affermato (Cass. pen., Sez. V, 18 dicembre 2013, n. 2174) in tema di indagini preliminari relativamente a procedimenti connessi, che il Pubblico Ministero – ancorché la riunione in senso tecnico, ex artt. 17 e 19 c.p.p., possa avere per oggetto solo processi e non procedimenti ed essere disposta solo dal Giudice e non dal P.M. – ha la facoltà di svolgere indagini contestuali e congiunte relativamente a distinti procedimenti, unificando, a tal fine, i numeri identificativi degli stessi e formando un unico fascicolo delle indagini preliminari, fermo restando che, ai fini della disciplina di cui agli art. 405 c.p.p., ciò che fa fede è la data di iscrizione di ogni singola notizia di reato nei confronti di ciascuno degli indagati ex art. 335 c.p.p.

Detta facoltà – che trova la sua base normativa nell'art. 130 disp. att. c.p.p. – incontra solo il limite dato dal disposto dell'art. 17 c.p.p. consistente nella necessità che, in tal caso, ricorra almeno una delle ipotesi in cui è ammessa la riunione di processi.

Sulla base di questo principio la Cassazione ha ritenuto validi gli atti investigativi assunti in costanza del termine di cui all'art. 407 c.p., in quanto il procedimento originariamente iscritto a carico dell'indagato era stato successivamente riunito prima della scadenza del termine prorogato ad altro procedimento cui ha fatto seguito richiesta di ulteriore proroga, seppur portante il numero di R.G.N.R. del solo procedimento a cui il primo era stato riunito.

Sempre sulla stessa linea la decisione emessa dalla Cassazione, Sez. II del 22 marzo 2013 n. 29143.

Il caso riguarda diverse iscrizioni, avvenute in momenti diversi, per diverse ipotesi di truffa a compagnie assicuratrici. La suprema Corte ribadisce il principio secondo cui qualora il P.M. acquisisca nel corso delle indagini preliminari elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona già iscritta nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., deve procedere a nuova iscrizione ed il termine per le indagini preliminari, previsto dall'art. 405 c.p.p., decorre in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell'apposito registro.

Resta ferma anche l'interpretazione del momento di insorgenza dell'obbligo per il P.M. di iscrivere nel registro previsto dall'articolo 335 c.p.p. una notitia criminis a carico di un determinato soggetto: riconducibile al momento in cui emergano nei confronti di quest'ultimo specifici elementi indiziari, non essendo, invece, sufficienti, meri sospetti (Cass. pen., Sez. I, 22 maggio 2013, n. 34637).

Tale posizione è stata recentemente oggetto di alcune precisazioni, le quali, pur non mutandone la portata sostanziale, hanno dato un giro di vite sulla posizione del P.M. rispetto alla iscrizione nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., con la conseguenza, non di poco momento, di rendere più ampia l'area della eventuale responsabilità del magistrato inquirente.

Sul punto la suprema Corte ha chiarito come l'enunciato dell'art. 335 c.p.p. evochi l'incombente della iscrizione nel registro in termini di rigorosa doverosità, nel senso di riconnettere in capo al P.M. uno specifico obbligo giuridico, che deve essere adempiuto senza soluzione di continuità e senza alcuna sfera di discrezionalità (Cass. pen., 24 settembre 2009, n. 40583; cfr. anche Cass. pen., Sez. VI, 4 dicembre 2009, n. 2261).

A fronte di tale prevalente orientamento se ne registra un altro, di gran lunga minoritario, nel quale si afferma: La tardiva iscrizione del nome dell'indagato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. non determina alcuna invalidità delle indagini preliminari ma consente, tuttavia, al giudice di rideterminarne il termine iniziale, in riferimento al momento in cui si sarebbe dovuta iscrivere la notizia di reato; ne deriva che la tardiva iscrizione può incidere sulla utilizzabilità delle indagini finali ma non sulla utilizzabilità di quelle svolte prima della iscrizione (ex multis: Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2006, n. 1410).

