Il ne bis in idem nella giurisprudenza sovrannazionale ed alla luce della recente pronuncia delle Corte Edu A. e B c. Norvegia

Loretta Loretti
26 Luglio 2017

In ambito sovrannazionale, il principio del ne bis in idem è cristallizzato nell'art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea. Anche l'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, ratificato dall'Italia con l. 239 del 22 settembre 2000, disciplina l'ambito di applicazione di tale divieto tra gli Stati contraenti.
Abstract

Nel presente lavoro si affrontano le problematiche connesse all'applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale e processuale in relazione alla materia tributaria, alla luce delle più recenti sentenze della Corte di giustizia europea e della Corte Edu.

In particolare, con la sentenza del 15 novembre 2016, nel caso A. e B. c. Norvegia, la Corte Edu ha profondamente innovato il proprio orientamento sul punto.

Il che impone di rivalutare le riflessioni fino ad oggi svolte in tema di compatibilità del nostro sistema sanzionatorio in ambito tributario con i principi enunciati dalla giurisprudenza convenzionale.

Il divieto di ne bis in idem nel sistema delle fonti

In ambito sovrannazionale, il principio del ne bis in idem è cristallizzato nell'art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea.

Anche l'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, ratificato dall'Italia con l. 239 del 22 settembre 2000, disciplina l'ambito di applicazione di tale divieto tra gli Stati contraenti.

Ancorché tale principio non sia riconosciuto espressamente nella Carta costituzionale, esso è stato ritenuto, dalla stessa Corte costituzionale, come «immanente alla funzione ordinante cui la Carta ha dato vita […]; nel diritto penale questa Corte ha da tempo arricchito la forza del divieto, proiettandolo da una dimensione correlata al valore obiettivo del giudicato fino a investire la sfera dei diritti dell'individuo in quanto ‘principio di civiltà giuridica', oltretutto dotato di ‘forza espansiva' e contraddistinto dalla natura di ‘garanzia' personale» (Corte cost., 31 maggio 2016, n. 200).

L'operatività del divieto di bis in idem è tradizionalmente riconosciuta tanto in ambito processuale quanto in ambito sostanziale; tuttavia, individuare il confine tra ne bis in idem sostanziale e ne bis in idem processuale è compito certamente non agevole (sempre che tale confine possa dirsi, soprattutto oggi, effettivamente sussistente).

Si può azzardare che il concetto di ne bis in idem operante in ambito processuale presupponga l'omogeneità delle sanzioni che assistono la violazione di un precetto e l'omogeneità dei procedimenti finalizzati all'accertamento di tali violazioni.

Espressione positiva del ne bis in idem processuale, in ambito penalistico, è data dalle norme di cui agli artt. 649 e 669 c.p.p.

Con il primo precetto, viene stabilito un principio di ordine cronologico fondato sul concetto di cosa giudicata: qualora un fatto reato sia stato oggetto di pronuncia definitiva, esso, ancorché diversamente qualificato, non potrà divenire successivamente oggetto di valutazione processuale in ambito penale.

Le Sezioni unite, in una prospettiva evolutiva, hanno affinato tale principio ed hanno, in determinati casi, sancito il superamento del limite della cosa giudicata, affermando: «le situazioni di litispendenza che non trovino soluzione nell'ambito dei conflitti positivi di competenza di cui all'art. 28 c.p.p. devono essere risolte dichiarando nel secondo processo, pur in mancanza di una sentenza irrevocabile, l'impromovibilità dell'azione penale in virtù della preclusione fondata sul principio generale del ‘ne bis in idem', sempre che i due processi abbiano ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, siano stati instaurati ad iniziativa dello stesso ufficio del p.m. e siano devoluti, anche se in fasi o in gradi diversi, alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria» (Cass. pen., Sez. unite, 28 settembre 2005, n. 34655).

