La partecipazione a distanza al giudizio cautelare dopo la l. 103/2017
26 Luglio 2017
Abstract
La legge 23 giugno 2017, n. 103, c.d. riforma Orlando (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 154 del 4 luglio 2017), ha introdotto importanti modifiche al codice penale, di procedura penale e all'ordinamento penitenziario. La novella interviene in maniera assai incisiva anche in materia di videoconferenza e di partecipazione alle udienze a distanza. Le novità non riguardano solo l'udienza dibattimentale (art. 146-bis disp. att. c.p.p.) ma anche l'udienza camerale e dunque anche le udienze celebrate nell'ambito dei procedimenti di impugnazione delle misure cautelari (art. 45-bis disp. att. c.p.p.), ampliando notevolmente il novero dei casi in cui l'indagato (o imputato) può partecipare all'udienza che lo riguarda solo in collegamento audio-video dall'istituto penitenziario in cui è ristretto e non mediante fisica presenza nell'aula in cui si celebra il processo. Sebbene la nuova disciplina della videoconferenza (fatte salve alcune eccezioni di cui si dirà) entrerà in vigore solo dopo un anno dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, e quindi il 4 luglio 2018, non v'è dubbio che si tratti di una riforma destinata ad incidere profondamente sulla partecipazione processuale dell'indagato ristretto in vinculis e, ancor più in generale, sulle modalità di esercizio del diritto di difesa. La l. 11/1998 ha introdotto, nell'ambito delle norme di attuazione del codice di procedura penale, una disciplina specificamente dedicata alla partecipazione al dibattimento a distanza (art. 146-bis disp. att. c.p.p.), che trova applicazione anche alle udienze camerali in virtù del richiamo operato dall'art. 45-bis delle medesime disposizioni di attuazione. Secondo la disciplina attualmente in vigore, scaturente dalle modifiche successivamente apportate all'originario testo introdotto dalla l. 11/1998, è prevista la partecipazione a distanza all'udienza (dibattimentale o camerale), quando si procede per taluno dei delitti di criminalità organizzata previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. (si tratta dei delitti, consumati o tentati, di: associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione e al commercio di prodotti falsi, art. 416 c.p. finalizzato alla commissione dei delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p.; riduzione in schiavitù, art. 600 c.p.; tratta di persone, art. 601 c.p.; acquisto e alienazione di schiavi, art. 602 c.p.; associazione di tipo mafioso, art. 416-bis c.p.; delitti commessi per agevolazione mafiosa o con metodo mafioso, art. 7 d.l. 152/1991 conv. in l. 203/1991; associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, art. 74 d.P.R. 309/1990; associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, art. 291-quater d.P.R. 43/1973; attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, art. 260 d.lgs. 152/2006), nonché dall'art. 407, comma 2, lett. a) n. 4 c.p.p.(delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale puniti con reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, associazione sovversiva ex art. 270 comma 3 c.p. e banda armata ex art. 306 comma 2 c.p.), nei confronti di persona che si trova, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere. In particolare, la partecipazione all'udienza avviene a distanza:
In ordine ai profili procedurali, è previsto che la partecipazione al dibattimento a distanza venga disposta, anche d'ufficio, dal presidente del tribunale o della Corte di assise, con decreto motivato emesso nella fase degli atti preliminari, ovvero dal giudice con ordinanza nel corso del dibattimento, da comunicare alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima dell'udienza (art. 146-bis, comma 2, disp. att. c.p.p.). Il terzo comma della medesima disposizione delinea le misure tecniche attraverso cui si attua la partecipazione a distanza: viene attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Nel quarto comma, infine, vengono assicurate la facoltà del difensore o di un suo sostituto di essere presente nel luogo ove si trova l'imputato e la possibilità che il difensore o il suo sostituto presente nell'aula di udienza e l'imputato si consultino riservatamente, per mezzo di idonei strumenti tecnici. Un ausiliario del giudice presente nel luogo in cui si trova l'imputato si occupa, poi, di operare il controllo sull'effettivo funzionamento delle modalità tecniche attraverso cui si attua la partecipazione a distanza; il medesimo ausiliario è chiamato a verificare, inoltre, che