L'idea che si possa configurare la sanzione processuale della nullità per la mancata iscrizione tempestiva del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato da parte del pubblico ministero è stata prospettata nel ricorso che ha dato vita alla sentenza della Corte di cassazione, Sez. III, 23 febbraio 2015. Si tratterebbe di una nullità che attiene all'intervento o alla rappresentanza dell'indagato/imputato (Si veda Panella – Mazzone, Ritardo del pubblico ministero senza sanzione in Italia Oggi 4 aprile 2015 p. 23).

Il rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo passa attraverso un termine rigoroso per lo svolgimento delle indagini preliminari con la previsione – in futuro – che l'indagato, immediatamente dopo aver ricevuto la prima comunicazione relativa al procedimento possa chiedere al gip la verifica della tempestività della propria iscrizione nel registro delle notizie di reato con previsione di esplicite e rigorose sanzioni. Inoltre sarebbe prefigurabile un termine perentorio per il P.M. entro il quale, concluse le indagini preliminari, debba chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione, trascorso il quale interverrebbe una forma di avocazione delle indagini da parte del procuratore generale.

Dalla decisione del tribunale delle libertà di Roma ad oggi: spunti di riflessione

L'ordinanza del tribunale del riesame di Roma – risalente a qualche anno fa ma attualissima per la problematica sottesa – ha richiamato in punto di motivazione l'orientamento della giurisprudenza con conseguente rigetto delle censure formulate e conferma dell'ordinanza cautelare. Il provvedimento colpisce essenzialmente per un profilo: il tribunale non sembra considerare la peculiarità del caso specifico, rappresentata dal non aver il P.M. iscritto i nuovi fatti nemmeno al tempo in cui la misura era stata portata all'attenzione del giudicante.

Detta circostanza avrebbe forse meritato ben altra attenzione e un maggior peso nell'economia della decisione.

Il tribunale pare, infatti, recepire passivamente l'orientamento prevalente sopra indicato, non interrogandosi in primo luogo, se il principio giurisprudenziale evocato fosse valido anche con riguardo alla peculiarità del caso di specie ove continuava a mancare una iscrizione e in secondo luogo, ove detto principio trovasse comunque accesso, se la “plateale” omissione non costituisse materia per una segnalazione alla competente autorità disciplinare. Ma procediamo per gradi.

Con riguardo al primo punto, l'interrogativo nasce dal fatto che tutti i precedenti giurisprudenziali, pur parlando di tardiva o mancata iscrizione, riguardano casi in cui il P.M. prima di compiere qualsiasi atto espressione dell'interesse punitivo dello Stato ha comunque già proceduto alla iscrizione, indipendentemente dalla tempestività o meno di questa.

Qui, invece, la iscrizione continua a mancare anche dopo.

E allora, questo quid pluris rispetto ai casi analizzati dalla giurisprudenza può portare a smarcarsi dall'indirizzo giurisprudenziale sopra indicato, con conseguente inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti in assenza di iscrizione?

La risposta sembra dover essere negativa alla luce dei principi elaborati dalla dottrina (cfr. Dominioni sub art. 61 c.p.p. in Commentario Amodio – Dominioni, vol. I, p. 390; Kostoris, sub art. 61 c.p.p. in Commentario Chiavario, vol. I, p. 310) e condivisi dalla giurisprudenza formatasi sul punto (cfr. Corte Cost., ord. n. 307 del 2005).

Le ragioni di questa conclusione sono molteplici.

La prima è che lo status di indagato si acquista a prescindere dalla iscrizione in ragione della direzione assunta dall'attività investigativa e degli atti di indagine compiuti (artt. 63, comma 2, 349 e 350, comma 5, c.p.p).

La iscrizione, infatti, avrebbe mero carattere ricognitivo e la sua assenza non intaccherebbe le garanzie difensive che la legge accorda all'indagato in relazione ai singoli atti compiuti.

La seconda è che la sanzione dell'inutilizzabilità ex art. 407, comma 3, c.p.p. colpisce esclusivamente i solo atti di indagine posti in essere successivamente alla scadenza del termine, lasciando fuori gli atti compiuti nel lasso temporale intercorrente tra il momento di acquisizione della qualità sostanziale di indagato e quello della formale iscrizione.