Recentemente, la Corte costituzionale, nella già citata sentenza n. 200 del 31 maggio 2016, ha specificato il significato di medesimo fatto alla luce dell'interpretazione della norma di cui all'art. 4 del protocollo n. 7 della Cedu da parte della giurisprudenza della Corte Edu (in particolare a partire dalla sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009, Zolotoukhine c. Russia), nonché dei precedenti arresti propri (Corte cost. n. 129 del 2008) e della Corte di legittimità (Cass. pen. Sez. unite, n. 34655/2005, cit.), specificando che l'idem factum sussiste quando vi sia «corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona».

In tal modo, viene bandito, nel test di verifica della sussistenza di un medesimo fatto, il concetto di idem legale in favore di quello di idem naturalistico, scomposto nella triade: condotta – nesso di causalità – evento naturalistico (anche se, in senso contrario, Cass. pen., Sez. unite, 28 marzo 2013, nn. 37424 e 37425, di cui si dirà infra).

In secondo luogo, il giudice delle leggi ha osservato come il divieto di un secondo giudizio per un identico fatto, sancito dall'art. 649 c.p.p., rimanesse inapplicato, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale nel caso di concorso formale (art. 81 c.p.) tra il reato già giudicato in via definitiva ed il reato oggetto del secondo giudizio.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il precetto di cui all'art. 649 c.p.p., per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del protocollo 7 della Cedu, «nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussist[a] un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale».

La norma di cui all'art. 669 c.p.p. completa l'operatività del principio del ne bis in idem processuale, introducendo un rimedio nel caso in cui, nonostante la previsione di cui all'art. 649 c.p.p., siano state comunque emesse due sentenze di condanna nei confronti di un medesimo soggetto per uno stesso fatto.

In attuazione del principio del favor rei, il Legislatore codicistico ha stabilito che, in tal caso, trovi attuazione, in executivis, la condanna meno grave.

Il divieto di bis in idem sostanziale, invece, assume rilevanza qualora un medesimo fatto sia sanzionato sia dal punto di vista penale che dal punto di vista amministrativo.

Se l'omogeneità è, quindi, il criterio che assiste l'applicazione del principio del ne bis in idem processuale, la disomogeneità (fra sanzioni e procedimenti) è quello che caratterizza l'operatività del ne bis in idem sostanziale.

In generale, la regola che disciplina il divieto di bis in idem sostanziale è quella contenuta nell'art. 9, l. 24 novembre 1981, n.689 (c.d. legge di depenalizzazione), rubricato: principio di specialità; secondo tale precetto, quando uno stesso fatto è punito da una norma penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, trova applicazione la disposizione speciale.

Nel nostro ordinamento sono molteplici le materie in relazione alle quali la violazione di determinati precetti è assistita sia da sanzioni penali che da sanzioni amministrative.

É il caso, ad esempio, della materia urbanistica (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), di quella del market abuse (d.lgs. 58 del 24 febbraio 1998), delle norme contenute nel codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), della materia doganale (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), della materia ambientale e, naturalmente, della materia tributaria.

In alcuni dei predetti ambiti, specifiche norme di settore disciplinano i rapporti tra procedimento sanzionatorio penale e procedimento sanzionatorio amministrativo.

Nella materia tributaria, la disciplina dei rapporti tra il sistema sanzionatorio amministrativo e quello penale è contenuta negli artt. 19, 20 e 21 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che ne compongono il Titolo IV, recante Rapporto tra sistema sanzionatorio amministrativo e fra procedimenti.

Con essi viene definita una disciplina affatto peculiare, densa di criticità, già insite nella sua formulazione ed acuite nella sua interpretazione.

In linea generale, al Titolo IV viene stabilita la regola del divieto di bis in idem sostanziale, mentre in ambito processuale la regola è consentita (rectius, imposta) la duplicazione dei procedimenti, penale e amministrativo.

I rapporti tra sanzione penale e sanzione amministrativa nella disciplina del d.lgs. 74/2000

Occorre premettere che gli illeciti penali previsti al Titolo II del d.lgs. 74/2000 sono sanzionati in via amministrativa in forza del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, recante Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norma tributarie.