non siano posti impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà spettanti all'imputato (comma 6). Da ultimo, il settimo comma prevede che, quando nel dibattimento occorre procedere a confronto o ricognizione dell'imputato o ad altro atto che implica l'osservazione della sua persona, il giudice, ove lo ritenga indispensabile, disponga la presenza dell'imputato nell'aula di udienza. Per quanto rileva ai fini della presente trattazione, va osservato che l'art. 45-bis disp. att. c.p.p. estende la disciplina dettata dall'art. 146-bis alle udienze che si svolgono in camera di consiglio,ivi incluse, pertanto, le udienze di riesame ex art. 309 c.p.p. e di appello cautelare ex art. 310 c.p.p. In particolare, è stabilito che la partecipazione dell'indagato (o imputato o condannato) all'udienza camerale avvenga a distanza nelle medesime ipotesi previste per l'udienza dibattimentale (comma 1). La partecipazione a distanza è disposta dal giudice con ordinanza o dal presidente del collegio con decreto motivato; il provvedimento in questione è comunicato o notificato insieme all'avviso di fissazione dell'udienza camerale previsto dall'art. 127, comma 1, c.p.p. (comma 2). Il terzo e ultimo comma dell'art. 45-bis disp. att. c.p.p. statuisce che trovano applicazione alla partecipazione a distanza alle udienze camerali le disposizioni (sopra esaminate) previste per l'udienza dibattimentale dai commi 2, 3, 4 e 6 dell'art. 146-bis disp att. c.p.p. La Corte costituzionale ha avuto modo di occuparsi della disciplina in questione subito dopo l'entrata in vigore della l. 11/1998, in particolare, con la sentenza n. 342/1999 (ud. 14 luglio 1999 – dep. 22 luglio 1999). I giudici delle leggi sono stati chiamati a pronunciarsi sulla presunta violazione perpetrata dalla disciplina in materia dei principi di uguaglianza (art. 3 Cost.), libertà (art. 13 Cost.), difesa (art. 24, comma 2, Cost.) e presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.), nonché sull'asserito contrasto di tale disciplina con le affermazioni enunciate dall'art. 14, paragrafo 3, lettera d), del patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (con conseguente ipotizzata violazione dell'art. 10 Cost.). La Corte, respingendo le censure formulate dai giudici remittenti, ha statuito che la premessa (che risulta quantomeno implicitamente nei provvedimenti di remissione) secondo cui solo la presenza fisica nel luogo del processo potrebbe assicurare l'effettività del diritto di difesa, non è fondata. Ad avviso della Consulta, «ciò che occorre, sul piano costituzionale, è che sia garantita l'effettiva partecipazione personale e consapevole dell'imputato al dibattimento, e dunque che i mezzi tecnici, nel caso della partecipazione a distanza, siano del tutto idonei a realizzare quella partecipazione». I giudici delle leggi respingono, dunque, l'idea secondo la quale solo la partecipazione fisica dell'imputato all'udienza sarebbe in grado di assicurare il concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa e del contraddittorio, in un'ottica che gli stessi giudici definiscono di realismo partecipativo, in grado di consentire l'esercizio di diritti tradizionali con tecniche e strumenti processuali messi a disposizione dalle moderne tecnologie (tra cui, appunto, la videoconferenza). Ciò che rileva, dunque, ad avviso della Corte, è semplicemente il raggiungimento dello scopo in una prospettiva di sostanziale equipollenza tra partecipazione all'udienza mediante presenza fisica e partecipazione a distanza. L'attenzione si concentra, quindi, più che sull'astratta partecipazione virtuale, sui concreti strumenti messi a disposizione, concludendo che, qualora questi ultimi siano adeguatamente efficienti e sufficientemente in grado di assicurare il corretto esercizio delle prerogative difensive, nessuna violazione dei principi costituzionali e segnatamente del diritto di difesa di cui all'art. 24, comma 2, Cost. può essere paventata. A conclusioni non dissimili è giunta la Corte europea dei diritti dell'uomo che, con una pronuncia del 2006, ha affermato come non possa ravvisarsi alcuna lesione del diritto di difesa nella disciplina contenuta nell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., considerato che lo strumento della videoconferenza consente all'imputato di seguire adeguatamente lo svolgimento del processo, con la possibilità di rappresentare al giudice eventuali problemi tecnici che rendono difficoltoso il collegamento a distanza (cfr. Corte Edu, Viola c. Italia, 5 ottobre 2006, in Cass. pen. 2007, p. 310).
