La delega in materia di intercettazioni contenuta nella Riforma della giustizia penale

24 Luglio 2017

Certamente uno dei temi di maggiore interesse della legge, 23 luglio 2017, n. 103 è rappresentato dalla delega in materia di intercettazioni. Una delega che non ha per oggetto l'intera materia ma che interviene su alcuni aspetti particolarmente delicati, ridisegnando tra l'altro i confini con la disciplina della tutela della riservatezza, le intercettazione in tema di reati contro la P.A. e disciplinando l'utilizzo dei captatori informatici.
Abstract

Certamente uno dei temi di maggiore interesse della legge, 23 luglio 2017, n. 103 (Gazz. ufficiale n. 154 del 4 luglio 2017) è rappresentato dalla delega in materia di intercettazioni. Una delega che non ha per oggetto l'intera materia ma che interviene su alcuni aspetti particolarmente delicati, ridisegnando tra l'altro i confini con la disciplina della tutela della riservatezza, le intercettazione in tema di reati contro la P.A. e disciplinando l'utilizzo dei captatori informatici.

Premessa

È verosimile ritenere che solo la previsione di una delega sulla disciplina in tema di intercettazioni ha consentito alla l.103/2017 di essere approvata in via definitiva: l'inserimento nel testo di disposizioni immediatamente “operative” avrebbe ragionevolmente ulteriormente “rallentato” la conclusione della procedura.

A partire dall'agosto 2016 la delega, rispetto alla precedenti versioni del disegno di legge, si è notevolmente arricchita, avendo inglobato almeno due tematiche nuove, delicate ed urgenti: la disciplina in tema di deposito degli atti e tutela della riservatezza (già prevista ma con ben minore portata) e quella sull'uso del c.d. trojan. Non solo: originariamente il termine per l'esercizio della delega era di un anno per tutti gli interventi, ma il testo approvato prevede un termine di soli tre mesi per i decreti legislativi su alcuni tematiche delle intercettazioni, disciplinate – come vedremo infra – al comma 84 alle lettere a), b), c), d), e).

Le prese di posizione e le polemiche che hanno accompagnato il dibattito sul tema giustificano evidentemente – o forse addirittura impongono – ulteriori riflessioni, per altro del tutto comprensibili, vista le peculiarità della materia.

In un'epoca di globale ripensamento dei delicati equilibri tra esigenze di accertamento di fatti penalmente rilevanti e rispetto dei diritti dei cittadini, la disciplina delle intercettazioni telefoniche assume un particolare significato.

L'assoluta centralità alla tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni quale espressione primaria della personalità dei singoli si scontra in effetti, alle volte con drammatica intensità, con rilevanti quanto legittimi “sacrifici” di tali diritti, ogni qual volta la repressione (nonché in alcuni casi la prevenzione) di fatti di penale rilevanza può risultare condizionata da un corretto, tempestivo ed esaustivo utilizzo dello strumento di ricerca della prova costituito dalle intercettazioni.

Con la presente legge, il Legislatore ha deciso di intervenire – o meglio, di programmare un intervento – su alcuni specifici aspetti, aventi a oggetto in particolare il regime di deposito delle intercettazioni – anche con riguardo alla fase cautelare – e i mezzi tecnici utilizzati per alcune particolari forme di captazioni.

Sul primo punto, come vedremo, dovranno essere predisposte norme per evitare la pubblicazione di conversazioni irrilevanti ai fini dell'indagine e comunque riguardanti persone completamente estranee attraverso una selezione del materiale intercettativo nel rispetto del contradditorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine.

Non è stato inserito alcun “intervento” sulle tipologie di reato per le quali la captazione è ammessa, e anzi è stata indicata – in termini per la verità allo stato criptici – una semplificazione del ricorso alle intercettazioni per alcuni reati contro la pubblica amministrazione.

È prevista, infine, nella delega una sanzione sino a 4 anni a fronte della diffusione delle captazioni fraudolente di conversazioni tra privati al solo fine di recare a taluno danno alla reputazione e all'immagine. In tali casi la punibilità sarebbe tuttavia esclusa quando le riprese costituiscono prova di un processo o in un procedimento amministrativo o sono utilizzate per l'esercizio del diritto di difesa o di cronaca.

Intercettazione e tutela della riservatezza: l'utilizzazione in sede cautelare

Il più articolato – e verosimilmente problematico – tra i criteri e principi direttivi delineati per la delega riguarda la tutela della riservatezza. In questo senso sono previste «disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni in particolare dei difensori nei colloqui con l'assistito e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità all'articolo 15 della Costituzione, attraverso prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale, disponendo in particolare, fermi restando i limiti ed i criteri di utilizzabilità vigenti».

