Tra millantato credito e traffico di influenze illecite vi è davvero continuità normativa?

24 Marzo 2017

Le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, in precedenza punite ai sensi del delitto di millantato credito, sono sussumibili, a seguito della legge c.d. Severino,
Abstract

Le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, in precedenza punite ai sensi del delitto di millantato credito, sono sussumibili, a seguito della legge c.d. Severino, nella fattispecie del traffico di influenze illecite in forza del rapporto di continuità tra norma generale e norma speciale, disciplinata dall'art. 2, comma 4, c.p.

Il caso in esame

La vicenda processuale in esame vedeva una donna, in concorso con altri, imputata originariamente del delitto di millantato credito (art. 346 c.p.), per essersi fatta dare una somma di denaro allo scopo di avvicinare e corrompere alcuni componenti della commissione di concorso per l'accesso alla facoltà di medicina in modo da favorire una candidata.

Nel corso del processo l'originaria imputazione veniva modificata in istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.), sulla base della considerazione che la prospettazione di poter influenzare i comportamenti del commissari di concorso non era una mera millanteria, fatta per ingannare la madre della candidata disposta a pagare il denaro per la mediazione illecita, ma si fondava sull'effettiva esistenza di contatti all'interno della facoltà di medicina. La donna veniva condannata sia in primo grado sia in appello per il reato di istigazione alla corruzione, malgrado il P.M. nel corso della discussione del giudizio abbreviato aveva chiesto la riqualificazione del fatto nel delitto meno grave di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.), nel frattempo introdotto dalla legge 190/2012 (cosiddetta legge Severino).

Dagli atti processuali emergeva che l'imputata (unitamente al fratello) si era fatta promettere un'altra ingente somma da destinare probabilmente ai pubblici ufficiali se il loro "intervento" illecito fosse andato a buon fine, anche se di ciò vi era una prova contraddittoria, ed inoltre risultava certo che vi fossero stati contatti con soggetti intranei alla commissione di concorso. Per altro verso però non vi erano elementi di prova né che fosse stato effettivamente raggiunto un accordo con i commissari di concorso, né che fosse stato compiuto un intervento in favore della candidata.

L'imputata condannata proponeva ricorso per cassazione sotto diversi profili, tra cui anche la violazione di legge per l'erronea interpretazione degli artt. 346, 346-bis e 322 c.p., ritenendo insussistenti gli elementi costitutivi delle tre fattispecie oggetto di esame da parte della Corte di Appello.

La sentenza della Cassazione n. 4113/2017

La Corte di cassazione, Sez. IV, con la sentenza, 14 dicembre 2006, n. 4113/2017, Rigano, ha accolto parzialmente il ricorso ritenendo, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, che le ammissioni dell'imputata potessero fondarne la responsabilità a titolo di concorso con il fratello ed altro soggetto coimputato gravitante negli ambienti universitari, per un intervento funzionale alla corruzione di soggetti interni alla procedura concorsuale ma le risultanze processuali si fermavano ad un'attività propedeutica alla corruzione, non essendo stato accertato, come ritenuto dagli stessi giudici di merito, né se fosse stato effettivamente compiuto un intervento in favore della candidata né se fosse stato raggiunto ed in quali termini l'accordo con i pubblici ufficiali o impiegati in contatto con il coimputato.

Tuttavia, ad avviso del Collegio, la condotta dell'imputata, seppure non rientrante nella fattispecie dell'istigazione alla corruzione, era comunque illecita in quanto sussumibile nel reato di traffico di influenze illecite ai sensi dell'art. 346-bis c.p.; la sentenza di condanna della Corte d'appello era quindi annullata con rinvio ad altra Corte d'appello per applicare i principi di diritto esposti in motivazione.

A sostegno di questa decisione la suprema Corte ha affermato anzitutto che il reato di traffico di influenze si differenzia dal reato di millantato credito perché le relazioni con il pubblico ufficiale sono effettivamente esistenti e non solo vantate, come nella fattispecie, e si differenzia dalla corruzione per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l'opera di mediazione, non potendo, quindi, essere destinato, neppure in parte, all'agente pubblico (così richiamando quanto già ritenuto da Sez. VI, n. 29789 del 27 giugno 2013, Angeleri).

La Cassazione ha poi chiarito, che il reato di cui all'art. 346-bis c.p. punisce un comportamento propedeutico alla commissione di un'eventuale corruzione e la clausola di esclusione presuppone che, in concreto, non sia ravvisabile il delitto di corruzione e neppure un'ipotesi di concorso, presupponendosi lo sfruttamento di una relazione esistente con pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, fermo restando che il denaro o l'utilità patrimoniale devono essere rivolti a chi è chiamato ad esercitare l'influenza e non al soggetto che esercita la pubblica funzione (in questi termini Sez. VI, n. 18999 del 2 febbraio 2016, Polizzi e altri).