Come si è anticipato, le disposizioni dettate dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, (c.d. riforma Orlando) innovano profondamente la partecipazione a distanza all'udienza (sia dibattimentale che camerale), estendendone notevolmente l'ambito applicativo. A differenza della disciplina precedente, infatti, che prevedeva la partecipazione a distanza degli imputati dei delitti di cui agli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a) n. 4 c.p.p. solo in presenza di gravi ragioni di sicurezza e di ordine pubblico oppure in ipotesi di particolare complessità del dibattimento, il nuovo statuto della videoconferenza fa scattare la partecipazione “virtuale” in presenza di un unico requisito di carattere soggettivo: deve trattarsi, infatti, di «persona che si trova in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, nonché nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4), del codice». Si fa ricorso alla partecipazione a distanza, quindi, non solo nei procedimenti che abbiano ad oggetto i delitti suindicati, bensì tutte le volte in cui imputata è una persona che, anche in altro processo penale a suo carico, sia accusata dei gravi delitti in questione o che, per i medesimi reati, sia stata definitivamente condannata. È stabilito, infatti, che quest'ultima «partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata, anche relativi a reati per i quali sia in libertà». Non solo: sempre nelle forme della videoconferenza essa partecipa a qualsiasi udienza penale o civile in cui debba essere escussa come testimone. Appare evidente, dunque, come il Legislatore, al fine di delineare i contorni dell'ambito applicativo della partecipazione a distanza, abbandoni il classico parametro oggettivo inerente al delitto contestato nell'ambito del procedimento penale in cui si colloca la celebrazione dell'udienza, passando ad un criterio totalmente soggettivo: è sufficiente che la persona che deve partecipare al processo sia (anche in altro procedimento) in restrizione carceraria (cautelare o definitiva) per uno dei delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, o 407, comma 2, lett. a) n. 4 c.p.p., perché trovi sempre applicazione nei suoi confronti la partecipazione all'udienza a distanza, sia in qualità di imputato (anche a piede libero, per lo specifico delitto per cui si procede), sia quale testimone, sia nelle udienze penali che nelle udienze civili. Si è efficacemente parlato in proposito di statuto processuale del detenuto per reati in materia di criminalità organizzata e di una sorta di diritto processuale penale dell'autore, al fine di censurare l'abbandono, da parte del Legislatore, di qualsiasi parametro di natura oggettiva adoperato in precedenza (sicurezza, ordine pubblico o complessità processuale) per approdare ad un automatismo vincolato al solo specifico stato detentivo (in questi termini si esprime S. LORUSSO, Dibattimento a distanza vs. “autodifesa”?, in Diritto penale contemporaneo; in chiave molto critica sulla riforma anche T. RIZZO, Il dibattimento a distanza nella Riforma Orlando: la smaterializzazione del processo penale, in il Penalista). Altro criterio di carattere strettamente soggettivo è quello dettato dal comma 1-bis del novellato art. 146-bis disp. att. c.p.p., che prevede che partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata «la persona ammessa a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio». Anche in tal caso si prescinde totalmente da parametri di carattere oggettivo, quali i delitti contestati nel procedimento, l'esistenza di ragioni di sicurezza e ordine pubblico o di particolare complessità del dibattimento; ciò che rileva è unicamente la qualità dell'imputato di soggetto sottoposto a programma di protezione. I successivi commi 1-ter e 1-quater contengono rispettivamente una clausola di espansione della presenza fisica dell'imputato in udienza e, al contrario, una clausola di espansione della sfera applicativa della partecipazione a distanza. Il comma 1-ter prevede, infatti, che, ad eccezione del caso in cui siano state applicate le misure di cui all'art. 41-bis della l. 354/1975, il giudice, anche su richiesta di parte, può disporre, con decreto motivato, la presenza alle udienze delle persone indicate nei commi 1 e 1-bis del medesimo articolo qualora lo ritenga necessario. Ad esclusione dell'ipotesi in cui nei confronti del soggetto siano state adottate le misure previste dall'art. 41-bis della l. 354/1975, quindi, il giudice può sempre (con provvedimento discrezionale motivato) disporre