La deontologia dei magistrati

Rodolfo Sabelli
24 Luglio 2015

Il dibattito pubblico, da tempo concentrato sul tema della qualità delle regole del processo e su quelli della responsabilità disciplinare e civile dei magistrati, ha lasciato ingiustamente in ombra il valore della deontologia.
Abstract

Il dibattito pubblico, da tempo concentrato sul tema della qualità delle regole del processo e su quelli della responsabilità disciplinare e civile dei magistrati, ha lasciato ingiustamente in ombra il valore della deontologia, cioè di quel complesso di regole che attingono all'etica del dovere come disegnata dai caratteri peculiari di una specifica funzione o professione. Eppure tali regole sono proprio quelle che, per il loro carattere condiviso e per l'autocontrollo spontaneo che generalmente le assiste, di fatto sono in grado di meglio assicurare il corretto esercizio della funzione e il decoro dei comportamenti, rispetto a un sistema solo fondato sulla minaccia di una sanzione disciplinare.

Nulla, in effetti, può assicurare il rispetto di una regola più della profonda convinzione della sua doverosità e della disapprovazione sociale che ne accompagna l'eventuale violazione.

I principi fondamentali previsti dal codice etico dell'Anm

L'art. 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede da lungo tempo l'adozione, da parte degli organi associativi della magistratura, di un codice etico. La legge 6 novembre 2012, n. 190, nel novellare la norma, l'ha rafforzata e ha stabilito alcune direttive – dettate specificamente per il codice di comportamento dei funzionari pubblici ma in realtà di portata generale – destinate ad assicurare la qualità dei servizi e il rispetto dei doveri di diligenza, lealtà e imparzialità.

L'Associazione nazionale magistrati da molti anni si è dotata di un codice etico, precorrendo le previsioni della legge. Oltre a richiamare il rispetto dei doveri fondamentali di correttezza, dignità, operosità, indipendenza e imparzialità che devono informare la funzione giudiziaria, il codice si sofferma su alcuni aspetti specifici, oggetto di particolare attenzione nell'attuale dibattito pubblico.

I rapporti con la stampa

Anzitutto, quanto ai rapporti con la stampa, non soltanto è fatto divieto al magistrato di sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio ma – quando non vi sia obbligo di segreto e la diffusione dell'informazione risulti necessaria – sono comunque vietate la costituzione e l'utilizzazione di canali informativi privilegiati; inoltre, in ogni dichiarazione destinata alla diffusione è fatto obbligo di rispettare criteri di equilibrio, dignità e misura ed è dettato specifico divieto di partecipare a trasmissioni nelle quali le vicende giudiziarie siano fatte oggetto di rappresentazione in forma scenica.

Sono regole che da un lato intendono salvaguardare l'immagine di serietà e professionalità dell'intera categoria, dall'altro richiamano alla necessità di un'informazione equilibrata e corretta, che riconosca al processo il ruolo di sede di accertamento dei fatti ed eviti quel tifo giudiziario, che stimola l'elemento emozionale a detrimento di quello informativo e genera non di rado critiche disinformate, mosse sulla base di soggettive verità pregiudiziali.

Il principio di indipendenza

Particolare attenzione è prestata alla difesa del principio di indipendenza, con riguardo anche al profilo dell'immagine: così, non soltanto il magistrato non deve lasciarsi coinvolgere in centri di potere di qualunque natura ma gli sono anche interdette attività che possano costituire fonte di condizionamento e, ancora, dovrebbe essergli preclusa l'assunzione di incarichi politico-amministrativi negli enti locali, nel territorio dove esercita la funzione giudiziaria.

Il codice etico interviene così sul tema, attuale e complesso, dei rapporti fra i magistrati e la politica, il quale ancora attende una legge che ne detti una disciplina definitiva.

La condotta nell'esercizio dell'attività giudiziaria

Infine, grande attenzione è prestata alla condotta nell'esercizio della funzione giudiziaria: rispetto della dignità propria e altrui, capacità di ascolto, gestione serena del processo, imparzialità come dote richiesta al pubblico ministero non meno che al giudice …

Insomma, un complesso di regole che trascendono lo stesso codice disciplinare dei magistrati e sono in larga parte tali da poter costituire il nucleo di un patrimonio deontologico comune a quanti – magistrati e avvocati – sono protagonisti essenziali del processo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario