Il diritto alla traduzione della sentenza

24 Luglio 2015

Il legislatore, con d.lgs. 32/2014, ha provveduto a dare attuazione alla direttiva 2010/64/UE sull'interpretazione e traduzione degli atti nel processo. Con tale intervento normativo ha finalmente riconosciuto all'imputato alloglotta non solo il diritto all'assistenza dell'interprete ma anche il diritto alla traduzione degli atti del processo, funzionale ad una piena esplicazione del diritto di difesa.
Abstract

Il legislatore, con d.lgs. 32/2014, ha provveduto a dare attuazione alla direttiva 2010/64/UE sull'interpretazione e traduzione degli atti nel processo. Con tale intervento normativo ha finalmente riconosciuto all'imputato alloglotta non solo il diritto all'assistenza dell'interprete ma anche il diritto alla traduzione degli atti del processo, funzionale ad una piena esplicazione del diritto di difesa. In particolare, il nuovo art. 143 al comma 2 elenca i provvedimenti di cui l'autorità dispone la traduzione scritta, salva naturalmente la possibilità per l'interessato di ottenere la traduzione anche di altri atti. Tra questi compare anche la sentenza, provvedimento che non rientrava tra quelli di cui, nel regime previgente, era garantita la traduzione.

La disciplina previgente e gli orientamenti della giurisprudenza

Nella formulazione originaria l'art 143 c.p.p., dedicato al problema della conoscenza della lingua del processo, riconosceva all'imputato che non conosce la lingua italiana “il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa formulata contro di lui e di seguire il compimento degli atti cui partecipa”. Questa disposizione è stata interpretata in modo restrittivo nel senso di riconoscere un diritto alla traduzione degli atti orali, garantito dalla presenza dell'interprete, non anche il diritto alla traduzione degli atti scritti da parte di un interprete (Cass. pen., Sez. VI, 11 marzo 1993; Cass. pen., Sez. II, 18 dicembre 1992; Cass. pen., Sez. II, 31 ottobre 1990).

Simile interpretazione è stata successivamente sconfessata dalla Corte costituzionale (Corte cost. 19 gennaio 1993, n. 10) che, investita del giudizio di costituzionalità dell'art. 555 e del combinato disposto degli artt. 456, comma 2, e 458, comma 1, – nella parte in cui non prevedevano l'obbligo di traduzione nella lingua nota all'imputato straniero del decreto di citazione a giudizio e dell'avviso, contenuto nel decreto di giudizio immediato, concernente la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato – ha dichiarato infondate le q.l.c. proprio disattendendo il presupposto interpretativo da cui muovevano i giudici a quibus, ossia che la previsione dell'art. 143 fosse circoscritta agli atti orali e potesse essere estesa agli atti scritti soltanto nei casi espressamente previsti come eccezioni alla regola. Più in particolare, dopo avere ricostruito il significato e le implicazioni della garanzia del diritto dall'interprete alla luce dei principi costituzionali e sovranazionali, la Corte ha affermato che l'art. 143, comma 1, è “suscettibile di un'applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l'imputato, ove non potesse giovarsi dell'ausilio dell'interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale”. Sulla base di tali considerazioni la Corte ha precisato che la mancanza di un espresso obbligo di traduzione nelle norme censurate ”non può impedire la piena espansione della garanzia assicurata dall'art. 143, comma 1, c.p.p. in conformità ai diritti riconosciuti all'imputato dalle convenzioni internazionali ratificate in Italia e dall'art 24, secondo comma, della Costituzione”.

La Corte costituzionale ha riconosciuto, dunque, il diritto nella sua massima estensione ma la natura della pronuncia (interpretativa di rigetto) non è valsa a risolvere le diatribe sul punto. Tali pronunce, infatti, diversamente dalle interpretative di accoglimento, pur autorevoli, non vincolano l'interprete.

Si è così continuato ad assistere ad una tutela altalenante del diritto in questione.

In particolare, mentre alcune pronunce hanno continuato ad affermare che “il diritto di difesa è assicurato dall'assistenza dell'interprete solo limitatamente agli atti orali (Cass. pen., Sez. VI, 5 maggio 1999, n. 1605) altre decisioni estendevano l'obbligo di traduzione quantomeno anche a quegli atti scritti aventi funzione “conoscitivo-informativa e di contestazione dell'accusa”. In questa prospettiva l'orientamento maggioritario includeva nel novero degli atti che necessitano di traduzione: l'avviso di conclusione delle indagini (Cass. pen., Sez. un., 26 settembre 2006, n. 39298; Cass. pen., Sez. IV 24 novembre 2005, n. 7664); il decreto di citazione a giudizio (Cass. pen., Sez IV, 28 ottobre 2005, n. 14174; Cass. pen., Sez. un. 31 maggio 2000, n. 12; Cass. pen., Sez. IV, 15 dicembre 1999, n. 1141); il decreto di citazione a giudizio direttissimo (Cass. pen., Sez. I 20 febbraio 2009); il decreto che dispone il giudizio immediato (Cass. pen., Sez. IV, 5 maggio 2004, n. 25316); l'ordine di esecuzione della pena detentiva (Cass. pen., Sez. I, 20 maggio 2004, n. 25688; Cass. pen., Sez. III, 15 novembre 2002, n. 1715; Cass. pen., Sez. I, 19 aprile 2000, n. 3040; Cass. pen., Sez. VI, 8 marzo 1995, n. 843).

Tra gli atti suscettibili di traduzione si colloca anche l'ordinanza applicativa della misura cautelare personale. A tale conclusione si è giunti a seguito di un acceso contrasto interpretativo: all'indirizzo che escludeva l'obbligo di procedere alla traduzione dell'ordinanza cautelare (Cass. pen., Sez. VI, 17 dicembre 2002; Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2002; Cass. pen., Sez. I, 8 novembre 2001, n. 13817; Cass. pen., Sez. I, 23 maggio 2000, n. 3759; Cass. pen., Sez. V, 5 maggio 1999), si contrapponeva un contrario orientamento (Cass. pen., Sez. V, 31 gennaio 2002, n. 11598; Cass. pen., Sez. III, 26 aprile 1999, n. 1527) al quale hanno aderito le Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un., 24 settembre 2003, n. 5052). Il Supremo Collegio ha evidenziato in merito che il provvedimento che dispone la custodia cautelare, per il contenuto che lo contraddistingue – contestazione di un reato con indicazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari – e per gli effetti che ne scaturiscono – la privazione della libertà – è certamente un atto rispetto al quale deve essere garantita la piena esplicazione del diritto di difesa il cui esercizio presuppone la comprensione dell'atto medesimo da parte dell'imputato che non conosce la lingua italiana.

Si ritengono, invece, generalmente esclusi dall'obbligo di traduzione:

  • avvisi di fissazione delle udienze camerali (Cass. pen., Sez. IV, 23 giugno 1999, n. 2203; Cass. pen., Sez. III, 5 luglio 1994; vedi, però, Corte Edu 28 giugno 2005, Hermi c. Italia);
  • l'atto di perquisizione personale eseguito dalla polizia giudiziaria (Cass. pen., Sez. IV, 19 novembre 2004, n. 265);
  • il verbale di sequestro e della sua convalida (Cass. pen., Sez. II, 5 luglio 2007, n. 32882);
  • l'ordinanza che rigetta l'istanza di ricusazione (Cass. pen., Sez. III, 1° luglio 2009);
  • l'ordinanza che dispone una misura cautelare reale (Cass. pen., Sez. III, 19 gennaio 2003);
  • il verbale di arresto (Cass. pen., Sez. I, 22 settembre 2003, n. 38598);
  • l'atto di impugnazione dell'imputato (Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2008, n. 36541) ben potendo quest'ultimo avvalersi dell'assistenza di un proprio interprete di fiducia;
  • l'atto di impugnazione del p.m. (Cass. pen., Sez. II, 10 agosto 2000, n. 12394) in quanto non si tratta di atto che contiene un ulteriore addebito in ordine al reato.
Orientamenti in tema di traduzione della sentenza

Tra gli atti che non necessitano di traduzione, la giurisprudenza prevalente ricomprendeva anche la sentenza, sul presupposto che si tratta di un atto che non contiene la formulazione dell'accusa e di un atto al quale l'imputato non “partecipa”(Cass. pen., Sez. II, 17 dicembre 2010, n. 11311). L'insussistenza dell'obbligo di traduzione era ribadita anche a proposito dell'estratto contumaciale (Cass. pen., Sez. I, 21 aprile 2010, n. 16807).

Tale lettura interpretativa non è stata riconsiderata dalla giurisprudenza neppure alla luce di quanto disposto dalla Direttiva 2010/64/UE sull'interpretazione e traduzione degli atti nel processo che, nel prevedere l'obbligo di traduzione – sia pure temperato dalla possibilità di non effettuare una traduzione integrale e dalla possibilità di sostituire la traduzione scritta con una orale o con un riassunto – dei “documenti fondamentali”, identifica espressamente tra questi le decisioni che privano una persona della libertà personale, gli atti contenenti i capi di imputazione, le sentenze e il mandato d'arresto europeo.

Nello specifico la giurisprudenza, nelle more dell'attuazione di tale direttiva, disconoscendo la natura self executing della previsione di cui all'art. 3 par. 1 e 2 che imponeva ai giudici nazionali, anche in pendenza del termine per il recepimento, l'immediata interpretazione conforme dell'art. 143, comma 1, ha ribadito il consolidato orientamento restrittivo (Cass. pen., Sez. II, 7 dicembre 2011, n. 46897) o, al più, si è limitata a riconoscere che il diritto alla traduzione della sentenza “non sussiste in via generalizzata, bensì consegue a un'esplicita richiesta in tal senso formulata dall'alloglotta” (Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 2013).

L'attuazione interna della direttiva

Il decreto legislativo 32/2014 con cui si è data attuazione alla Direttiva 2010/64/UE ha inciso profondamente sul sistema originario: da un lato è stato rafforzato il diritto all'interpretazione, riconoscendo all'accusato non solo il diritto a conoscere l'imputazione ma anche quello, più esteso, di “seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze” oltre al diritto all'assistenza di un interprete “per le comunicazioni con il difensore prima di rendere interrogatorio ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento”; dall'altro è stato riconosciuto espressamente il diritto alla traduzione degli atti, distinguendo tra atti a “traduzione obbligatoria” e atti a “traduzione facoltativa”. Gli atti a traduzione obbligatoria sono indicati nel comma 2 (informazione di garanzia, informazione sul diritto di difesa, provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, avviso di conclusione delle indagini preliminari, decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, sentenze, decreti penali di condanna). Per questi atti la traduzione scritta (e integrale) è obbligatoria. Non è prevista, in sostanza, la possibilità di una traduzione parziale, limitata ai passi essenziali. È possibile ottenere, inoltre, la traduzione di altri atti ritenuti essenziali per consentire di “conoscere le accuse a carico”, la quale può essere disposta su istanza di parte o d'ufficio. La traduzione di questi ultimi può anche essere non integrale ma limitata ai passi essenziali. Infine, non è prevista in nessun caso la traduzione orale o per riassunto, diversamente da quanto stabilito nella Direttiva la quale, all'art. 3 § 4 stabilisce invece la generalizzata possibilità di usufruire della traduzione orale o per riassunto, sempre che non venga pregiudicata l'equità del procedimento. Sotto tale profilo, il legislatore nazionale sembra avere voluto “innalzare” il livello di tutela individuato dalla Direttiva nella dimensione “minima”.

Si tratta di novità con le quali si è inteso riconoscere in modo più ampio il diritto alla partecipazione consapevole al processo.

L'effettività di tale diritto dipenderà, però, dalle scelte interpretative che saranno effettuate in relazione all'estensione del terzo comma dell'art. 143 c.p.p. dedicato agli atti a traduzione facoltativa: interpretazioni troppo restrittive, infatti, potrebbero vanificare i propositi della riforma giacché si convertirebbero nel diniego di traduzione di provvedimenti la cui incidenza sul diritto di difesa è di immediata percezione sebbene esclusi dall'area a tutela rafforzata individuata dal secondo comma dell'art. 143. Si pensi ad esempio all'ordinanza di applicazione di misura cautelare reale o al decreto di fissazione dell'udienza per la decisione sull'applicazione della pena, quando la richiesta sia avanzata nel corso delle indagini o, ancora, all'ordinanza che ammette l'incidente probatorio.

In secondo luogo, ad incidere sulla effettività del diritto è la scelta di non prevedere adeguati mezzi di impugnazione nel caso di omissione della traduzione o di qualità scadente della stessa. L'opzione, oltre a non essere in linea con le indicazioni della direttiva che, all'art. 3 § 5, indica come necessario il riconoscimento sia del diritto di impugnare le decisioni che dichiarano superflua la traduzione che del diritto di contestare la qualità della traduzione, contrae fortemente la tutela accordata al diritto. Il legislatore nazionale si è, infatti, limitato a stabilire che il provvedimento di rigetto della traduzione facoltativa sia impugnabile unitamente alla sentenza. Non ha previsto, in altri termini, uno strumento di impugnazione capace di garantire un immediato controllo sulla legittimità della decisione di rigetto, capace di reintegrare l'accusato nel pieno esercizio dei diritti connessi alla fase processuale in cui viene emesso l'atto. Nessun mezzo di impugnazione è poi previsto per le omissioni nell'area delle traduzioni obbligatorie né per i dinieghi dell'assistenza linguistica nelle fasi orali. In tali aree la tutela è interamente affidata al regime delle nullità, passibili, come noto, anche di sanatorie tacite.

Guida all'approfondimento

Biondi, La tutela processuale dell'imputato alloglotta alla luce della direttiva 2010/64/UE, Cass. pen. 2011, 2422;

Curtotti Nappi, Resistenze giurisprudenziali al pieno riconoscimento del diritto all'interprete, Dir. pen. proc. 1998, 986;

Gialuz, La lingua come diritto: il diritto all'interpretazione e alla traduzione nel processo penale, AA. VV, Processo penale, lingua e Unione europea, Padova, 2013;

Id., Il diritto all'assistenza linguistica nel processo penale. Direttive europee e ritardi italiani, Riv. dir. proc. 2012, 1195;

Id., L'obbligo di interpretazione conforme alla direttiva sul diritto all'assistenza linguistica, Dir. pen. proc., 2012, 433;

Recchione, L'impatto della direttiva 2010/64/UE sulla giurisdizione penale: problemi, percorsi interpretativi, prospettive, Dir. pen. cont., 15 luglio 2014;

Sau, Le garanzie linguistiche nel processo penale, Padova, 2010.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.