che l'udienza si svolga, non con la partecipazione a distanza, bensì con la presenza fisica dell'imputato. Di segno diametralmente opposto, come si è detto, la clausola contenuta nel comma 1-quater del nuovo art. 146-bis disp. att. c.p.p., che permette al giudice, anche al di fuori delle ipotesi contemplate dai commi 1 e 1-bis della medesima disposizione, di disporre con decreto motivato la partecipazione a distanza, qualora ricorrano (alternativamente) le seguenti condizioni: a) quando sussistano ragioni di sicurezza; b) qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento; c) ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario. Si tratta, come si è già detto, di una clausola di espansione di notevole valenza, considerato che, facendo riferimento a detta disposizione, il giudice, ricorrendone i presupposti sopra enucleati, può estendere la portata applicativa della partecipazione a distanza a qualsiasi reato e a qualunque processo. Particolarmente incisiva risulta la previsione che facoltizza la partecipazione a distanza tutte le volte in cui si debba procedere all'escussione testimoniale di persona che si trovi in stato di detenzione a qualunque titolo, dunque per qualsiasi reato (sia in regime cautelare, sia in esecuzione pena), a prescindere dalla sussistenza di ragioni di sicurezza o di particolare complessità istruttoria. Il novellato comma 2 dell'art. 146-bis c.p.p. statuisce poi che la partecipazione al dibattimento a distanza debba essere semplicemente comunicata (non anche disposta con provvedimento motivato, come in precedenza, con eliminazione anche del termine a comparire di 10 giorni) alle autorità competenti, nonché alle parti e ai difensori. È rimasto invariato, invece, l'organo giurisdizionale deputato a provvedere: il presidente del tribunale o della Corte d'assise nella fase degli atti preliminari oppure il giudice nel corso del dibattimento. La l. 103/2017 (art. 1, comma 78) modifica anche – per quanto interessa ai fini della presente trattazione – l'art. 45-bis disp. att. c.p.p., statuendo che la partecipazione a distanza alle udienze camerali ha luogo in tutti i casi contemplati dai commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p. Rimane invariato, dunque il parallelismo tra le due disposizioni (la partecipazione a distanza ha una portata applicativa speculare nell'udienza dibattimentale e in ogni ipotesi di udienza camerale) ma risulta ampliato dalla novella il novero dei casi in cui è obbligatorio o consentito ricorrere alla videoconferenza. La riforma si completa, infine, con le disposizioni dettate dai commi 79 e 80. Il primo di questi, novellando l'art. 134-bis disp. att. c.p.p., estende anche al giudizio abbreviato celebrato nelle forme dell'udienza pubblica la disciplina della partecipazione a distanza dettata dall'art. 146-bis c.p.p. per il dibattimento, nelle medesime ipotesi, non contemplando tuttavia il richiamo al comma -ter del predetto art. 146-bis e dunque la possibilità per il giudice di disporre la presenza fisica dell'imputato o del teste qualora lo ritenga necessario. Il comma 80 della citata novella sostituisce il comma 8 dell'art. 7 del d.lgs. 159/2011 (codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), statuendo che per l'esame dei testimoni nel procedimento di prevenzione si applicano le disposizioni sulla partecipazione a distanza contemplate dagli artt. 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p. Una speciale previsione sull'entrata in vigore delle norme che riguardano la partecipazione a distanza all'udienza è dettata, infine, dal comma 81 della riforma. La disposizione in esame introduce una regola di carattere generale, secondo cui tutte le norme statuite dai commi 77, 78, 79 e 80 sulla partecipazione a distanza acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale, e una eccezione. Quest'ultima è rappresentata dall'immediata entrata in vigore delle sole disposizioni di cui al comma 77, «relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270-bis, primo comma, e 416-bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni». In tal modo, si prevede l'immediata operatività della riforma, in sede dibattimentale, con esclusivo riferimento agli imputati accusati di essere dirigenti, promotori o organizzatori di associazioni terroristiche o eversive, mafiose o finalizzate al narcotraffico (o condannati in via definitiva per i medesimi reati). Autorevole dottrina ha affermato che le novità introdotte dalla l. 103/2017, in diverse disposizioni, accentuano il