L'inutilizzabilità, difatti, per il principio di tassatività non potrebbe essere estesa in via interpretativa agli atti in parola.

La terza è che il giudice è privo di un potere sostitutivo o di apprezzamento in tema di iscrizioni ex art. 335 c.p.p., salvo nei casi tassativamente previsti di cui all'art. 415, comma 2,e 406 c.p.p.

L'ipotesi in cui il P.M. continui a procrastinare indebitamente l'iscrizione nel registro, invero, realizzando un artificiosa dilazione del termine di durata delle indagini preliminari con elusione della sanzione di inutilizzabilità per gli atti collocati temporalmente a valle della scadenza del predetto termine, richiederebbe una valutazione di merito sulla tempestività della iscrizione con possibilità di retrodatazione tale da compromettere l'utilizzazione degli atti di indagine.

Pertanto, un cambio di direzione oggi potrebbe derivare solo da un innesto normativo volto a rimediare alle ipotesi di ritardi ingiustificati nella iscrizione nel registro delle notizie di reato, come evidenziato dalle recenti Sezioni unite prima citate (cfr. Cass. pen., Sez. un., 24 settembre 2009, n. 40583).

In conclusione

Nonostante sia questo lo stato dell'arte, non sembra un azzardo tentare di fornire comunque una diversa soluzione maggiormente garantista al caso in cui il comportamento omissivo dell'organo dell'accusa persista anche dopo il perfezionamento dell'atto della cautela.

Infatti, se l'iscrizione nel registro serve a documentare il dies a quo da cui decorre il termine massimo delle indagini e se l'inutilizzabilità degli atti investe quelli a valle di detto termine, la mancata iscrizione nel momento in cui devono essere utilizzati gli atti di indagini non può permettere una corretta applicazione dell'art. 407 c.p.p., non avendo il giudice un punto temporale da cui partire.

A nulla servirebbe richiamare quale dato temporale di riferimento per il calcolo dei termini di durata delle indagini rispetto ai reati non iscritti, il dies a quo della prima iscrizione ossia, come nel caso, dell'unico reato iscritto.

Ciò, invero, contrasterebbe con il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il termine per le indagini preliminari previsto dall'art. 405 c.p.p. decorre in modo autonomo, per la persona originariamente sottoposta ad indagini, da ciascuna successiva iscrizione nell'apposito registro (ex multis: Cass. pen., Sez. VI, 2 dicembre 2009, n. 11472).

Orbene detto handicap parrebbe riflettersi sul diritto di difesa dell'indagato, il quale non è messo in condizione di distinguere, sia pur sotto il profilo temporale, gli atti da cui effettivamente difendersi, evidenziando al giudice quelli inutilizzabili a sostegno della misura.

Pertanto, nel caso di una pervicace omissione del P.M. nell'iscrizione nel registro delle notizie di reato, non sembrerebbe eccentrico ipotizzare come questa determini un effetto distorsivo nell'intervento dell'indagato nel giudizio de libertate, con conseguente nullità della misura ex art. 178, lett. c) c.p.p.

Dal contenuto del provvedimento del tribunale si coglie un altro spunto di riflessione. E difatti, il giudice per il riesame, pur ventilando profili di responsabilità disciplinari nella persistente mancata iscrizione, anziché segnalare la circostanza agli organi competenti per l'apertura di un procedimento disciplinare a carico del P.M., sembra invece rinviare a una successiva iscrizione, quasi questa avesse funzione “scriminante”.

Sarebbe stato forse più coerente con l'evocato orientamento, se il tribunale avesse provveduto alla segnalazione disciplinare, tanto più considerando la gravità del caso, sintetizzabile nell'avere il magistrato inquirente richiesto e ottenuto una misura in tema di libertà per fatti – reato ancora non iscritti.

Tale soluzione appare, pertanto, quale atto dovuto specie laddove si consideri quanto precisato dalla sentenza delle Sez. unite n. 40538 del 24 settembre 2009 – per nulla richiamata dal tribunale – la quale ha negato una sfera di discrezionalità del P.M. in ordine all'iscrizione nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., con la conseguenza, crediamo, di rendere più ampia l'area della eventuale responsabilità del magistrato inquirente.