La nuova fisionomia del decreto penale di condanna dopo la legge Orlando
26 Luglio 2017
Abstract
Il decreto penale di condanna, pur essendo nella sua conformazione standard, un rito marcatamente inquisitorio ha avuto negli anni una discreta fortuna. L'emissione di un provvedimento inaudita altera parte e la previsione di un contraddittorio differito ed eventuale (quale conseguenza dell' opposizione dell'imputato) ne sono i caratteri peculiari che lo rendono un unicum nello scacchiere del codice di rito Tuttavia, nonostante questi caratteri “originali” per un processo dichiaratamente accusatorio quale vuole essere quello nostrano, a fronte delle vistose deroghe al modello tradizionale di accertamento, esso presenta degli indubbi vantaggi per l'imputato. Innanzitutto, l'aspetto premiale più evidente è che il pubblico ministero è legittimato a chiedere l'applicazione di una pena pecuniaria in una misura pari sino alla metà del minimo edittale. In secondo luogo, al decreto non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e l'applicazione di pene accessorie e non ha efficacia di giudicato in sede extra penale. Il reato si estingue se, nel termine di cinque anni per i delitti e due per le contravvenzioni, il condannato non commetta ulteriori delitti (di qualsiasi natura o indole) o contravvenzioni della stessa indole, e l'estinzione concerne anche gli ulteriori effetti penali della condanna. Da ultimo è prevista la non menzione della condanna nei certificati richiesti dai privati o dalla pubblica amministrazione Proprio l'aspetto premiale è quello su cui più marcatamente sembra intervenire la riforma Orlando, prevedendo un criterio ad hoc di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria. Se originariamente tale modifica doveva avere portata generale, venendo inserita anche nell'articolo 135 c.p., nel testo definitivamente approvato così non è stato. Il legislatore ha infatti stabilito che nel solo caso di conversione in sede di decreto penale, un giorno di detenzione, è pari a 75 € aumentabili sino al triplo. Per contro resta immutato negli altri casi il disposto dell'art. 135 c.p., per cui il criterio generale rimane quello di un valore pari a 250 € (o frazione), trovando così conferma l'assunto che il procedimento per decreto rappresenta una scommessa importante del legislatore nell'ottica deflattiva. La fisionomia del procedimento per decreto prima della riforma
Il procedimento per decreto si colloca, tra i riti alternativi, come quello in cui maggiore è il vantaggio deflattivo conseguito dall'ordinamento. Il nucleo fondamentale del decreto penale di condanna è costituito da un provvedimento attraverso il quale il giudice per le indagini preliminari applica, su richiesta del pubblico ministero, una pena pecuniaria anche in sostituzione di una pena detentiva. Pertanto, salvo quanto si osserverà a proposito dei possibili sbocchi conseguenti alla opposizione, rispetto al rito ordinario risultano escluse sia la fase dell'udienza preliminare che il dibattimento. A ciò deve anche aggiungersi come non sia prevista la preventiva notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e, verosimilmente, l'imputato avrà contezza di essere sottoposto a procedimento penale mediante un atto potenzialmente anche idoneo a concluderlo. Il procedimento si instaura solo ed esclusivamente a richiesta del pubblico ministero che ritiene applicabile in concreto una pena pecuniaria anche in sostituzione di pena detentiva. Questi, nel termine di sei mesi dall'iscrizione del nome della persona indagata nel registro delle notizie di reato, esercita l'azione penale con la richiesta motivata al giudice per le indagini preliminari di emissione di un decreto penale di condanna indicando la misura della pena (art. 459, comma 1, c.p.p.). A differenza del passato, possono essere definiti nelle forme del decreto penale indistintamente i delitti e le contravvenzioni, in quanto l'unico parametro di riferimento è la scelta in concreto del pubblico ministero di richiedere l'applicazione di una pena pecuniaria (anche frutto di conversione di pena detentiva). Tuttavia la scelta non risulta praticabile, per espressa previsione normativa, ove si debba applicare una misura di sicurezza personale (art. 459, comma 5, c.p.p.) ovvero nel processo con imputati minorenni o per reati di competenza del giudice di