Di seguito una tabella comparativa.

Sanzione Penale

Sanzione amministrativa

artt. 2 e 3 d.lgs. 74/2000

art. 5, comma 4-bis, d. lgs. 472/1997

art. 4 d.lgs. 74/2000

art. 2 d.lgs. 472/1997

art. 5, commi 1 e 2, d.lgs. 74/2000

artt. 1, 2 e 5 d.lgs. 472/1997

art. 10 d.lgs. 74/2000

art. 9 d.lgs. 472/1997

artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater d.lgs. 74/2000

art. 13 d. lgs. 472/1997

Restano, naturalmente, escluse dall'ambito della illiceità amministrativa le condotte punite dagli artt. 8 e 11 d.lgs. 74/2000 che non generano un vantaggio impositivo in capo a chi le ponga in essere.

Come già evidenziato, la disciplina dei rapporti tra il sistema sanzionatorio penale e quello tributario è delineata positivamente dagli artt. 19, 20 e 21 del d.lgs. 74/2000.

In linea teorica, il precetto di cui all'art. 19, recante Principio di specialità, disciplina il divieto di bis in idem sostanziale; esso dovrebbe operare quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del Titolo II del decreto e da una disposizione che preveda una sanzione amministrativa; in tal caso, dovrebbe applicarsi la disciplina del concorso apparente di norme.

Al comma 2, si stabilisce, tuttavia, una prima deroga a tale principio: esso, infatti, non trova applicazione qualora il contribuente sia soggetto diverso dall'autore del reato, come, ad esempio, nel caso in cui sia un ente.

Una seconda deroga è contenuta nella norma di cui all'art. 21 recante Sanzioni amministrative per le violazioni ritenute penalmente rilevanti.

In tale precetto viene stabilito che, anche qualora sussista tra l'illecito penale e l'illecito tributario un rapporto di specialità, l'Amministrazione finanziaria irroghi comunque le sanzioni amministrative; esse, tuttavia, non possono essere eseguite (salvo il caso di cui all'art. 19, comma 2), se non a seguito di definizione del procedimento penale con provvedimento di archiviazione ovvero con sentenza di proscioglimento che escluda la rilevanza penale del fatto.

É stato opportunamente osservato che «l'irrogazione della sanzione da parte dell'autorità amministrativa sempre e comunque a prescindere da ogni valutazione sulla specialità trova quale (unica) giustificazione quella di assicurare la tempestività dell'azione amministrativa» (A. CARINCI, Il principio di specialità nelle sanzioni tributarie: tra crisi del principio e crisi del sistema, in Rassegna Tributaria, 2/2015, pg. 505).

Infatti, è preclusa all'Amministrazione finanziaria la possibilità di irrogare le sanzioni tributarie in presenza di un illecito di natura esclusivamente amministrativa decorsi cinque anni dalla sua commissione (art. 20 d.lgs. 472/1997), termine di fatto incompatibile con la normale durata del processo penale, ciò che pertanto impone all'autorità amministrativa di precostituirsi in tempo utile di un valido titolo esecutivo.

Il principio di specialità di cui all'art. 19, comma 1, d.lgs. 74/2000, oltre a trovare specifiche deroghe nelle disposizioni sopra brevemente commentate, è stato poi sostanzialmente disapplicato dalla giurisprudenza di legittimità.

Si ricordano, al riguardo, le sentenze “gemelle” delle Sezioni unite del 28 marzo 2013, nn. 37424 e 37425 (Romano e Favellato), emesse in tema di concorso fra gli illeciti penali di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, d.lgs. 74/2000 e quelli di cui all'art. 13, d.lgs. 472/1997, che hanno ricostruito «il rapporto fra i due illeciti in termini, non di specialità, ma piuttosto di ‘progressione'» (cfr., Cass. pen., Sez. unite. 37424/2013, “Considerato in diritto”, paragrafo 5.1), sulla base di un raffronto tra le fattispecie astratte penali e ed amministrative.

