Condotta illecita sul testimone e utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni

25 Agosto 2015

Da quali elementi si desume la condotta illecita sul testimone che comporta l'utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni ex art. 500, commi 4 e 5, c.p.p.?

Da quali elementi si desume la condotta illecita sul testimone che comporta l'utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni ex art. 500, commi 4 e 5, c.p.p.?

Nell'immediatezza dell'entrata in vigore della nuova disciplina è sorto un'accesa discussione in merito agli elementi dai quali desumere l'esistenza di una condotta illecita. La querelle è stata generata dall'ambiguo tenore lessicale dell'art. 500, comma 4, c.p.p. Secondo un primo indirizzo, invero minoritario, l'inquinamento probatorio non può essere desunto dalle sole circostanze emerse dal dibattimento e richiede necessariamente la presenza di ulteriori elementi (Cass. pen., Sez. III, 8 ottobre 2009, n. 48140; Cass. pen., Sez. I, 2 marzo 2007, n. 11203). L'effetto, ovviamente, è quello di restringere la portata applicativa della deroga al contraddittorio e la conseguente utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni. Un secondo orientamento esegetico non circoscrive a priori il novero delle risultanze dalle quali si può trarre la prova dell'inquinamento della fonte dichiarativa e lascia aperta la possibilità di porre a base della relativa valutazione anche le sole modalità della deposizione dibattimentale, purché la prova sia tratta da elementi concreti (ex multis Cass. pen., Sez. V, 2 dicembre 2011, n. 10444). La Cassazione si è pronunciata, ad esempio, in merito ad una fattispecie in cui detti elementi concreti sono stati individuati nel comportamento dei testimoni che hanno sconfessato la ritrattazione delle precedenti dichiarazioni accusatorie e non hanno saputo spiegare gli improvvisi vuoti di memoria rispetto a fatti accaduti meno di un anno prima delle deposizioni (Cass .pen., Sez. II, 14 gennaio 2009, n. 5224). La Suprema Corte si è espressa, inoltre, in relazione al riavvicinamento tra imputato e persona offesa quale elemento idoneo ad incidere sulla genuinità dell'esame (Cass. pen., Sez. III, 13 giugno 2007, n. 33817; Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 2006, n. 38109).

La risposta al quesito si rinviene ove si ricorra ad un approccio sostanziale e si tenga presente che non conta tanto la delimitazione degli elementi dai quali si può desumere la prova della condotta illecita sul dichiarante quanto il grado di persuasione che si può trarre dagli stessi nel caso concreto.

Ovviamente resta fermo che la condotta illecita rappresenta un fatto processuale ex art. 187, comma 2, c.p.p. e, dunque, il relativo standard probatorio non è l'al di là del ragionevole dubbio – parametro destinato a riferirsi ai fatti di cui all'imputazione – bensì un quantum assimilabile, con qualche approssimazione, al concetto civilistico del più probabile che non (Cass. pen., Sez. VI, 24 gennaio 2012, n. 14415).

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