Il vero problema – che interessa in particolare la ricaduta della tutela della riservatezza con riguardo alle comunicazioni – deve essere individuato:

  • nella valutazione dello status dell'interessato, in quanto si tratta di comprendere se ed in quali termini le vicende di vita di un personaggio pubblico (un politico, uno sportivo, un artista, ma non solo) possano presentare un interesse altrettanto pubblica tale da giustificarne la diffusione. E invero, se non tutte le notizie sulla vita “sessuale o sentimentale” di un soggetto possono avere una rilevanza a fini giudiziari, non si può escludere che le stesse possano assumere una valenza in chiave di “moralità politica” la cui rilevanza non può essere aprioristicamente disconosciuta.
  • dal conflitto con altri diritti: dalla libertà di manifestazione del pensiero, alla libertà di stampa, dalle espressione artistiche alla necessità di svolgere investigazione per reprime re fatti di rilievo criminale. Attività tutte riconosciute e tutelate dalla carta costituzionale, che quindi “entrano” nel bilanciamento di interessi sotteso alla problematica in oggetto. Una lettura che non a caso dovrà essere compiuta all'interno del quadro di riferimento costituito dalle decisioni e dei principi adottati con le sentenze della Corte Europea Diritti dell'Uomo di Strasburgo, a tutela della libertà di stampa e del diritto dei cittadini all'informazione dei quali la delega dovrà tenere conto, come stabilito dal comma 84 alla lett. c).

L'ampliamento della delega sul tema in oggetto è stato certamente ispirato da circolari di alcune procure della Repubblica, con le quali si è cercato di intervenire sulle criticità nel funzionamento del sistema proprio sotto il delicato profilo della definizione dell'equilibrio tra diritto alla tutela della riservatezza, esigenze investigative ed pieno ed efficace esercizio del diritto di difesa. La soluzione adottata dalla delega tiene ampiamente conto delle indicazioni contenute nelle predette circolari, “ tipizzando” – almeno, per ora, sul piano dei principi generali- criteri e opzioni ermeneutiche elaborate dagli uffici giudiziari.

La delega non è intervenuta direttamente sulla tematica dei presupposti delle intercettazioni ex art. 266 ss. c.p.p. e dell'art. 271 c.p.p. in tema di inutilizzabilità, quanto solo – come precisato – sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni.

Nel testo della novella il momento di tutela è individuato nella procedura di selezione che il P.M. è chiamato a compiere all'atto di individuare il materiale da inviare al giudice a sostegno della richiesta di misura cautelare.

In concreto quindi, oltre a tenere conto, come espressamente richiesto – dei «limiti e dei criteri di utilizzabilità vigenti», nonché – evidentemente – delle «necessità di prosecuzione delle indagini» il P.M. dovrà assicurare altresì la riservatezza anche degli atti contenenti registrazioni di conversazioni o comunicazioni informatiche o telematiche:

  • inutilizzabili a qualunque titolo;
  • contenenti dati sensibili ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera d) d.lgs. 196/2003, che non siano pertinenti all'accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede o per altri reati emersi nello stesso procedimento o nel corso delle indagini ovvero irrilevanti ai fini delle indagini in quanto riguardanti esclusivamente fatti o circostanze ad esse estranei.

Per tutte le intercettazioni riconducibili al comma 84 lett. a) n. 1 la delega prevede che «le conversazioni o comunicazioni […] non siano oggetto di trascrizione sommaria ai sensi dell'articolo 268, comma 2, del codice di procedura penale, ma ne vengano soltanto indicati data, ora e apparato su cui la registrazione è intervenuta, previa informazione al pubblico ministero, che ne verifica la rilevanza con decreto motivato autorizzandone, in tal caso, la trascrizione ai sensi del comma 2 citato».

In questo modo, prima della trascrizione sul brogliaccio, anche la telefonata con il difensore dovrebbe essere esaminata – in caso di dubbio sul ruolo di quest'ultimo – e trascritta solo laddove la stessa debba ritenersi estranea all'ambito delineato dalla menzionate decisione della S.C.

Analoga disciplina è prevista per le conversazione e comunicazioni contenenti dati sensibili: le stesse non possono essere automaticamente “escluse” in sede di richiesta di misura cautelare. L'esclusione è subordinata, alternativamente, a due condizioni negative. Le stesse dovranno:

  • non essere pertinenti all'accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede o per altri reati emersi nello stesso procedimento o nel corso delle indagini
  • non essere irrilevanti ai fini delle indagini, in quanto riguardanti esclusivamente fatti o circostanze ad esse estranei;

Terminata l'attività di selezione – e quindi depositate le intercettazioni non escluse – gli atti di cui al numero 1 non allegati a sostegno della richiesta di misura cautelare dovranno essere «custoditi in apposito archivio riservato, con facoltà di esame e ascolto ma non di copia, da parte dei difensori delle parti e del giudice, fino al momento di conclusione della procedura di cui all'articolo 268, commi 6 e 7, del codice di procedura penale, con il quale soltanto viene meno il divieto di cui al comma 1 dell'articolo 114 del medesimo codice relativamente agli atti acquisiti».