pace. A fare da contraltare alla palesata economicità del rito, occorre ricordare sin da subito come si tratti di un rito premiale. Il pubblico ministero potrà infatti chiedere l'applicazione di una pena ridotta fino alla metà del minimo edittale. Egli, contestualmente alla richiesta, dovrà trasmettere al Gip il proprio fascicolo che costituirà l'unico materiale conoscitivo a disposizione del giudice per le indagini preliminari. Peraltro, come pure si avrà modo di approfondire in prosieguo, la premialità del rito risulta ulteriormente accentuata con la riforma Orlando che, esclusivamente per questo procedimento, ha ridotto il tasso di conversione tra pena pecuniaria e pena detentiva a 75€ (e non a 250 € come è previsto per tutti gli altri casi dall'art. 135 c.p.). Al Gip che riceve la richiesta, compete una preliminare verifica della propria competenza e nonché controllare se ricorra alcune delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p. In caso di esito positivo della prima valutazione (competenza) e negativo della seconda (ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p.) se accoglie la richiesta emette il decreto penale di condanna senza poter in alcun modo modificare la misura della pena richiesta dal pubblico ministero. L'emissione del decreto interrompe il termine di prescrizione. Il contenuto del decreto trova la propria disciplina nell'articolo 460 c.p.p., alla stregua del quale esso deve contenere: le generalità dell'imputato e, se presente, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria; l'enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate; la concisa enunciazione dei motivi in fatto ed in diritto posti alla base della decisione anche rispetto all'entità della pena; il dispositivo; l'avviso che l'imputato ed il civilmente obbligato possono opporre il decreto penale nel termine di quindici giorni dalla notifica dello stesso e che l'imputato, con l'atto di opposizione (e solo con quello), può chiedere il giudizio immediato, il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p.; l'avviso che in caso di mancata opposizione il decreto diventa definitivo; l'avviso per l'imputato ed il civilmente obbligato della possibilità di nominare un difensore; la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario. Rispetto al contenuto testé riportato, mancava il riferimento alla possibilità di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova introdotta dalla legge 67 del 2014, in quanto nell'art. 460, comma 1, lett. e) c.p.p. non era stato previsto alcun avviso in ordine a tale possibilità. Sul punto è recentemente intervenuta la Corte costituzionale che, equiparando la messa ala prova agli altri riti alternativi, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 460, comma 1, lett. e) c.p.p. nella parte in cui non contemplava tra gli avvisi la possibilità di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova (Corte cost., 21 luglio 2016, n. 201). Accanto al contenuto necessario che deve essere presente in ogni decreto penale, il giudice può altresì disporre un provvedimento di confisca ex art. 240, comma 2, c.p. ovvero di restituzione delle cose all'avente diritto, nonché la sospensione condizionale della pena. Il decreto deve essere comunicato al querelante e al pubblico ministero e notificato al condannato, al suo difensore e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria (art. 460, comma 3, c.p.p.). Laddove risultasse impossibile la notifica nel domicilio eletto o dichiarato dall'imputato ovvero in caso di irreperibilità, latitanza o in caso di evasione il decreto penale è revocato e gli atti vengono restituiti al pubblico ministero (art. 460, comma 4, c.p.p.). Dal punto di vista premiale, il pubblico ministero può chiedere una pena ridotta fino alla metà del minimo edittale, inoltre al decreto non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e l'applicazione di pene accessorie, e non ha efficacia di giudicato in sede extra penale. Inoltre il reato si estingue se nel termine di cinque anni per i delitti e due per le contravvenzioni il condannato non commetta ulteriori delitti (di qualsiasi natura o indole) o contravvenzioni della stessa indole e in tal caso l'estinzione concerne anche gli ulteriori effetti penali, ed è infine prevista la non menzione nella condanna nei certificati richiesti dai privati o dalla pubblica amministrazione. Gli scenari conseguenti all'opposizione a decreto penale
