Circostanze del reato e concorso di persone. Estensibilità condizionata dell’attenuante della riparazione

Vanessa Spaziani Testa
24 Novembre 2015

Ricostruita la disciplina della c.d. comunicabilità o estensibilità delle circostanze ai concorrenti nel reato, verrà in particolare esaminata la questione della fruibilità della circostanza attenuante del risarcimento del danno ex art. 62, n. 6, c.p. da parte del compartecipe diverso da colui il quale, prima del giudizio, ha provveduto all'integrale ristoro del danno in favore della vittima.
Abstract

Le circostanze sono, come si suol dire, accidentalia delicti: elementi che “stanno intorno” al reato, che ben possono mancare senza che il reato stesso venga meno. Loro funzione precipua è permettere al giudice – entro i confini legislativamente prefissati – di adeguare la pena ai vari casi criminosi che la realtà prospetta.

Interessanti appaiono i profili di interferenza con il concorso di persone nel reato: l'istituto, com'è noto, disciplina i casi in cui più persone concorrono alla realizzazione del medesimo reato.

Più precisamente, in questa sede verrà affrontato il problema della comunicabilità delle circostanze ai diversi soggetti agenti in concorso. Ci si chiede, cioè, se la circostanza applicabile ad uno solo dei partecipi sia o meno estensibile anche agli altri correi.

L'evoluzione normativa

Ai fini della presente analisi, pare utile prendere le mosse dal disposto dell'art. 70 c.p., poiché tale norma assume(va) un ruolo cruciale in subiecta materia.

L'art. 70 c.p. reca la distinzione tra circostanze oggettive e circostanze soggettive. Sono definite oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell'offeso.

Sono, invece, qualificate come soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l'offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole. Infine, l'ultimo comma precisa che Le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano la imputabilità e la recidiva.

Orbene, la predetta distinzione, come anticipato, assume(va) precipuo rilievo nell'ambito della quaestio della estensibilità delle circostanze a tutti i compartecipi.

L'art. 118 c.p., infatti, nella sua versione originaria, dettava una disciplina differenziata a seconda del carattere oggettivo o soggettivo – da determinare alla luce del citato art. 70 c.p. – della circostanza che, di volta in volta, veniva in rilievo.

Le circostanze oggettive, tanto attenuanti che aggravanti, si estendevano a tutti i concorrenti, ancorché da taluno di essi non conosciute (in ossequio, del resto, al criterio rigorosamente oggettivo cui il nostro codice si ispirava, prima della riforma del 1990, nella disciplina delle circostanze del reato).

Per contro, le circostanze soggettive non si comunicavano, eccezion fatta per le aggravanti soggettive che fossero servite ad agevolare l'esecuzione del reato (ad es. la premeditazione).

Attualmente, così come modificato dall'art. 3 della legge 19/1990 (che ha riformato, come di qui a breve si dirà, il regime di imputazione delle circostanze), l'art. 118 c.p. si limita a sancire la regola della non comunicabilità delle circostanze, sia aggravanti sia attenuanti, concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole (ovverosia imputabilità e recidiva: cfr. art. 70, ultimo comma, c.p.).

Le indicate circostanze, dunque, secondo quanto prevede espressamente l'art. 118 citato, sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono.

Il disposto normativo appare chiaro e sembra escludere che possano continuare ad essere seguiti i percorsi esegetici costruiti sul previgente testo dell'art. 118 c.p.

Ben si comprendono, allora, le perplessità suscitate da quell'orientamento giurisprudenziale che, nonostante l'intervenuta modifica dell'art. 118 c.p., seguita a far leva sulla natura – oggettiva ovvero soggettiva – delle circostanze al fine di individuarne il regime di comunicabilità.

Emblematica, a tal proposito, la presa di posizione in merito alla premeditazione.

Come rammentato in precedenza, nel vigore del vecchio testo dell'art. 118 c.p., la premeditazione – in quanto riconducibile alla categoria delle aggravanti soggettive servite ad agevolare l'esecuzione del reato (per le quali non valeva la regola generale della non comunicabilità delle circostanze soggettive) – si estendeva a tutti i concorrenti.

Pur dopo la novella del 1990, non sono mancate pronunce che hanno esteso la premeditazione ai concorrenti che ne avevano avuto effettiva consapevolezza.

Un simile approccio ermeneutico non è andato esente da critiche.