È stato infine, precisato che le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, qualificate come reato di millantato credito ai sensi dell'art. 346, commi 1 e 2, c.p., devono, dopo l'entrata in vigore della legge 190/2012, in forza del rapporto di continuità tra norma generale e norma speciale, rifluire sotto la previsione dell'art. 346-bis c.p., che punisce il fatto con pena più mite.

La decisione in commento ha quindi recepito i principi già espressi in precedenza dalla sentenza, Sez. VI, n. 51688 del 28 novembre 2014, Milanese, che aveva affrontato lo specifico problema della successione di leggi nel tempo, affermando la continuità normativa tra le due fattispecie (in senso contrario però Sez. VI, 26 febbraio 2016, n. 23355, Margiotta).

In conclusione

La nuova fattispecie del traffico di influenze illecite,introdotta dalla legge c.d. Severino nel 2012 in adempimento degli obblighi internazionali sottoscritti dall'Italia (la Convenzione Onu contro la corruzione di Merida del 31 ottobre 2003, nonché la Convenzione sulla corruzione del Consiglio d'Europa del 27 gennaio 1999), secondo le intenzioni del Legislatore è volta a sanzionare condotte propedeutiche rispetto a successivi accordi corruttivi. Essa presenta, a prima vista, nella sua prima parte, evidenti tratti del reato di millantato credito di cui al primo comma dell'art. 346 c.p., topograficamente posto subito prima e rimasto inalterato, ove l'utilità o la promessa appaiono collegate, nella rappresentazione dei fatti da parte dell'intermediario, alla necessità, per costui, di esercitare opera di mediazione verso il soggetto pubblico rispetto alle attese e richieste del privato. Il delitto di cui all'art. 346-bis c.p. quindi trova il suo ristretto ambito applicativo tra i reati che puniscono a vario titolo le condotte corruttive da un lato e la fattispecie del millantato credito dall'altro.

Con riguardo specifico al rapporto con il reato di millantato credito, la dottrina nettamente maggioritaria ritiene che il reato di traffico di influenze illecite si differenzierebbe essenzialmente per il fatto che le relazioni con il pubblico funzionario, vantate dall'intermediario, devono essere, come segnalato dall'aggettivo esistenti, reali e non invece meramente vantate dall'agente, oltre ovviamente alla circostanza dell'estensione della punibilità per il privato compratore, non prevista dall'art. 346 c.p., in cui invece il privato è considerato vittima della millanteria.

Per quanto riguarda il primo profilo dovrebbe quindi anzitutto valutarsi la "tenuta" degli orientamenti giurisprudenziali formatesi nel tempo (ed ampliamente criticati dalla dottrina) che hanno ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 346 c.p. anche laddove il credito vantato presso il pubblico ufficiale o impiegato effettivamente sussisteva,ma esso era stato artificiosamente magnificato e amplificato dall'agente in modo da far credere al soggetto passivo di essere in grado di influire sulle determinazioni di un pubblico funzionario, e correlativamente di poterlo favorire nel conseguimento di preferenze e di vantaggi illeciti in cambio di un prezzo per la propria mediazione (in tal senso: Cass. pen., Sez. VI, 27 gennaio 2000, n. 2645, Agrusti; Cass. pen., Sez. VI, 4 marzo 2003, n. 16255, Pirosu; Cass. pen., Sez. VI, 17 marzo 2010, n. 13479, D'Alesio; Cass. pen., Sez. VI, 4 febbraio 1991, n. 5071, Manuguerra).

Se pertanto il criterio discretivo è segnato dall'esistenza reale delle relazioni con il pubblico ufficiale, anche se vantate in maniera amplificata, si dovrebbe di conseguenza ritenere, come fa la dottrina maggioritaria, che tali condotte prima punite ai sensi dell'art. 346 c.p., ora rientrerebbero sotto la fattispecie del traffico di influenza che, del tutto irragionevolmente, prevede però una sanzione meno severa rispetto al millantato credito.

Tuttavia non si può non osservare che dal punto di vista strutturale le due fattispecie non sembrano porsi in rapporto di specialità (con l'art. 346-bis c.p. da ritenere norma speciale rispetto al millantato credito), ma piuttosto in rapporto di alternativa tra loro.

Infatti nel caso dell'art. 346 c.p. si è di fronte ad una condotta di tipo "truffaldino", la cosiddetta vendita di fumo, in cui l'autore del reato fa credere al terzo di avere relazioni con il pubblico ufficiale e di poterlo influenzare allo scopo di farsi dare del denaro per una ipotetica mediazione illecita. Si tratta appunto della millanteria di un presunto credito nei confronti del P.U. in realtà inesistente. Nel secondo comma dell'art. 346 c.p. la norma descrive la condotta illecita dell'agente che si fa dare denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, termine utilizzato già dall'art. 640, comma 2, c.p., nel caso di truffa relativa all'esonero dal servizio militare. Non vi possono essere dubbi nell'affermare che si tratti di una condotta decettiva, unica ragione per la quale chi versa il denaro non viene punito.