Ai sensi dell'art. 461 c.p.p. l'imputato e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria nonché i rispettivi difensori, possono opporre il decreto penale di condanna nel termine perentorio di quindici giorni dalla notifica dello stesso. Nel corso di tale arco temporale il fascicolo resta nella cancelleria del Giudice per le indagini preliminari che ha emesso il provvedimento, a disposizione delle parti (art. 461, comma 1, c.p.p.). L'opposizione a decreto penale va proposta attraverso dichiarazione sottoscritta dalla parte o dal proprio difensore anche senza procura speciale (la cui necessarietà potrebbe al più dipendere dal tipo di rito scelto) che, a pena di inammissibilità, deve contenere: gli estremi del decreto, la data e l'indicazione del giudice che lo ha emesso (art. 461, comma 2, c.p.p.). Nel suddetto termine di quindici giorni dalla notifica, l'atto deve essere depositato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento ovvero nella cancelleria del tribunale del luogo in cui si trova l'opponente. Il decreto diventa esecutivo se non è opposto o se l'opposizione è inammissibile. Nel giudizio conseguente all'opposizione, non opera il divieto di reformatio in peius. Malgrado ciò, alla luce della ricostruzione che precede, appare senz'altro condivisibile la tendenza ad assimilare l'opposizione a decreto penale ai comuni mezzi di impugnazione, estendendo per esempio anche la possibilità di rinunciare all'opposizione prima della formale revoca del decreto penale. L'atto di opposizione presentato soltanto da alcuni coimputati, ha efficacia sospensiva nei confronti di tutti fino a che il giudizio conseguente non sia definito con sentenza passata in giudicato, in quanto l'esito positivo del giudizio, almeno per alcune formule, dovrà valere anche nei confronti dei coimputati e del civilmente obbligato (artt. 463, commi 1 e 2, e 464, comma 5, c.p.p.). Con l'atto di opposizione, l'imputato dovrà scegliere se il successivo giudizio seguirà le forme: del giudizio immediato, del giudizio abbreviato (semplice o condizionato), del patteggiamento, o dell'oblazione (art. 461, comma 3, c.p.p.) ovvero della sospensione del processo con messa alla prova (art. 464-bis, comma 2, c.p.p.). L'atto di opposizione rappresenta dunque per l'opponente una deadline in quanto l'opzione per l'itinerario processuale da seguire dovrà essere formulata esclusivamente con l'atto di opposizione, non potendosi riservare tale scelta al successivo giudizio. In altri termini, è senz'altro preclusa la possibilità di prevedere un'opposizione in due fasi, con una prima in cui si manifesti esclusivamente l'animus opponendi e una seconda in cui si scelga il rito, tuttavia è invece possibile formulare l'atto di opposizione in termini alternativi (per esempio avanzare un'istanza di patteggiamento e in subordine una richiesta di giudizio abbreviato). Alla definizione del giudizio con il rito immediato può giungersi in due modi: o attraverso una esplicita scelta in tal senso dell'opponente ovvero tramite la semplice opposizione senza alcuna indicazione circa il rito prescelto. Nell'uno come nell'altro caso, il giudice per le indagini preliminari che ha emesso il decreto penale, ricevuta l'opposizione, emetterà ai sensi dell'art. 456, commi 1, 3 e 5, c.p.p. il decreto di giudizio immediato innanzi al giudice competente. L'avviso sarà notificato alle parti almeno trenta giorni prima dell'udienza. Il giudice del dibattimento procede innanzitutto alla revoca del decreto penale, dopodiché il processo seguirà il suo naturale corso. Al termine dell'istruttoria, nel bene e nel male l'esito non risente del decreto e, dunque, tanto potrà esserci una sentenza di assoluzione quanto di condanna, e in tal caso la pena potrà essere più afflittiva rispetto a quella irrogata con il decreto opposto (art. 464, commi 1 e 3, c.p.p.). In caso di richiesta di giudizio abbreviato, il giudice fissa con decreto l'udienza innanzi ad altro Gip, dell'udienza è dato avviso al pubblico ministero, all'imputato e al suo difensore ed alla persona offesa almeno cinque giorni prima dell'udienza. Il procedimento seguirà la disciplina contenuta negli artt. 438 e ss. c.p.p. Laddove dovesse poi ricorrere l'ipotesi di cui all'art. 441-bis, comma 4, c.p.p., il