Con la previsione di cui all'art. 20, recante Rapporti tra procedimento penale e processo tributario, il Legislatore ha specificato la regola deldoppio binario processuale, già contenuta all'art. 12, d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 1982, n. 516, vietando la sospensione del procedimento amministrativo e del processo tributario in pendenza di procedimento penale per un idem factum.

Le interferenze tra sistema sanzionatorio amministrativo e sistema sanzionatorio penale sono state acuite, sotto l'aspetto sostanziale, dalla novella introdotta con il d.lgs. 158/2015.

Infatti, all'art. 12-bis, comma 2, si è prevista una sorta di sospensione condizionale della confisca nel caso di impegno da parte del contribuente ad adempiere al proprio debito tributario (sempre comprensivo di imposte, interessi e sanzioni amministrative) (si veda Confisca diretta e di valore e sequestro preventivo nella disciplina dell'art. 12-bis, comma 1, d.lgs. 74/2000) .

All'art. 13, commi 1 e 2, si è, invece, introdotta una specifica causa di non punibilità conseguente all'integrale pagamento degli importi dovuti all'erario.

All'art. 13, comma 3, si è, altresì, stabilito che il processo penale resti sospeso, per un massimo di sei mesi, per consentire l'adempimento delle obbligazioni tributarie rateizzate anteriormente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in relazione ai reati di omesso versamento, ovvero anteriormente alla formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche, attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, in relazione ai reati di cui agli artt. 4 e 5 del decreto (si veda Reati tributari e cause di non punibilità ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 74 del 2000).

Infine, a mente del nuovo art. 13-bis del decreto, qualora l'estinzione dei debiti tributari avvenga, comunque, prima di dichiarazione di apertura del dibattimento, le pene previste per tutti i delitti di cui al decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie di cui all'art. 12.

Con la novella del 2015 si sono, così, rafforzate le “convergenze parallele” del doppio binario sanzionatorio, già timidamente abbozzate nella versione originaria della norma di cui all'art. 13 (che disciplinava una circostanza attenuante speciale ad effetto speciale analoga a quella di cui all'art. 13-bis), e successivamente accentuate con la novella di cui al d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella l. 14 settembre 2011, n. 148.

Con tale intervento legislativo, infatti, si inibiva, per la prima volta, l'accesso al patteggiamento in caso di mancato integrale pagamento del debito tributario per i delitti di cui agli artt. da 2 a 10 del decreto (attualmente, a seguito della novella del 2015, tale divieto è operante per tutti i reati previsti dal decreto, art. 13-bis, comma 2).

Se i contorni della disciplina dei rapporti tra sanzione penale e sanzione tributaria nonché tra procedimento penale, da un lato, e procedimento amministrativo e processo tributario, dall'altro, risultano già sfocati per espressa previsione legislativa, a renderli ancor più incerti ha contribuito la giurisprudenza delle Corti sovrannazionali di cui si offrirà nel seguito una breve rassegna.

Il principio del ne bis in idem nelle pronunce delle Corti sovrannazionali; dalla sentenza Engel c. Paesi Bassi alla sentenza A. e B. c. Norvegia

Nel 1976, la Corte Edu, su ricorso presentato contro i Paesi Bassi da due militari olandesi, precisa, per la prima volta, le modalità attraverso le quali verificare se una determinata ‘accusa' sia sussumibile nella materia penale, ancorché alla stessa non sia formalmente attribuita rilevanza penale dalla normativa interna.

Al paragrafo 82 della sentenza 8 giugno 1976, n. 22 (Engel c. Paesi Bassi), la Corte Edu stabilisce che la verifica circa la natura penale di un'accusa debba compiersi attraverso tre distinte fasi.

Innanzitutto, occorre valutare se le disposizioni che definiscono l'illecito «appartengano, secondo la tecnica giuridica dello Stato convenuto, al diritto penale» o ad altra materia.

In altre parole, si tratta di una verifica formale circa il nomen iuris attribuito dallo Stato al precetto sanzionatorio.