In tale fase pertanto, l'impossibilità di estrarre copia delle intercettazioni dovrebbe impedire qualsiasi forma di illecita “diffusione” delle stesse.

La tutela della riservatezza nella subprocedura ex art 268 c.p.p. e nella fasi successive

La delega completa la prospettiva di tutela della riservatezza prevedendo la predisposizione di una – ulteriore – precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e «fatte salve le esigenze di indagine, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale».

In realtà, non delle persone indistintamente, quanto (almeno in particolare) di quelle occasionalmente coinvolte nel procedimento.

La posizione dei soggetti direttamente coinvolti dalle captazioni (perché indagati o perché comunque destinatari del provvedimento) dovrebbe trovare maggiore attenzione nel momento in cui la delega considera espressamente le comunicazioni «comunque non rilevanti a fini di giustizia penale».

In effetti, nel testo approvato proprio i momenti di “integrazione” della “subprocedura” di selezione delle intercettazioni sono quelli che hanno assunto la maggiore rilevanza.

La fase di “stralcio” delle conversazioni ha costituito uno dei temi che ha suscitato le maggiori polemiche, in relazione all'uso ed al presunto “abuso” del mezzo di ricerca della prova in oggetto in relazione alla tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nell'attività di intercettazione. Lo stralcio del materiale non attinente all'imputazione si giustificava e si giustifica con l'esigenza di salvaguardare l'indagato ed i terzi – che con lui abbiano eventualmente comunicato – dall'inutile divulgazione di fatti attinenti alla vita privata.

Anche per garantire l'esercizio di tale facoltà ai difensori – che sino a tale momento non hanno avuto una conoscenza effettiva degli atti – è riconosciuta la possibilità di esaminare atti (bobine e verbali) depositati, ascoltare registrazioni ed estrarne copia, al fine di indicare – nell'ambito della trascrizione – le telefonate ritenute utili.

Su tutti tali aspetti “incombe” tuttavia una riflessione di ordine generale: la sub-procedura sopra descritta non costituiva – sino ad oggi, almeno – un passaggio formalmente e sostanzialmente obbligato della scansione procedimentale, così che la stessa è stata, nella prassi giudiziaria, con singolare frequenza pretermessa. Ciò, con tutte le evidenti e inevitabili conseguenze: tutti gli atti sono indistintamente depositati e – con il deposito – “entrano” in un circuito di potenziale propagazione che evidentemente può collidere con un'effettiva tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nella captazioni.

L'organo giudicante, in tale fase, svolge due attività, con forme e finalità completamente diverse: la prima di esclusione delle captazioni avvenute contra legem che come tali devono irrimediabilmente essere espunte dal procedimento.

La seconda, di portata assai più ristretta, diretta a effettuare una valutazione in negativo sulla possibile rilevanza – quantomeno in astratto- delle comunicazione per le quali le parti – in totale autonomia, indicano la significatività probatoria.

La decisione sulla significatività delle singole telefonate è tuttavia rimessa sostanzialmente alle parti – pubblica come privata – potendo il giudice soltanto escludere la trascrizione di quelle manifestamente irrilevanti. Compito quest'ultimo reso arduo dal fatto che tale organo interviene normalmente prima della formulazione dell'imputazione, in una fase ove la ricostruzione del fatto e le ipotesi di ricostruzione della vicenda basate su parti delle conversazioni indicate potrebbero non essere di immediata percepibilità.

Con la riforma, particolare attenzione è stata data dal Legislatore alla distinzione tra possibilità di esame e ascolto delle captazioni da parte della difesa e la possibilità di estrarre copia.

Come abbiamo visto al punto precedente, nella fase cautelare e fino al momento di conclusione della procedura di cui all'articolo 268, commi 6 e 7, c.p.p. , il difensore ha soltanto facoltà di esame e ascolto ma non di ottenere copia.

Dal momento conclusivo di tale fase è previsto:

  • il venire meno del divieto di cui all'art. 114, comma 1, c.p.p., relativamente agli atti acquisiti
  • la possibilità per difensori delle parti di ottenere copia degli atti e la trascrizione in forma peritale delle intercettazioni, ritenuti rilevanti dal giudice ovvero il cui rilascio sia stato autorizzato dal giudice nella fase successiva alla conclusione delle indagini preliminari.