giudice, revocato il provvedimento con cui ha ammesso il rito, fisserà l'udienza per il giudizio immediato innanzi al giudice competente (art. 464, comma 1, c.p.p.). Nell'ipotesi in cui venga rigettata la richiesta di rito abbreviato condizionato il giudice fisserà direttamente l'udienza per il giudizio conseguente all'opposizione e in quella sede l'imputato potrà rinnovare la richiesta prima della apertura del dibattimento. La terza alternativa è la richiesta di patteggiamento. Presentata la proposta di accordo sulla pena con l'atto di opposizione, il Giudice ricevente individuerà un termine per acquisire il consenso del pubblico ministero (a cui la richiesta va notificata a cura del richiedente). Se nel termine stabilito non dovesse giungere il consenso, il giudice disporrà il giudizio immediato (art. 464, comma 1, c.p.p.). Anche in caso di rigetto della richiesta è consentita la pedissequa rinnovazione della medesima istanza prima dell'apertura del conseguente dibattimento. Per i reati contravvenzionali, fatta eccezione per quelli puniti cumulativamente con arresto e ammenda, l'imputato può chiedere di essere ammesso all'oblazione (artt. 162 e 162-bis c.p.). In caso di accoglimento, il giudice per le indagini preliminari stabilisce l'importo ed il termine entro il quale lo stesso deve essere pagato. Notificato il provvedimento di ammissione all'opponente a cura della cancelleria, questi dovrà adempiere al pagamento nel termine stabilito e il giudice, una volta ottenuta la prova dell'avvenuto adempimento, dichiarerà estinto il reato (art. 464, comma 2, c.p.p.).Viceversa, in caso di rigetto, si procederà con il giudizio immediato in quanto prevale la volontà di opporsi rispetto ad una eventuale pronuncia di inammissibilità, ferma la possibilità di rinunciare all'opposizione. L'ultima alternativa possibile è la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova ai sensi dell'art. 464-bis c.p.p. In tal caso l'imputato è tenuto a produrre, con l'atto di opposizione, il programma di trattamento predisposto d'intesa con l'Uepe (è sufficiente anche la sola richiesta di programma avanzata al predette Ufficio esecuzione penale esterna) che dovrà poi essere valutato ed eventualmente concesso dal giudice secondo le modalità ordinarie di cui agli artt. 464-bis ss., c.p.p. Se la prova dà esito positivo, il giudice dichiara l'estinzione del reato con sentenza, in caso negativo il processo riprende il suo corso e procede nelle forme del giudizio immediato. Peraltro la Suprema Corte ha recentemente precisato che nel decreto penale di condanna il giudice competente a decidere sulla richiesta formulata dall'imputato non può che essere il giudice procede, ossia «il giudice per le indagini preliminari che ha emesso il decreto che, avendo la disponibilità del fascicolo, deve essere considerato il giudice che (ancora) procede» (Cass. pen. Sez. I, 4 maggio 2017, n. 21324). Si è a lungo discusso della possibilità che il giudice per le indagini preliminari, investito dell'opposizione de plano pronunci sentenza ex art. 129 c.p.p. Invero, nonostante non mancassero anche evidenze di segno opposto (il riferimento alla possibilità di una tale pronuncia in ogni stato e grado del procedimento, ovvero i canoni di celerità e speditezza processuale che sarebbero in tal modo massimamente salvaguardati), la Suprema Corte ha statuito che tale provvedimento sarebbe abnorme nella misura in cui gli atti di impulso conseguenti all'opposizione sono tassativi e vincolanti per il Gip che la riceve (Cass. pen., Sez. unite, n. 21243/2012). Le modifiche apportate dalla riforma Orlando: le sanatorie nel giudizio abbreviato atipico
La riforma Orlando modifica in più punti il decreto penale di condanna. Innanzitutto con riguardo al giudizio abbreviato instaurato a seguito di opposizione, in secondo luogo modificando i poteri del giudice per le indagini preliminari, in terzo luogo intervenendo sugli aspetti premiali del rito prevedendo un autonomo – e più favorevole al reo – criterio di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria Dal primo punto di vista, il Legislatore si preoccupa di modificare l'art. 464 c.p.p. introducendo al comma 1 un esplicito richiamo all'art. 438, comma 6-bis, c.p.p. Si tratta della disposizione che prevede alcuni effetti automatici della richiesta di definizione del procedimento nelle forme del