c.d. doppio binario, dunque la differenza esistente tra la disciplina dei reati comuni e quella dedicata ai delitti di criminalità organizzata, soprattutto di stampo mafioso (G. SPANGHER, D.d.l. n. 2067: sulle proposte di modifica al codice di procedura penale, in Giurisprudenza penale, 2017, 3, 1). Tuttavia, almeno con riferimento alle novità in tema di partecipazione al processo a distanza, va sottolineato un dato fondamentale: il doppio binario, così come conosciuto sino ad oggi, ha carattere oggettivo, riguarda i procedimenti per particolari delitti; con la riforma si assiste ad una mutazione genetica, si passa ad una prospettiva di carattere soggettivo: la partecipazione a distanza non dipende dal delitto per il quale si procede (oggettivamente, come in precedenza), ma dalla condizione personale dell'indagato o imputato, comunque accusato (anche in diverso procedimento) o condannato per i delitti elencati agli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a) n. 4 c.p.p. Sostanzialmente, la forma della partecipazione (fisica o a distanza) deriva da una sorta di marchio impresso all'indagato o imputato dal suo peculiare status detentionis, non dal delitto per il quale si procede nel singolo procedimento in cui si inserisce l'udienza (dibattimentale o camerale) che deve essere celebrata, in maniera del tutto svincolata da esigenze di sicurezza, ordine pubblico o particolare complessità istruttoria. Si tratta – a parere di chi scrive – di un primo profilo di dubbia legittimità costituzionale della riforma. Altro aspetto che persuade poco, suscettibile di entrare in collisione con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., attiene al novero dei delitti che (con le modalità suindicate) fanno scattare la partecipazione a distanza (senza alcun requisito ulteriore, a differenza della disciplina previgente): si tratta, come si è detto, di tutti i delitti di cui agli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a) n. 4 c.p.p., molto diversi tra loro, alcuni associativi, altri monosoggettivi. Si introduce, in tal modo, una sorta di presunzione assoluta di pericolosità dell'indagato, tante volte stigmatizzata dalla Corte costituzionale, senza alcun collegamento con particolari esigenze di carattere processuale. È appena il caso di rilevare che la Corte non ha mai legittimato una presunzione assoluta di sussistenza di pericolosità sociale, mentre ha giustificato, (per il momento) per il solo delitto di cui all'art. 416-bis c.p., una presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria (in questo senso, da ultimo, Corte cost., 8 marzo 2017, n. 136). Alla luce di queste considerazioni, appare evidente come le previsioni in materia di partecipazione all'udienza a distanza contenute nella recentissima riforma non siano ispirate da esigenze (e neppure da una logica) processuali, bensì semplicemente dalla necessità di economizzare risorse, nella speranza che attrezzare per le videoconferenze centinaia di aule di tribunale e centinaia di stanze all'interno degli istituti penitenziari, gestendo con personale adeguatamente formato i relativi processi, consenta di risparmiare rispetto agli attuali costi di traduzione imposti dalla celebrazione delle udienze con detenuti. La plastica conferma della vocazione economicista della novella si ricava dalla norma che prevede che, qualora le altre parti e i loro difensori, previa autorizzazione del giudice, intendano intervenire a distanza nei processi nei quali si utilizzano collegamenti audiovisivi, debbano assumersi l'onere dei costi del collegamento (art. 146-bis comma 4-bis disp. att. c.p.p.). C'è da chiedersi se una tale esigenza, alla luce dei principi costituzionali e comunitari, possa giustificare una oggettiva disparità di trattamento tra indagati e una sensibile compressione del diritto di difesa. È agevole preconizzare quale importanza possa assumere (sebbene dal 4 luglio 2018) la nuova disciplina della partecipazione a distanza in materia di impugnazioni cautelari, considerato che un grandissimo numero di procedimenti ex artt. 309 e 310 c.p.p. riguarda proprio i gravi delitti di criminalità organizzata di cui agli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a) n. 4 c.p.p. La nuova normativa è destinata, dunque, a mutare radicalmente il volto dell'udienza camerale cautelare, ridisegnando il quadro delle garanzie difensive e le modalità di partecipazione e di esercizio del diritto di difesa per un grandissimo numero di indagati e imputati. Va sottolineato, comunque, che probabilmente quella