Al termine delle indagini preliminari indagati e difensori hanno un diritto pieno e tendenzialmente non limitabile di conoscere l'intero contenuto del fascicolo del P.M. e – conseguentemente – quello di estrarne copia integrale. Ciò implica la possibilità di potere avere copia dei documenti in cartaceo e di ogni altro supporto audio, informatico o magnetico esistente in atti, anche se attinenti alle intercettazioni, al fine di un pieno esercizio del diritto di difesa.

La ricostruzione della responsabilità o dell'estraneità dell'accusato rispetto al fatto delittuoso attribuitogli dipenderà, con riferimento alla prova per intercettazione, dalla lettura (e dall'ascolto) di una pluralità di conversazioni, alcune delle quali apparentemente non riferibili al singolo imputato della cui posizione si discute; una valutazione, pertanto, dalla quale la difesa non potrà essere esclusa.

Con la delega, il Legislatore si è posto il problema – anche all'atto del deposito post avviso ex art. 415-bis c.p.p. o in vista della richiesta del giudizio immediato ex artt. 453 ss. c.p.p. – di garantire la riservatezza del materiale acquisito (tra cui anche le trascrizioni o sintesi delle intercettazioni normalmente redatte della P.G. sui c.d. brogliacci ed i relativi supporti audio o informatici), non più per necessità di prosecuzione di indagini in altri procedimenti (in quanto in tal caso avrà certamente provveduto a separazione e nuova iscrizione) ma a fronte di situazioni “tipizzate”.

La novella stabilisce che in vista della richiesta di giudizio immediato ovvero del deposito successivo all'avviso di cui all'articolo 415-bis c.p.p., tale organo «ove riscontri tra gli atti la presenza di registrazioni di conversazioni o comunicazioni informatiche o telematiche:

  • inutilizzabili a qualunque titolo
  • ovvero contenenti dati sensibili ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, che non siano pertinenti all'accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede (in particolare dati personali relativi a opinioni politiche o religiose, sfera sessuale, stato di salute: n.d.a.).
  • ovvero irrilevanti ai fini delle indagini in quanto riguardanti esclusivamente fatti o circostanze ad esse estranei

qualora non sia già intervenuta la procedura di cui ai commi 6 e 7 dell'articolo 268, ne dispone l'avvio, indicando espressamente le conversazioni di cui intenda richiedere lo stralcio».

La diffusione di intercettazioni fraudolente

La seconda “chiave di volta” della delega in materia di intercettazioni deve essere individuata in una nuova fattispecie penale, la cui struttura generale è stata delineata con precisione. Viene da chiedersi, al riguardo, quali potranno essere i margini di attuazione di una delega che ha già assunto connotazioni specifiche e apparentemente esaustive.

Recita il testo:

«b) prevedere che costituisca delitto, punibile con la reclusione non superiore a quattro anni, la diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all'immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente. La punibilità è esclusa quando le registrazioni o le riprese sono utilizzate nell'ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per l'esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca».

Il nuovo reato è stato qualificato come delitto, la cui pena non dovrà essere superiore a quattro anni. Un reato conseguentemente grave anche se non tale da determinare – salve indicazioni specifiche al riguardo – la necessità dell'udienza preliminare in caso di esercizio dell'azione penale e che comunque non può costituire presupposto – vista la pena – per la misura della custodia in carcere.

La condotta non è indicata quale semplice comunicazione, quanto come diffusione. Un termine non a caso mutuato da una fattispecie che è stata già applicata per sanzionare condotte analoghe a quelle descritte nella delega, ossia dalle fattispecie di cui all'art. 167 d.lgs. 196/2003, in tema di trattamento di dati personali.

Nonostante la delega abbia a apparente oggetto la disciplina delle intercettazioni, si può ragionevolmente ritenere che le condotte che si vorrebbero sanzionate non possano essere qualificate – in senso tecnico – come intercettazioni.

Al proposito nei seguenti termini si possono enucleare le caratteristiche peculiari dell'intercettazione:

  • deve trattarsi di una comunicazione riservata, avvenuta sia per via telefonica (o altre telecomunicazioni) che tra soggetti presenti
  • deve trattarsi di una captazione clandestina di comunicazioni o conversazioni
  • deve essere effettuata da un soggetto estraneoid est terzo – rispetto agli autori della comunicazioni o conversazione
  • la formalizzazione dell'apprensione del contenuto di comunicazioni o conversazioni deve avvenire come conseguenza dell'atto di intercettazione.

La ratio della disciplina è del tutto svincolata dall'esigenza che l'attività si svolga tramite l'utilizzo di specifiche tecnologie, dovendosi ritenere del tutto sufficiente una qualsiasi apparato in grado di “fissare” l'evento comunicazione, onde consentirne una prova storica diretta, come tale del tutto indipendente dalla capacità di ricostruzione o di narrazione di soggetti terzi.