rito abbreviato. In particolare è prevista la sanatoria di tutte le nullità non assolute; la non rilevabilità di tutte le inutilizzabilità non derivanti dalla violazione di un divieto probatorio; e la preclusione di ogni questione in materia di competenza per territorio. Proprio quest'ultimo profilo merita qualche osservazione in più. In materia di giudizio abbreviato “atipico”, cioè da trasformazione di altro rito, il Legislatore ha inteso riservare un trattamento differente al solo caso di trasformazione da giudizio immediato, prevedendo in quel caso la rilevabilità della incompetenza per territorio, preclusa in tutti gli altri casi. Ad avviso di chi scrive, ciò che sorprende non è tanto la scelta inserire tale previsione in materia di giudizio immediato, in quanto in tal caso, mancando l'udienza preliminare, non vi è altro momento processuale in cui sollevare una tale eccezione, quanto la mancata estensione di tale previsione agli altri casi di abbreviato “atipico”, tra cui quello da opposizione a decreto penale. Se la ratio è quella di consentire la deducibilità della incompetenza per territorio non essendoci altre fasi a ciò deputate, non diverso è ciò che accade in materia di decreto penale di condanna o di giudizio direttissimo. Non è cioè comprensibile l'opzione di escludere un pari trattamento anche ai soggetti imputati che optano per l'abbreviato in sede di conversione dei riti testé menzionati. Anche in quei casi manca l'udienza preliminare per cui una tale disciplina potrebbe porsi in contrato sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), sia con il principio del giudice naturale (art. 25 Cost.) principi che appunto le norme sulle competenza anche per territorio mirano a tutelare. (Segue). I poteri del giudice per le indagini preliminari in caso di decreto penale con pena convertita
Dal secondo punto di vista, la modifica si sostanzia nell'introduzione di un comma 1-bis all'articolo 459 c.p.p., per effetto del quale, in caso di irrogazione di pena pecuniaria sostitutiva, compete al giudice per indagini preliminari l'individuazione del valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato, valore che poi deve essere moltiplicato per il totale dei giorni. Nel testo approvato, dopo alcune modifiche nei vari passaggi parlamentari, si è optato per una previsione alla stregua della quale in ogni caso il valore non può essere inferiore alla somma di 75€ e non può essere maggiore del triplo di tale importo. Pertanto, per effetto della modifica, la somma corrispondente a un giorno di detenzione, in caso di sostituzione della pena detentiva nel procedimento per decreto, può essere compresa tra 75 e 225 €. Lasciando la questione quantitativa al paragrafo segue, occorre sottolineare come il disegno di legge determini un cambiamento piuttosto rilevante alla struttura del rito sotto il profilo dei poteri del giudice per le indagini preliminari. Infatti, prima della riforma, il giudice competente a emettere il decreto penale di condanna, se riteneva che ne sussistessero le condizioni, ivi compresa la congruità della pena, emetteva il provvedimento. In caso di dissenso sull'entità della pena, egli non poteva fare altro che rigettare la richiesta, in quanto gli era preclusa qualsiasi modifica alla misura della pena anche se richiesta in sostituzione di pena detentiva. Orbene, a fronte del precedente dettato normativo, è evidente come, dalla riforma Orlando, il giudice si veda investito di poteri assai più ampi. Almeno infatti nella ipotesi di inflizione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, egli dovrà individuare il valore giornaliero unitario, tenendo conto delle condizioni economiche dell'imputato e dei familiari, nella somma compresa fra 75 e 225 €. Il rischio però connaturato all'operazione perpetrata dal legislatore della riforma è quello di sdoppiare il rito in due sottovarianti caratterizzate da poteri differenti in capo all'organo giudicante. Nell'ipotesi “ordinaria”, in cui si tratti cioè di un reato punito solo con pena pecuniaria, il giudice può accogliere o respingere la richiesta di decreto penale del pubblico ministero senza poter incidere sul quantum. Al contrario, nel caso in cui la pena pecuniaria risulti il frutto di conversione di pena detentiva, di fatto sarà il giudice a decidere l'entità della pena e non più il pubblico ministero.