camerale cautelare è anche l'udienza in cui (almeno statisticamente) l'eventuale presenza fisica dell'indagato gioca il ruolo più circoscritto, trattandosi di processo che si svolge e decide allo stato degli atti e assistendosi spesso a udienze della durata di pochissimi minuti (a volte secondi, nell'ipotesi in cui il difensore si limiti a riportarsi ai motivi di ricorso o a una memoria contestualmente depositata) in cui la presenza dell'imputato risulta totalmente passiva e del tutto ininfluente sull'esito del procedimento. Ben diverso è il peso dell'assenza fisica del diretto interessato nell'ambito delle udienze dibattimentali, in cui si procede all'escussione dei testimoni e, in generale, al completo espletamento dell'attività istruttoria. Con specifico riferimento all'udienza di riesame ex art. 309 c.p.p., la nuova disciplina della partecipazione al processo a distanza non può, ovviamente, non tener conto delle novità precedentemente introdotte dalla l. 47/2015: ciò significa che l'indagato o imputato, ristretto in vinculis avrà diritto di partecipare all'udienza in videoconferenza (in tutti i casi in cui è prevista la partecipazione virtuale) solo qualora ne faccia esplicita e tempestiva richiesta ai sensi dei novellati commi 6 e 8-bis dell'art. 309 c.p.p.. A seguito della riforma del 2015, infatti, l'imputato detenuto (a qualsiasi titolo) può chiedere di comparire personalmente innanzi al tribunale del riesame solo se ne fa richiesta contestualmente alla presentazione dell'atto di impugnazione, anche qualora questo venga formulato dal difensore (comma 6). È lo stesso art. 309 c.p.p., poi, a confermare che «l'imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente» (comma 8-bis). Sebbene le disposizioni in esame utilizzino l'espressione comparire personalmente, facendo evidentemente riferimento alla comparizione fisica in udienza dell'imputato, la disciplina in questione va certamente estesa alla comparizione virtuale, attraverso videoconferenza, atteso che, almeno nell'ottica del Legislatore, questa seconda è da ritenersi perfettamente equipollente rispetto alla prima ed è destinata esattamente ad evitarla. Inoltre, alla luce del complessivo quadro normativo delineato a seguito dell'entrata in vigore della l. 47/2015, non v'è dubbio che il codice di rito prefiguri l'udienza di riesame ex art. 309 c.p.p. celebrata nella totale assenza dell'indagato detenuto come il normale modello di udienza cautelare (modello camerale a partecipazione non necessaria), che può essere superato solo attraverso una tempestiva istanza di presenziare avanzata dallo stesso indagato o dal suo difensore contestualmente alla formulazione della richiesta di gravame. Se così è, è da ritenere che l'indagato sia tenuto a presentare rituale e tempestiva istanza di partecipazione all'udienza, sia nelle ipotesi in cui la predetta partecipazione debba estrinsecarsi in forma fisica, sia nel caso in cui, per il suo peculiare status detentionis, sia prevista la partecipazione a distanza. La tesi risulta confermata dalla giurisprudenza di legittimità che, a seguito dell'entrata in vigore della l. 47/2015 (sebbene prima dell'approvazione della recente novella), ha statuito che anche l'indagato ristretto ex art. 41-bis l. 354/1975, rispetto al quale è prevista la mera partecipazione a distanza al processo (vecchio testo degli artt. 146-bis e 45-bis disp. att. c.p.p. e anche nuovo testo delle medesime disposizioni come modificato dalla l. 103/2017), qualora intenda partecipare (nell'unica forma che gli è consentita: quella virtuale) all'udienza di riesame, ha l'onere di avanzarne richiesta contestualmente alla presentazione dell'istanza di gravame. Qualora tale richiesta di partecipazione non venga formulata o risulti avanzata non tempestivamente (in un qualsiasi momento successivo alla presentazione dell'impugnazione), l'udienza si svolgerà legittimamente in sua totale assenza (cfr. Cass. pen., Sez. I, 17 marzo 2016, n. 49284, Grande Aracri). In conclusione
In definitiva, è da ritenere che la nuova disciplina della partecipazione al processo a distanza sia destinata a mutare fortemente la fisionomia non solo del giudizio dibattimentale ma anche di quello cautelare, con l'aggravante che, rispetto all'udienza di riesame, l'indagato detenuto per i delitti sopra enucleati dovrà anche attivarsi tempestivamente al fine di richiedere la sua partecipazione a distanza all'udienza camerale ex art. 309 c.p.p., in linea con il modello di udienza a partecipazione non necessaria disegnato dal Legislatore. |