L'oggetto della delega impone di valutare se e in quali termini un soggetto al quale la comunicazione sia destinata – ovvero ad uno degli autori di una conversazione – possa legittimamente “documentare” con strumenti tecnici all'insaputa del proprio interlocutore – e verosimilmente contro la volontà di questi – l'esatto contenuto della colloquio.

La giurisprudenza assolutamente maggioritaria della S.C. ha riconosciuto non solo l'assoluta legittimità di tali comportamenti ma soprattutto la natura di documenti degli esiti dei tali registrazioni; l'art. 234,comma 1, c.p.p. prevede che «È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo»; si tratta di un articolo inserito nel titolo riguardante i mezzi di prova, laddove le disposizioni in tema di intercettazioni – art. 266 ss. c.c.p., sono ricomprese nel Titolo III – con oggetto i mezzi di ricerca della prova.

La delega prende in considerazione le «riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente».

Sul piano della condotta, qualsiasi captazione/registrazione fraudolenta rientra nell'ambito della nuova fattispecie. Il termine fraudolenta – non infrequentemente utilizzato dal Legislatore – presuppone un'attivazione oggettivamente e intenzionalmente occulta in danno di altro soggetto. Dunque, non tutto ciò che l'interlocutore non sa che è posto in essere, ma ciò che l'autore della condotta non vuole che l'interlocutore percepisca. In questo senso, una registrazione all'insaputa delle parti ma occasionale, verosimilmente non dovrebbe integrare la condotta punita (es. attivazione inconsapevole di un microfono).

Indubbiamente differente è il caso in cui tali attività avvengano dopo un contatto con la polizia giudiziaria, su suggerimento ovvero previo accordo con quest'ultima, o addirittura direttamente da pare di operatori di polizia giudiziaria, nei casi e nei limiti in cui ciò può ritenersi consentito. Situazioni per le quali evidentemente la finalità di giustizia impone una valutazione specifica sulla base delle numerose indicazioni fornite dalla S.C.

Tornando alle situazioni potenzialmente oggetto della disciplina prevista dalla delega, fondamentale tuttavia è l'indicazione sull'elemento soggettivo della fattispecie «al solo fine di recare danno alla reputazione o all'immagine altrui». Un dolo quindi, se è consentita la forzatura, non solo “specifico” ma “molto” specifico.

La “finalità” di danno deve essere pertanto esclusiva e non “concorrente” con altre finalità lecite o scriminate.

Di fatto, la delega parrebbe aver mantenuto una generale connotazione “ negativa” delle condotte descritte, stabilendo che le stesse integrerebbero un reato, prevedendo tuttavia una triplice condizione di non punibilità. Il fatto tipico sussisterebbe, ma l'autore della condotta dovrà essere considerato non punibile laddove le registrazioni o le riprese siano utilizzate:

  • nell'ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario;
  • per l'esercizio del diritto di difesa;
  • del diritto di cronaca.
L'impiego nei procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione

La formula con la quale il decreto ha individuato la quarta finalità della delega lascia spazio ad almeno una significativa incertezza ermeneutica, in quanto la norma recita la delega stessa dovrà «prevedere la semplificazione delle condizioni per l'impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione».

La formula utilizzata fornisce, in realtà, tre indicazioni.

Una prima, di lettura assolutamente univoca, che richiama tutte le forme di captazione attualmente previste, essendo quelle telematiche espressamente indicate unitamente alle “conversazioni e delle comunicazioni telefoniche”.

La seconda – del tutto compatibile con la natura della delega – riguarda le tipologie di reato per le quali la nuova previsione dovrà trovare luogo, ossia «i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione».

I delitti in oggetto sono contenuti nel Titolo II del Libro secondo del codice penale, rubricato Dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, il cui capo primo contempla i Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione.

La delega sotto questo profilo è espressiva di un'assoluta continuità teleologica rispetto alla disciplina della l. 69/2015 contenente – tra l'altro – disposizioni in materia di delitti contro la Pubblica Amministrazione, entrata in vigore il 14 giugno 2015 (a sua volta intervenuta su una materia già profondamente rivisitata dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione); legge che ha elevato significativamente la pena per serie di ipotesi di reato intervenendo altresì su altri aspetti del settore.

Il vero nodo da sciogliere riguarda tuttavia il “come” sarà disposta la “semplificazione delle condizioni per l'impiego” delle intercettazioni: e ciò in sede di delega così come – ora - in sede di commento e valutazione. Ciò in quanto si tratta di una formula – condizioni per l'impiego – che non trova diretto e formale riscontro nella disciplina sul tema.

Si può escludere che per condizioni debbano intendersi i “limiti di ammissibilità” di cui all'art. 266 c.p.p., in quanto quest'ultimo articolo non contempla le “condizione” quanto i presupposti dell'attività.