In secondo luogo, occorre verificare la natura stessa dell'illecito, inteso come azione od omissione che trasgredisce una norma giuridica regolante una specifica materia dell'ordinamento.

Tuttavia, tale verifica «si rivelerebbe in generale illusoria se non prendesse in considerazione il grado di severità della sanzione che l'interessato rischia di subire».

In conclusione, «attengono alla ‘materia penale' le privazioni di libertà suscettibili di essere inflitte a titolo repressivo, tranne quelle che per la loro natura, la loro durata o le loro modalità di esecuzione non possono provocare un serio pregiudizio».

La sentenza Engel c. Paesi Bassi costituisce, quindi, il punto di partenza per l'individuazione di un minimo comun denominatore della natura penale di una sanzione, indipendentemente da come essa sia qualificata negli ordinamenti giuridici degli Stati aderenti.

In relazione alla materia dei reati tributari, i c.d. Engel criteria hanno trovato applicazione in svariate pronunce della Corte Edu.

In Jussila c. Finlandia (Corte Edu, Grande Camera 23 novembre 2006), viene affermato come, qualora il contribuente venga costretto non solo a corrispondere l'imposta evasa, ma, altresì, a versare una sovrattassa, quest'ultima debba essere considerata sanzione a carattere penale, assumendo la funzione retributiva e social-preventiva tipica della pena.

Nelle sentenze Nykanen c. Finlandia del 20 maggio 2014, Lucky Dev c. Svezia del 27 novembre 2014, Kiiveri c. Finlandia del 10 febbraio 2015, è stata affermata l'incompatibilità del doppio binario sanzionatorio previsto nella materia tributaria dall'ordinamento dei due Paesi scandinavi rispetto al divieto di bis in idem sancito dall'art. 4 del protocollo 7 Cedu.

In particolare, con la sentenza Nykanen c. Finlandia, la Corte ritiene violato il divieto di bis in idem sostanziale ancorché la sanzione qualificata come amministrativa ed irrogata in via definitiva sia di entità irrisoria; nel caso di specie era, infatti, stata applicata una sovrattassa pari ad € 1.700,00.

La Corte di Strasburgo si è recentemente occupata del doppio binario sanzionatorio nell'ordinamento italiano con la sentenza 4 marzo 2014, n. 18640, Sez. II (Grande Stevens c. Italia).

La decisione è stata emessa nella materia del c.d. market abuse ed in particolare in relazione allasanzione amministrativa prevista dall'art. 187-ter d.lgs. 58/1998 ed alla sanzione penale di cui all'art. 185 del medesimo decreto.

In tale pronuncia, in applicazione dei criteri di Engel, viene riconosciuto un grado di afflittività alla sanzione formalmente qualificata come amministrativa tale da configurarla quale sanzione sostanzialmente penale.

Parte della giurisprudenza italiana ha preso atto dei principi affermati dalla Corte Edu in materia di reati tributari, pur adottando diverse soluzioni processuali.

Ad esempio, il tribunale di Bologna, con l'ordinanza 21 aprile 2015, ed il tribunale di Treviso, con l'ordinanza 18 febbraio 2015, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, rispettivamente, dell'art. 649 c.p.p., in relazione all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 e dello stesso art. 10-ter, per contrarietà al combinato disposto di cui agli artt. 117, comma, 1, Cost. e 4 del protocollo 7 Cedu.

La Corte costituzionale, con le ordinanze nn. 112 e 209 del 2016, ha rinviato gli atti ai giudici rimettenti per una nuova valutazione circa la rilevanza della questione, alla luce del “novum normativo” costituito dal d.lgs. 158/2015.

In particolare, l'innalzamento delle soglie di punibilità dei reati di omesso versamento e l'introduzione all'art. 13 di una causa di non punibilità conseguente al pagamento del debito tributario sono state, a ragione, considerate innovazioni concretamente idonee ad incidere sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sottoposte alla Corte.