(Segue). I nuovi aspetti premiali contenuti anche nella delega al Governo
Da ultimo il legislatore interviene anche sull'aspetto della premialità del rito, nel tentativo di sollecitare maggiore acquiescenza allo stesso. Nelle originarie intenzioni del Legislatore, era stata prevista una modifica dell'art. 135 c.p., per effetto della quale il criterio generale di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria veniva portato da 250 euro (o frazione) a 75 euro (o frazione). Nell'ultima lettura al Senato, però, il Legislatore ha preferito lasciare inalterato l'articolo 135 c.p., intervenendo esclusivamente nell'ipotesi di conversione di pena detentiva nel procedimento per decreto. Riflettendo sulla effettiva portata del cambiamento, è lecito chiedersi se lo stesso si traduca realmente in una opzione maggiormente favorevole all'imputato. Si deve all'uopo ribadire che, secondo l'interpretazione corrente della disciplina vigente sino alla riforma del 2017, la conversione si effettuava in ragione di un valore minimo di 250 € per ogni giorno di pena detentiva (eventualmente aumentabile di dieci volte). Si giungeva a tale conclusione per effetto di una lettura combinata degli artt. 135 c.p. e 53, l. 689/1981. La prima disposizione stabilisce infatti che il ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive avviene calcolando 250 € (o frazione) di pena pecuniaria per ogni giorno di pena detentiva; la seconda chiarisce che nella determinazione dell'ammontare di pena pecuniaria si tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare, e«Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare». Logico corollario della ricostruzione che precede è che l'importo, in caso di conversione, deve ritenersi determinato in misura fissa nel minimo in 250 € ma aumentabile fino a 2.500 €. Pertanto, se ci si allineasse alla opinione corrente appena richiamata, per effetto della novella il valore di un giorno di pena pecuniaria passa da un range compreso tra 250 euro e 2.500 euro, ad uno assai più contenuto compreso tra 75 euro di minimo e 225 euro di massimo, con evidente vantaggio per il reo. Tuttavia ha avuto proseliti anche l'opposta ricostruzione, basata sua una interpretazione strettamente letterale e che attribuisce alla locuzione «euro 250 o frazione di euro 250» il senso che laddove si proceda al ragguaglio tra pena detentiva e pecuniaria, il tasso di conversione spazi tra 1 euro e 250 euro per ogni giorno di detenzione convertito (con la possibilità di arrivare fino a euro 2.500, ex art. 53, comma 2, l. 689/1981). Laddove fosse questa l'impostazione seguita, si dovrebbe concludere che l'operazione posta in essere dal legislatore, nel caso di conversione tra pena pecuniaria e pena detentiva nel procedimento per decreto, ha causato la diminuzione dell'importo massimo pro die ma anche l'aumentato di quello minimo. Sempre sul piano della connotazione premiale del rito, deve da ultimo ribadirsi che anche nelle deleghe al governo il legislatore ha pensato al procedimento per decreto, stabilendo che lo stesso deve modificare la disciplina delle iscrizioni nel casellario giudiziario in senso più favorevole al reo, anche in materia di decreti penali. In conclusione
La riforma Orlando apparentemente non stravolge il sistema dei riti alternativi e tra questi quelli maggiormente modificati sono il rito abbreviato e il decreto penale di condanna. Ad avviso di chi scrive è proprio quest'ultimo rito a rappresentare una delle scommesse più importanti del Legislatore del 2017. Il decreto penale di condanna, in assenza di opposizione dell'imputato, è “il più economico” dei riti, per cui è ben chiaro l'obiettivo perseguito di favorire l'acquiescenza allo stesso. Anche perché, l'ipotesi contraria dell'opposizione determina l'effetto inverso di ingolfare ulteriormente i ruoli dei giudici. Orbene, se dunque questo era l'obiettivo di partenza, va detto che il Legislatore della riforma ha cercato di raggiungerlo attraverso due strumenti: il primo consiste appunto nell'accentuare almeno in parte il premio per l'imputato non-opponente, il secondo, nello scoraggiare l'opposizione. Dal primo punto di vista si è detto che in linea di massima il nuovo criterio di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria – che passa da 250 € al giorno a 75 € al giorno – sembra percorrere tale itinerario, pur con le considerazioni palesate nel testo,. Per quanto concerne invece il tentativo di scoraggiare le opposizioni, fermo il fatto che non opera nel successivo giudizio il divieto di reformatio in peius (altrimenti verosimilmente la percentuale di decreti opposti avrebbe rasentato il 100%), certamente un peso determinante lo ha l'innalzamento dei termini di prescrizione. Il fattore tempo, si sa, soprattutto per i reati contravvenzionali, giocava a favore dell'imputato per cui, considerato il basso rischio conseguente ad una eventuale condanna, era facile pensare ad una opposizione a decreto penale strumentale ad una pronuncia di prescrizione. Se invece la prescrizione rappresenta una possibilità molto più remota, viene meno, o comunque si attenua tale possibilità, è più facile pensare che l'imputato possa decidere di accettare la sanzione inflitta col decreto. La scelta di innalzare i termini di prescrizione, però, non convince. L'errore, ad avviso di chi scrive, è evidente, il Legislatore dovrebbe puntare a garantire un accertamento in tempi ragionevoli e non a rimediare alla lentezza del processo sacrificando i diritti e le garanzie dell'imputato. Di fronte a questa, come ad altre modifiche introdotte dalla riforma Orlando – si pensi alla partecipazione a distanza – viene da dire che il fine non sempre giustifica i mezzi, la compressione delle garanzie difensive e lo stravolgimento dei principi guida del processo in ottica “efficientista” non sembrano una soluzione positiva e percorribile a lungo. Guida all'approfondimento
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