Si può allora ragionevolmente ipotizzare che il richiamo debba essere effettuato ai Presupposti e forme del provvedimento di cui all'art. 267 c.p.p.; norma in base alla quale «L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini».

L'utilizzo dei captatori informatici

L'ampiezza e complessità del dibattito suscitato dell'utilizzo dei c.d. trojan – o captatori informatici – in materia di intercettazioni, ha indotto il legislatore a prevedere nel comma 84 un ulteriore punto – lett. e) – della delega, con oggetto la disciplina delle «intercettazioni di comunicazioni o conversazioni tra presenti mediante immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili».

Si tratta, molto semplicemente “del” problema, essenziale per il presente e per il futuro – sul piano della legittimità come dell'efficacia – dello strumento di ricerca della prova “intercettazioni”.

Un numero sempre maggiore di comunicazioni (numero destinato a crescere) avvengono con modalità “criptate”, tali da vanificare l'utilizzo di un'intercettazione con forme tradizionali. In tutti questi casi l'unica intercettazione efficace è quella a mezzo di trojan o programmi similari, installati sul dispositivo nella disponibilità del soggetto intercettato; programmi con i quali è possibile monitorare – con modalità occulte ed in continuo – sia il flusso di comunicazioni riguardanti sistemi informatici o telematici, sia il contenuto, consentendo l'acquisizione, mediante copia, di dati presenti o futuri all'interno delle memorie di un dispositivo informatico.

Le due modalità sono state definite online surveillance e online search; la prima consente un monitoraggio costante delle attività compiute in rete – ossia di un flusso di dati trasmessi da un sistema telematico, compresi chat, sms, messaggi su social network e simili – laddove la seconda permette l'acquisizione, mediante copia, di dati contenuti all'interno delle memorie di un dispositivo informatico .

A fronte di un contrasto giurisprudenziale e in assenza di una normativa specifica, sul tema sono intervenute di recente le Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, 28 aprile 2016, n. 26889) per il cui commento si rinvia questa rivista (PARODI, Forme, condizioni e modalità delle intercettazioni a mezzo di virus informatico)

Le indicazioni della delega – nel momento nel quale saranno tradotte in legge – imporranno una rilettura del quadro delineato dalla S.C.

Il Legislatore si è fatto espressamente carico di alcuni problemi evidenziati da alcune recenti decisioni sul tema e delle perplessità espresse dalla dottrina, con particolare riguardo alla possibilità “indiscriminata” di captazione, anche in luoghi di privata dimora e in “assenza” del presupposto della commissione del reato.

In questo senso si è previsto che:

  • l'attivazione del microfono potrà avvenire solo in conseguenza di apposito comando inviato da remoto e non con il solo inserimento del captatore informatico, nel rispetto dei limiti stabiliti nel decreto autorizzativo del giudice;
  • la registrazione audio deve essere avviata dalla polizia giudiziaria o dal personale incaricato ai sensi dell'articolo 348, comma 4, c.p.p., su indicazione della polizia giudiziaria operante tenuta a indicare l'ora di inizio e fine della registrazione, secondo circostanze da attestare nel verbale descrittivo delle modalità di effettuazione delle operazioni di cui all'articolo 268 del medesimo codice;

Un'attività, quindi, che si può definire “a uomo presente”; non, pertanto, un'applicazione iniziale con conseguente indiscriminato utilizzo, ma un controllo costante sul monitoraggio. Inutile dire che tali indicazioni comportano, ove applicate, un “dispendio” di personale di straordinario rilievo, ma che le stesse aumentano il rischio che il soggetto intercettato (o qualcuno a lui “vicino”) possa percepire la presenza della P.G.

Due ulteriori indicazioni hanno poi una specifica valenza tecnica.

In primo luogo, il trasferimento delle registrazioni dovrà essere effettuato «soltanto verso il server della Procura così da garantire originalità ed integrità delle registrazioni»; inoltre al termine della registrazione il captatore informatico dovrà essere venga disattivato e reso definitivamente inutilizzabile su indicazione del personale di polizia giudiziaria operante. Si vuole quindi che non ci sia soluzione di continuità nella “catena di custodia” dei dati informatici e on si è voluto correre il rischio che captatori possano essere lasciati “disattivati” ma pronti a essere resi nuovamente operativi su device dei soggetti intercettati.

Dovranno poi essere utilizzati soltanto programmi informatici conformi a requisiti tecnici stabiliti con decreto ministeriale da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi menzionati dalla delega. L'indicazione prosegue evidenziando la necessità che si tenga «costantemente conto dell'evoluzione tecnica al fine di garantire che tale programma si limiti a effettuare le operazioni espressamente disposte secondo standard idonei di affidabilità tecnica, di sicurezza e di efficacia».