In particolare, si è rimarcato che la premeditazione attiene all'intensità del dolo, di talché ne resta preclusa la comunicabilità agli altri compartecipi: l'art. 118 c.p., infatti, per le circostanze ivi indicate (tra cui, appunto, quelle concernenti l'intensità del dolo), pone la regola della inestensibilità agli altri concorrenti, a prescindere dal loro atteggiamento psicologico.

Quid iuris per le circostanze non contemplate dall'art. 118 c.p.?

Chiarito tutto quanto precede, non può non prendersi atto che l'art. 118 c.p. non è esaustivo, essendo ivi menzionate solo talune circostanze.

Ci si chiede, allora, quale sia la disciplina applicabile a tutte le altre circostanze.

La risposta al quesito non può prescindere dall'esame del regime di imputazione delle circostanze di cui all'art. 59 c.p. che – come anticipato – ha subìto una significativa modifica per effetto della legge 19/1990.

Ferma l'irrilevanza del putativo – oggi come ieri, le circostanze ritenute erroneamente esistenti non sono valutate né a carico del soggetto né a suo favore (art. 59, comma 3, c.p.), diversamente, peraltro, da quanto accade per le cause di giustificazione (cfr. art. 59, ultimo comma, c.p.) – prima della citata novella le circostanze venivano attribuite in base ad un criterio puramente obiettivo: sia le attenuanti sia le aggravanti operavano in virtù della loro mera esistenza, ininfluente essendo la conoscenza o conoscibilità che l'autore del reato ne avesse.

Nulla quaestio circa l'imputazione obiettiva delle circostanze attenuanti: stante la favorevole incidenza sul trattamento punitivo, la regola della loro obiettiva rilevanza appariva conforme al principio del favor rei né sollevava problemi in punto di rispetto del principio di colpevolezza.

A conclusioni diametralmente opposte, invece, conduceva l'operatività di un criterio meramente obiettivo con riguardo all'imputazione delle circostanze aggravanti: ben poteva accadere, infatti, che il reo subisse l'aggravamento di pena connesso ad una circostanza aggravante nonostante ne ignorasse l'esistenza.

Si trattava, com'è evidente, di un'applicazione del principio qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu.

È stato, pertanto, salutato con favore l'intervento legislativo del 1990: ferma la rilevanza meramente obiettiva delle circostanze attenuanti, è stata dettata una diversa regola per le aggravanti.

Il legislatore ha voluto affermare, anche su questo terreno, il principio di colpevolezza, onde assicurare piena attuazione al canone nulla poena sine culpa.

Si sono valorizzate le implicazioni scaturenti dalle famose sentenze della Consulta n. 364/1988 e n. 1085/1988: l'avvenuta costituzionalizzazione del principio di colpevolezza, argomentata sulla base del collegamento sistematico dei commi primo e terzo dell'art. 27 Cost., esplica i propri effetti sull'intero sistema penale.

Se il principio di personalità della responsabilità penale ex art. 27 Cost. va inteso non solo nel senso (restrittivo) di divieto di responsabilità per fatto altrui, bensì in quello (più ampio e pregnante) di responsabilità per fatto proprio colpevole, ne deriva che l'applicazione della pena presuppone l'attribuibilità psicologica del fatto al suo autore.

Ecco, allora, che per effetto della legge 19/1990 l'attuale comma 2 dell'art. 59 c.p. stabilisce che le circostanze aggravanti trovano applicazione solo se conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.

Il rispetto del principio di colpevolezza ha dunque imposto la necessaria sussistenza di un coefficiente soggettivo: affinché le circostanze aggravanti possano essere accollate al reo è imprescindibile la loro effettiva conoscenza ovvero la loro colpevole ignoranza.

Tale essendo l'attuale regime di imputazione delle circostanze, pare ragionevole sostenere che le circostanze non riconducibili a quelle menzionate nell'art. 118 c.p. soggiacciano alle regole dettate dall'art. 59, commi 1 e 2,c.p.

Pertanto, le circostanze attenuanti – stante la regola della loro obiettiva rilevanza – sono estensibili ai compartecipi; per contro, le circostanze aggravanti – lungi dall'estendersi indiscriminatamente a tutti i correi – si applicano soltanto a quei concorrenti da cui erano conosciute o conoscibili, non potendo l'imputazione dell'aggravante prescindere da un coefficiente di colpevolezza.

La riparazione del danno

Così ricostruita la disciplina della comunicabilità delle circostanze nel concorso di persone nel reato, preme focalizzare l'attenzione sull'attenuante della riparazione del danno.