Tutt'altra ratio è invece posta alla base del traffico di influenza: il Legislatore ha inteso punire condotte prossime alla corruzione anticipando la tutela penale al fine di prevenire fenomeni corruttivi e ciò in ragione del fatto che il trafficante ha effettivamente la possibilità di contattare e di avvicinare il pubblico ufficiale, tant'è che la norma espressamente fa riferimento, come già detto, allo sfruttamento di relazioni esistenti.

L'agente pertanto non millanta nulla ma si fa dare o promettere del denaro per compiere effettivamente la mediazione illecita con il P.U., senza necessità però ai fini della punibilità che ciò avvenga, trattandosi di reato di pericolo.

Per affermare che vi sia un rapporto di genere a specie tra fattispecie, è necessario riscontrare nella norma speciale elementi specializzanti rispetto alla norma generale. Nel caso che ci interessa le due fattispecie hanno certamente degli elementi strutturali comuni, come ad esempio la condotta di farsi dare o promettere denaro come prezzo della propria mediazione nei confronti del pubblico ufficiale, ma il “cuore” dei rispettivi reati è del tutto eterogeneo e privo di elementi specializzanti: in un caso la mera millanteria per ingannare il terzo, nell'altro un accordo illecito per sfruttare le relazioni esistenti del lobbista con il funzionario pubblico. La differenza è poi rimarcata dalla circostanza di assoluto rilievo che vede nell'art. 346-bis c.p., a differenza di quanto previsto nel millantato credito, la punibilità anche del terzo, che non è più persona danneggiata dall'inganno operato da parte del millantatore, ma coprotagonista di un accordo illecito che si presenta in termini di effettiva pericolosità per l'attività della pubblica amministrazione.

La decisione della Cassazione non appare perciò convincente, anche perché si limita a dare per assodato – la continuità normativa tra le due fattispecie – secondo un rapporto di specialità sincronica sopravvenuta ( sincronica perché la norma generale, l'art. 346 c.p. coesiste) che meritava invece di essere meglio chiarito.

Si può ritenere probabilmente che la Corte sia arrivata alla suddetta conclusione partendo dall'analisi della giurisprudenza antecedente alla riforma del 2012, secondo cui, come sopra accennato, il delitto di cui all'art. 346 c.p. puniva anche quelle condotte in cui le relazioni pur esistenti con il P.U. erano però magnificate ed esaltate dall'autore del reato, allo scopo evidente di rendere più credibile il suo ruolo di mediatore agli occhi del privato. In altre parole se quelle condotte erano già punite con il reato di millantato credito ed ora ricadono all'interno del nuovo reato di traffico di influenze, non vi può che essere continuità normativa.

Tuttavia la premessa di questo ragionamento appare incerta, in quanto la scelta giurisprudenziale di utilizzare il reato di millantato credito anche per i casi in cui la relazione con il funzionario pubblico era effettivamente esistente, è sempre stata oggetto di serrate critiche da parte della dottrina, che ha ravvisato in tale opzione interpretativa un'impropria dilatazione dell'ambito applicativo dell'art. 346 c.p., in violazione del principio di tassatività della norma penale.

In conclusione, ad avviso di chi scrive, il reato di traffico di influenze illecite costituisce una nuova incriminazione, con la conseguenza che le condotte antecedenti alla sua introduzione non possono essere sanzionate in ossequio all'art. 2, comma 1, c.p.

Guida all'approfondimento

GAMBARDELLA, Corruzione, millantato credito e traffico di influenze nel caso Tempa rossa: una debole tutela legislativa, in Cass. pen., 2016, fasc. 10, pagg. 3597 ss;

LOSAPPIO, Millantato credito e traffico di influenze illecite. Rapporti diacronici e sincronici, in Cass. pen., 2015, fasc. 3, pagg. 1036 ss.;

MARRA, Il delitto di traffico di influenze illecite. Primi orientamenti giurisprudenziali, in ilPenalista.it, 30 agosto 2016;

MERENDA, Traffico di influenze illecite e millantato credito nel senso della continuità? Alcune osservazioni critiche, in Arch. pen., 2015, n. 1, pagg. 1 ss.;

SCAROINA, Lobbying e rischio penale, in Dir. pen. e proc., 2016, fasc. 6, pag. 811 ss.;

UBIALI, I rapporti tra corruzione ex art. 319 cod. pen., traffico di influenze illecite e millantato credito nella prima pronuncia della Cassazione sulla vicenda di Tempa Rossa, in Dir. pen. contemp., 20 giugno 2016;

VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, fasc. 4, pag. 1293 ss.

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