Il fatto che il Legislatore, visti i tempi di obsolescenza tecnologica, abbia dato tali indicazioni al riguardo è certamente scelta logica e condivisibile. Resta da capire come un decreto da emanare entro una specifica data possa tenere “costantemente conto” dell'evoluzione della tecnica. Verosimilmente la volontà del legislatore era quella – come accade in altri settori – di prevedere una revisione delle indicazioni tecniche a mezzo di una emanazione periodica di decreti.

L'ambito di applicazione delle disposizioni

La soluzione proposta dalle S.U. – sopra citata – ha costituito una significativa limitazione all'utilizzo del captatore informatico, in quanto ha escluso la possibilità di disporre in termini generali l'attività, con riguardo a quelle destinate a svolgersi in luoghi di privata dimora; la stessa decisione, tuttavia, è in qualche modo venuto incontro alle esigenze investigative, proponendo un'interpretazione “estensiva” del concetto di delitti in tema di criminalità organizzata, non rigidamente declinato sul piano normativo.

In questo senso, l'uso di intercettazioni captate attraverso i c.d. trojan è stato ritenuto legittimo nei procedimenti relativi alla criminalità organizzata, intendendosi per crimine organizzato non soltanto reati di mafia e terrorismo ma tutti quelli «facenti capo a un'associazione per delinquere, correlata alle attività criminose più diverse».

Pertanto, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, in base alla indicazioni delle S.U., devono intendersi sia quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., quanto quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato, dovendosi ritenersi al riguardo sufficiente la costituzione di un apparato organizzativo, la cui struttura sia tale da assumere un ruolo preminente rispetto ai singoli partecipanti (Cass.pen., Sez. unite, 11 maggio 2005, n. 17706)

L'indicazione della delega, tuttavia, non è sintonica rispetto a quella della S.C.; il Legislatore ha stabilito che l'attivazione del dispositivo potrà sempre essere ammessa nel caso in cui si proceda per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e, fuori da tali casi, nei luoghi di cui all'articolo 614 del codice penale soltanto qualora ivi si stia svolgendo l'attività criminosa, nel rispetto dei requisiti di cui all'articolo 266, comma 1, c.p.p. . E' stata così esclusa un'interpretazione “estensiva” del concetto di associazione per delinquere.

Un'ulteriore garanzia sul piano formale deve essere inoltre ravvisata laddove si è stabilito che il decreto autorizzativo del giudice deve – parrebbe in ogni caso – indicare le ragioni per le quali tale specifica modalità di intercettazione sia necessaria per lo svolgimento delle indagini.

Il coordinamento con le disposizioni di natura procedurale

La delega in tema di intercettazione è “corredata” dall'intervento su alcuni aspetti strettamente procedurali: taluni scontati; altri, al contrario, di grande momento.

In questo senso, pur avendo il Legislatore espressamente ribadito con la formula «fermi restando i poteri del giudice nei casi ordinari» (per certi aspetti non necessaria sul piano logico-sistematico) è stata richiamata la possibilità (connaturata al sistema in generale) per il pubblico ministero, ove ricorrano concreti casi di urgenza, di disporre le intercettazioni di cui alla presente lettera, «limitatamente ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale, con successiva convalida del giudice entro il termine massimo di quarantotto ore, sempre che il decreto d'urgenza dia conto delle specifiche situazioni di fatto che rendano impossibile la richiesta al giudice e delle ragioni per le quali tale specifica modalità di intercettazione sia necessaria per lo svolgimento delle indagini».

Al riguardo, si rileva tuttavia, non senza stupore, che l'intercettazione in via di urgenza non è prevista per le intercettazioni ordinarie, neppure laddove si possa presumere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa; una “lacuna” – sul piano sistematico – che potrebbe creare, in specifiche quanto delicate situazione investigative , non poche criticità.

Di grande rilievo l'indicazione di cui al punto 7 della lett e), che stabilisce che «i risultati intercettativi così ottenuti possano essere utilizzati a fini di prova soltanto dei reati oggetto del provvedimento autorizzativo e possano essere utilizzati in procedimenti diversi a condizione che siano indispensabili per l'accertamento dei delitti di cui all'articolo 380 del codice di procedura penale».

Se la seconda indicazione ricalca la logica generale dell'art. 270 c.p.p., dirompente è al contrario la prima, destinata a creare un “doppio binario” in tema di utilizzabilità. In concreto, per le intercettazioni a mezzo di captatore si verrebbe a escludere la possibilità di utilizzare le stesse – laddove legittimamente disposte e nell'ambito del medesimo procedimento – ove al termine delle indagini sia modificato il titolo di reato in contestazione, con previsione di reati che non avrebbero consentito tale forma di captazione. Una scelta tanto chiara quanto potenzialmente foriera di situazione – sul piano investigativo- certamente discutibili.