L'art. 62, n. 6, c.p., accanto all'ipotesi circostanziale dell'adoperarsi in modo spontaneo ed efficace al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato, prevede quella della integrale riparazione del danno, mediante risarcimento prima del giudizio.

La circostanza de qua presuppone che il ristoro del danno sia effettivo ed integrale, in modo che siano compensati sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale.

In giurisprudenza è controverso se l'attenuante in parola sia configurabile allorché il risarcimento avvenga ad opera dell'istituto assicuratore.

In senso affermativo si è espressa, con sentenza 138/1998, la Corte Costituzionale. Ad avviso della Consulta (e contrariamente ad una dottrina lungamente dominante), l'attenuante del risarcimento del danno ha carattere oggettivo: il fatto che il risarcimento debba essere integrale è indice – secondo il giudice delle leggi – non solo dell'irrilevanza dell'atteggiamento interiore del reo ma altresì del preminente risalto che si è inteso attribuire alla figura della persona offesa ed alla esigenza che il pregiudizio subito a causa del comportamento criminoso sia interamente ristorato.

Con una sentenza interpretativa di rigetto, la Corte costituzionale ha dunque affermato che la corretta interpretazione dell'art. 62, n. 6, c.p. è nel senso che l'attenuante della riparazione del danno ivi prevista ha natura essenzialmente oggettiva; pertanto, detta circostanza opera anche quando l'intervento risarcitorio, comunque riferibile all'imputato, sia compiuto, prima del giudizio, dall'ente assicuratore.

Nel caso in cui l'autore del risarcimento sia un concorrente nel reato, quanto supra precisato in punto di comunicabilità delle circostanze attenuanti induce a concludere nel senso che la circostanza di cui si discorre – in quanto attenuante non ricompresa nella previsione di cui all'art. 118 c.p. – si estende ai compartecipi.

Sennonché deve prendersi atto che le Sezioni unite della Corte di cassazione, nel 2009, con la sentenza n. 5941, hanno statuito che, nell'ipotesi di concorso di persone in cui un solo concorrente abbia provveduto all'integrale risarcimento del danno, l'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, prima parte, c.p. non si estende ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una tempestiva e concreta volontà di riparazione del danno.

Le Sezioni unite, pur occupandosi del caso specifico in cui il terzo autore del risarcimento sia un concorrente nel reato, svolgono considerazioni generali valevoli per tutti i casi in cui la riparazione sia materialmente eseguita da un soggetto diverso dal reo che invoca l'attenuante.

Giova ripercorrere, seppur sommariamente, l'iter argomentativo seguito dai giudici di legittimità.

La Cassazione muove dalla constatazione che la giurisprudenza, in linea di massima, tende a negare che il colpevole possa giovarsi del risarcimento effettuato da un terzo, a ciò ostando la natura soggettiva dell'attenuante in esame: tale attenuante, infatti, suole essere ricondotta tra quelle concernenti i rapporti tra il colpevole e l'offeso (cfr. art. 70, comma 1, n. 2, c.p.) ed è intesa – conformemente alle indicazioni contenute nella Relazione ministeriale di accompagnamento al codice (in cui si pone l'accento sul profilo psicologico e volontaristico della condotta del colpevole) – quale segno di diminuita capacità a delinquere.

Se anteriormente alla riforma realizzata con la più volte citata legge 19/1990 il carattere oggettivo o soggettivo dell'attenuante appariva decisivo al fine di individuare la disciplina applicabile (atteso che l'art. 118 c.p. vecchio testo sanciva, come visto, la non comunicabilità delle circostanze soggettive e, all'opposto, la estensibilità di quelle oggettive), l'attuale versione dell'art. 118 c.p. impone – ad avviso della suprema Corte – di rimeditare la questione.

Ove si volesse continuare a negare l'estensibilità dalla circostanza in esame, si dovrebbe ritenere che la riparazione (non riguardi i rapporti tra il colpevole e l'offeso, bensì) sia riconducibile ad una delle categorie non estensibili indicate dall'art. 118 c.p. oppure si dovrebbe sostenere che l'art. 118 medesimo, nella sua attuale formulazione, non implichi che le circostanze diverse da quelle menzionate debbano necessariamente applicarsi a tutti gli autori del reato.