Anche il tribunale di Monza, con ordinanza 30 giugno 2016, caratterizzata da un elevatissimo grado di approfondimento della presente materia, ha proposto la medesima questione di legittimità costituzionale già sollevata dal tribunale di Bologna (attentamente valutando in ordine al profilo della rilevanza).

Il giudice delle leggi non si è ancora pronunciato al riguardo.

In almeno due casi, poi, i giudici di primo grado hanno applicato direttamente i principi enunciati dalla Corte di Strasburgo, attraverso un'interpretazione estensiva dell'art. 649 c.p.p. (tribunale di Asti, Sez. II, 7 maggio 2014, n. 714; tribunale di Terni, 12 giugno 2015, n. 674).

Diversamente, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con due ordinanze, rispettivamente del 23 aprile e del 23 giugno 2015, ed il tribunale di Bergamo, con ordinanza del 16 settembre 2015, hanno, invece, utilizzato lo strumento processuale del rinvio pregiudiziale di cui all'art. 267 T.F.Ue, richiedendo alla Corte di Lussemburgo se la previsione dell'art. 50 CDFUE, interpretata alla luce dell'art. 4 del protocollo 7 Cedu e della relativa giurisprudenza della Corte Edu, ostasse alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento Iva) per cui il soggetto imputato era già stato sanzione amministrativa irrevocabile.

La Quarta Sezione della Corte di Giustizia europea, con la sentenza 5 aprile 2017, ha deciso i rinvii promossi dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

In primo luogo, la Corte ha rilevato come i procedimenti penali italiani avessero ad oggetto fatti commessi dagli imputati, sigg.ri Orsi e Baldetti, «quali legali rappresentanti delle società che sono state oggetto di sanzioni tributarie».

Pertanto, la Corte, richiamando propri precedenti specifici (paragrafi 19 e 20) nonché la sentenza della Quarta Sezione della Corte Edu, 20 maggio 2014, Pirttimäki c. Finlandia, ha dichiarato che «l'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente di avviare procedimenti penali per omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dopo l'irrogazione di una sanzione tributaria definitiva per i medesimi fatti, qualora tale sanzione sia stata inflitta ad una società dotata di personalità giuridica, mentre detti procedimenti penali sono stati avviati nei confronti di una persona fisica».

I principi di diritto espressi dalla Corte Edu nella sentenza Pirttimäki c. Finlandia, posta a base della decisione della Corte di giustizia di cui sopra, non trovano tuttavia conferma nella successiva sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nel caso Kiiveri c. Finlandia già citato.

Con tale pronuncia, il giudice sovrannazionale ha, infatti, accolto il ricorso presentato dall'amministratore delegato di una società, della quale deteneva il 90% del capitale sociale, in applicazione dell'art. 4 del protocollo 7 della Convenzione, atteso che, successivamente all'applicazione della sanzione amministrativa tributaria in via definitiva, il ricorrente era stato altresì condannato penalmente per frode fiscale.

Pertanto, in relazione alla applicabilità del divieto di bis in idem nel caso di violazioni tributarie commesse dall'ente e di sanzioni penali applicate al suo legale rappresentante, potrebbe sostenersi che, allo stato, la giurisprudenza europea non abbia, per utilizzare le parole della Corte costituzionale (cfr., Corte cost., n. 49/2015), “generato un diritto consolidato”.

E neppure, alla luce della recente sentenza nel caso A. e B. c. Norvegia (Corte Edu, Grande Camera, 15 novembre 2016), può più ritenersi sussistente un “diritto consolidato” circa l'applicazione dell'art. 4 del Protocollo 7 Cedu nel caso di contemporanea applicazione di sanzioni tributarie e di sanzioni penali per un idem factum a carico di un medesimo soggetto.

Infatti, sulla scorta di tale innovativa pronuncia, non vi sarebbe violazione del ne bis in idem convenzionale qualora tra il procedimento amministrativo ed il procedimento penale sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta.