Ciò considerando che si tratterebbe di atti per i quali non è messa in discussione la legittimità della valutazione ex ante, quanto dichiarato non utilizzabili sulla base di elementi sopravvenuti. Al riguardo, si sottolinea che in termini generali devono ritenersi utilizzabili i risultati delle intercettazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le medesime sono consentite, anche quando al fatto venga successivamente attribuita una diversa qualificazione giuridica con la conseguente mutazione del titolo in quello di un reato per cui non sarebbe stato invece possibile autorizzare le operazioni di intercettazione (Cass.pen., Sez.I , 20 febbraio 2009, n. 19852,; conf. Cass.pen., Sez. I, 19 maggio 2010, n. 24163; Cass.pen., Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 22276).

I risultati, infine, di tali captazioni non potranno essere «in alcun modo conoscibili, divulgabili e pubblicabili» laddove «abbiano coinvolto occasionalmente soggetti estranei ai fatti per cui si procede».

Quest'ultima indicazione si fonda quindi su una duplice condizione negativa: i soggetti non dovranno solo essere “estranei” ai fatti ma anche “occasionalmente” coinvolti (laddove è evidente che soggetti stabilmente prossimi agli intercettati – anche se estranei – non potrebbero non essere coinvolti, anche solo per una questione di “collocazione”. Non chiarissimo poi l'oggetto del divieto, atteso che non è semplice individuare in cosa potrebbe consistere una “conoscibilità” differente ed alternativa alla “divulgabilità e pubblicabilità”.

Le indicazioni sulle spese in materia di intercettazioni

L'ultimissima modifica apportata durante l'esame del testo da parte del Senato ha avuto per oggetto la razionalizzazione delle spese relative alle intercettazioni; in un primo momento era stata ipotizzata l'introduzione di un apposti articolo (art. 38-bis) sul tema, con oggetto il «Riordino delle spese per le prestazioni obbligatorie e per le prestazioni funzionali alle operazioni di intercettazione e delega al governo per il coordinamento in materia di spese di giustizia». Il testo di tale articolo, con alcuni aggiustamenti, è stato infine recepito nei commi 88, 89 e 90 della stesura finale.

In particolare il comma 88 interviene “ai fini della ristrutturazione e della razionalizzazione” delle spese relative alle prestazioni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera i-bis), del T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia d.P.R. 115/2002, sull'articolo 96 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d.lgs. 259/2003, sostituendo nel lessico di settore, il termine repertorio con il termine decreto. Decreto del Ministero della Giustizia – di concerto con il Ministero delle Finanze – che avrà per oggetto l''adozione del canone annuo forfettario per le prestazioni obbligatorie e che dovrà essere emanato entro il 31 dicembre 2017, per una revisione delle voci di listino di cui al d.m. 7 maggio 2001, 104.

In base al comma 89, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge è previsto che decreto del Ministro della giustizia, dovranno essere definite, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, le prestazioni funzionali alle operazioni di intercettazione e determinate le corrispondenti tariffe. Il decreto dovrà essere aggiornato ogni due anni, sulla base delle innovazioni scientifiche, tecnologiche ed organizzative e delle variazioni dei costi dei servizi. Infine, in base al comma 90, ai fini della razionalizzazione delle spese relative alle prestazioni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera i-bis), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, d.P.R. 115/2002, il Governo è delegato ad adottare, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi per armonizzare le disposizioni di cui ai commi 89 e 90 con quelle di cui al predetto d.P.R. 115/2002.

In conclusione

In concreto si può ritenere che la delega anche se limitata a specifici aspetti del sistema intercettazioni è destinata a esercitare un forte impatto sull'utilizzo delle stesse. Da un lato imponendo un'attività di selezione e filtro del materiale frutto delle captazioni, espressivo di una maggiore attenzione per gli interessi dei soggetti coinvolti delle comunicazioni. Una nuova prospettiva apprezzabile e verosimilmente inevitabile, che tuttavia determinerà un non irrilevante “aggravio” per la P.G. così come per l'attività degli uffici giudiziari. Aggravio che sarà conseguenza anche dell'intervento in tema di utilizzo dei captatori, ferme restando anche le criticità che potrebbero derivare da una lettura “restrittiva” dell'uso degli stessi che dalla delega potrebbe essere determinata.

Guida all'approfondimento

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai lavori parlamentari del provvedimento Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario AC 4368 – relatrice Donatella Ferranti (PD) e ai dossier e schede di lettura predisposti dal Servizio studi della Camera dei deputati. Si veda, inoltre, i testi delle proposte da cui ha avuto origine il testo unificato definitivamente approvato, tra i quali si segnala, in particolare, il d.d.l. di iniziativa governativa (C. 2798-S. 2067, Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena

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