Le Sezioni unite – segnalata la difficile praticabilità di entrambi tali sentieri ermeneutici ed affermato che, ai fini della fruibilità dell'attenuante del risarcimento del danno, l'ipotesi in cui a provvedere alla riparazione sia un correo non differisce rispetto al caso in cui il risarcimento provenga da un qualsiasi terzo – evidenziano che l'attenuante in parola presuppone necessariamente che il reato a cui si riferisce sia stato già consumato.

La riparazione è condotta successiva all'esaurimento del reato, sicché essa è fuori dal concorso di persone, essendosi il concorso dissolto con il perfezionamento della fattispecie criminosa. Ciò significa che la condotta riparatrice non confluisce nella struttura unitaria del reato di cui all'art. 110 c.p., con la conseguenza che l'art. 118 c.p. non può trovare applicazione.

Ne deriva che, per stabilire se opera o meno l'attenuante del risarcimento del danno, occorre – secondo il giudice della nomofilachia – fare riferimento soltanto al disposto dell'art. 62, n. 6, prima parte, c.p., anche quando la riparazione sia effettuata da un terzo, sia pure questi un correo.

Ebbene, la locuzione l'avere … riparato, contenuta nella disposizione de qua, richiede, per integrarsi, non solo la sussistenza dell'evento ma, altresì, la volontà di riparazione.

A tal proposito, viene richiamata la suindicata sentenza della Corte Costituzionale: pur avendo sposato la tesi della natura oggettiva dell'attenuante in discorso, la Consulta ha nondimeno precisato la necessità che l'intervento risarcitorio sia comunque riferibile all'imputato.

Le Sezioni unite declinano diversamente il criterio della “riferibilità” a seconda che si verta in materia di delitti colposi ovvero dolosi: se nel primo caso è assegnata rilevanza anche all'aver stipulato un contratto di assicurazione o all'aver rispettato gli obblighi assicurativi, nel secondo, invece, si richiede una concreta e tempestiva volontà di riparare il danno cagionato.

Tale assunto, con specifico riguardo al concorso di persone, implica – precisano le Sezioni unite – che se uno dei correi ha già provveduto in via integrale al risarcimento, l'altro, per potersi anche lui giovare dell'attenuante della riparazione del danno, dovrà, ad esempio, rimborsare nei tempi utili il complice più diligente o comunque dimostrare di avere avanzato una seria e concreta offerta di integrale risarcimento.

In conclusione

Con riferimento all'attenuante della riparazione del danno, la Corte di cassazione ha adottato un'impostazione sui generis: pur affermando che, dopo la novella del 1990, non si può più continuare a far leva sulla natura oggettiva o soggettiva della circostanza, non si è però addentrata nell'interpretazione dell'art. 118 c.p., ritenuto nella specie non applicabile: l'attenuante de qua, rappresentando un posterius rispetto alla consumazione del reato, sfugge alla disciplina dettata dal citato art. 118.

I giudici di legittimità, dunque, non prendono posizione sulla più generale tematica del regime di comunicabilità delle circostanze non comprese nell'art. 118 c.p.; nondimeno, hanno dato atto della necessità di un ripensamento delle tradizionali coordinate ermeneutiche.

Come evidenziato in precedenza, un'interpretazione sistematica – che tenga conto dell'attuale disciplina contenuta nell'art. 59 c.p. – e costituzionalmente orientata – che valorizzi il principio di colpevolezza – impone l'applicazione delle attenuanti a tutti i concorrenti e delle aggravanti solo a quelli, tra di essi, che le conoscevano o avrebbero dovuto conoscerle.

Sennonché, la giurisprudenza, il più delle volte, continua a ragionare come se fosse ancora in vigore il vecchio testo dell'art. 118 c.p., motivando la decisione sulla estensibilità o meno delle circostanze in base alla natura – oggettiva o soggettiva – delle stesse.

Di recente, la Cassazione ha ad esempio affermato, con riguardo all'aggravante comune di cui al n. 9 dell'art. 61 c.p., che, trattandosi di circostanza che riguarda una modalità dell'azione e avente quindi natura oggettiva (cfr. art. 70, comma 1, c.p.), la stessa, se effettivamente esistente, si comunica al correo ai sensi dell'art. 118 c.p.

Come si vede, l'argomentazione della Corte poggia sulla dicotomia circostanza oggettiva/circostanza soggettiva, che però, lo si ripete, non ha più rilievo decisivo, stante la nuova (si fa per dire) formulazione del più volte citato art. 118.

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