Il caso Ruby. Depositate le motivazioni della Cassazione

Redazione Scientifica
23 Dicembre 2015

Con sentenza numero 49643, depositata il 17 dicembre 2015, la III Sezione della Cassazione penale si è espressa sull'articolata vicenda nota come Caso Ruby.

Con sentenza numero 49643, depositata il 17 dicembre 2015, la III Sezione della Cassazione penale si è espressa sull'articolata vicenda nota come Caso Ruby.

Tra i molteplici motivi presentati nel ricorso dagli imputati assumono particolare rilevanza quello inerente l'individuazione della competenza territoriale e le censure presentate in merito alla motivazione fornita dai giudici di merito.

In merito al primo punto i giudici di legittimità hanno dovuto risolvere la questione processuale attinente l'individuazione del giudice territorialmente competente e, in particolare, la possibilità o meno di applicare il c.d. criterio decrescente quando, in presenza di reati connessi non sia possibile individuare il locus commissi delicti del reato più grave, per cui ci si deve riferire a quello che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui.

La particolarità della fattispecie sottoposta ai giudici della III Sezione penale è dovuta alla circostanza che i reati di cui tenere conto, induzione e favoreggiamento alla prostituzione minorile, sono tra loro in una posizione di alternatività: la figura delittuosa prevista all'art. 600-bis c.p., infatti, deve qualificarsi come norma a più fattispecie tra loro distinte, le quali possono tra loro concorrere e sono costituite da elementi materiali differenti in rapporto alla condotta e alle evento, oltreché essere condotte sanzionabili con pena di identica gravità.

Quella in esame è situazione del tutto nuova e per la quale mancano precedenti.

Al riguardo, il Collegio ha affermato il principio di diritto in virtù del quale nel caso di reati connessi ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, qualora in presenza di reati di pari gravità risulti impossibile individuare il luogo di consumazione di uno di essi mentre sia certo il luogo di commissione dell'altro, non è consentito far ricorso alle suppletive stabilite dall'art. 9 c.p.p. – che sia per la collocazione, sia per il contenuto letterale , si riferisce a procedimenti con reato singolo – ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato residuo di pari gravità del quale sia conosciuto (o conoscibile) il luogo di commissione.

Meritevole di accoglimento e, pertanto, sul punto la Cassazione annulla con rinvio la sentenza, è invece il motivo con cui i ricorrenti lamentano la manifesta illogicità, contraddittorietà - fino al travisamento della prova- e carenza della motivazione emessa dalla Corte territoriale in merito alle condotte concrete di favoreggiamento e (tentativo di) induzione alla prostituzione. La descrizione dei fatti svolta dai giudici di merito si riferisce in termini generali a quello che solitamente accadeva nel corso delle c.d. serate di Arcore ma non individua con la precisione richiesta i ruoli specifici degli imputati nel favoreggiamento ovvero nella induzione di alcune ragazze alla prostituzione.

Il riferimento fatto dalla Corte di Milano al format delle “serate di Arcore” come dato universale per affermare la responsabilità degli imputati presenta un vuoto motivazionale grave, mancando dei necessari riferimenti alle condotte c.d. individualizzanti con le quali si sarebbe dovuta accertare la loro responsabilità in concreto e non in astratto.

In conclusione, difettando una analisi precisa sulle condotte poste in essere, non può desumersi con la certezza dovuta in quali occasioni tali condotte sia siano realizzate.