La Corte (paragrafo 132, qui di seguito in parte tradotto liberamente) ritiene che tale connessione sussista quando:

  1. i due differenti procedimenti perseguano finalità complementari ed abbiano ad oggetto, non solo in astratto, ma anche in concreto, differenti aspetti della condotta antisociale;
  2. la dualità dei procedimenti sia una prevedibile conseguenza, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello pratico, della medesima condotta;
  3. il procedimento amministrativo e quello penale siano condotti in modo tale da evitare, per quanto possibile, qualsiasi duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in particolare attraverso un'adeguata interazione tra le varie autorità competenti che comporti «che l'accertamento dei fatti in un procedimento sia altresì utilizzato nell'altro procedimento»;
  4. soprattutto, la sanzione imposta nel procedimento che per primo diventi definitivo sia tenuta in debito conto nel secondo procedimento, al fine di prevenire che il soggetto coinvolto debba patire un onere eccessivo, «rischio che ha meno possibilità di concretizzarsi qualora sia previsto un meccanismo di compensazione finalizzato ad assicurare che l'ammontare complessivo delle sanzioni sia proporzionato».

In sintesi, la Corte ritiene legittimo un sistema caratterizzato da duplicità di sanzioni e di procedimenti (di natura penale e di natura amministrativa), qualora vi sia complementarietà ed interdipendenza tra tali procedimenti in modo tale che le due sanzioni che ne scaturiscono in concreto si integrino reciprocamente ed il loro cumulo porti ad una pena complessivamente non sproporzionata.

In conclusione

Era stato opportunamente osservato, prima della pronuncia della Corte Edu A. e B. c. Norvegia, come la norma di cui all'art. 4 del Protocollo 7 della Cedu, nell'interpretazione fornita dalla giurisprudenza delle Corti sovrannazionali, avrebbe potuto condurre ad un cortocircuito del sistema sanzionatorio penal-tributario italiano (CARINCI, cit., 510).

Ciò in quanto, nella maggioranza dei casi pratici, la sanzione qualificata come formalmente amministrativa trova applicazione prima che intervenga, in ambito penale, una sentenza definitiva in relazione al medesimo fatto (naturalistico).

Il che avrebbe potuto portare ad una concreta disapplicazione dei precetti penal-tributari.

La sentenza A. e B. c. Norvegia ha, evidentemente, tentato di porre rimedio alla situazione sopra delineata, idonea a porre in discussione i sistemi sanzionatori basati sul doppio binario vigenti in Italia ed in altri Paesi aderenti alla Cedu.

Resta da vedere se, alla luce dei criteri enunciati dalla Corte di Strasburgo per ritenere legittimo il doppio binario sanzionatorio, il nostro ordinamento interno possa ritenersi ad essi conforme.

La soluzione al quesito, naturalmente, non può essere offerta nella presente sede.

È tuttavia di macroscopica evidenza, l'assenza, nel nostro ordinamento, di una norma che possa consentire di effettuare un cumulo giuridico fra la sanzione (solo formalmente) amministrativa e quella penale.

Dacché, per ciò solo, potrebbe ritenersi l'inidoneità del nostro sistema sanzionatorio tributario.

A meno che, in forza dell'equiparazione dell'illecito – solo formalmente – amministrativo a quello penale in applicazione degli Engel criteria, il giudice penale possa applicare l'art. 81 c.p., tenendo conto, nella irrogazione della condanna, della precedente sanzione irrogata in sede amministrativa.

Tuttavia, i problemi di natura pratica ed applicativa che caratterizzerebbero tale ultima soluzione sarebbero, ragionevolmente, insuperabili.

Pertanto, qualora dovesse consolidarsi l'indirizzo espresso nella pronuncia A. e B. c. Norvegia, dovrebbe imporsi un intervento legislativo finalizzato a disciplinare positivamente quanto meno l'aspetto del cumulo giuridico tra sanzioni penali e sanzioni amministrative.

Per ora, può solo dirsi che, con tale pronuncia, la Corte Edu abbia offerto molteplici argomenti ai giudici interni, sia di merito che di legittimità, per ritenere compatibile il doppio binario sanzionatorio in ambito tributario con il divieto convenzionale di bis in idem.

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