Custodia cautelare in carcere e divieto di concessione degli arresti domiciliari in caso di evasione e pena irroganda non inferiore a tre anni
26 Agosto 2015
Nei confronti di soggetto che, nel quinquennio precedente al fatto per cui si procede, abbia riportato condanna per evasione, è possibile fare ricorso alla misura della custodia cautelare in carcere ove non sia pronosticabile la condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni? Il dubbio sorge in considerazione del fatto che la previsione dell'art. 284, comma 5-bis, c.p.p. non è ricompresa nelle clausole di salvaguardia di cui all'art. 275, comma 2-bis, c.p.p.
In effetti, i motivi di perplessità sono più che fondati e derivano dalla recente stratificazione normativa che ha inciso sulle previsioni in materia di misure cautelari, senza affrontare in modo puntuale tutti i problemi di coordinamento. Una risposta di segno affermativo al quesito sollevato scaturisce, in primo luogo, da considerazioni di ordine logico, perché – laddove il legislatore mostra di ritenere inefficaci quegli arresti domiciliari che, nella scala di gravità delle misure cautelari, precedono immediatamente la custodia in carcere – non avrebbe senso ritenere appaganti solo misure meno afflittive. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che “il divieto di concessione degli arresti domiciliari al condannato per evasione, previsto dall'art. 284, comma 5, c.p.p. ha carattere assoluto e, pertanto, prevale sulla disposizione di cui all'art. 275, comma 2-bis, c.p.p., in base alla quale non può essere applicata la misura cautelare della custodia in carcere quando il giudice ritiene che la pena irrogata non sarà superiore a tre anni” (Cass. pen., 12 marzo 2015, n. 14111). Tale principio di diritto è basato sul ragionamento che “la presunzione assoluta di inaffidabilità” del soggetto che abbia riportato condanna per evasione nel quinquennio – presunzione già passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (Corte cost., 16 aprile 2003, n. 130) – si traduca in “presunzione di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere”; detta presunzione, in assenza di disposizione specifica di segno contrario, non può considerarsi superata dalla norma di carattere generale contenuta nell'art. 275, comma 2-bis, c.p.p., ispirata prevalentemente da finalità di deflazione della popolazione carceraria. Tale impostazione, però, merita di essere, almeno in parte, riassestata a seguito della modifica apportata al testo dell'art. 284, comma 5-bis, c.p.p. dalla l. 47/2015, che, tenuto fermo il divieto di concedere gli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per evasione nel quinquennio, fa ora espressamente salvo il caso in cui “il giudice ritenga, sulla base di specifici elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con tale misura”. In altri termini, la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere è stata trasformata in presunzione relativa, con la conseguenza che, se pure non opera lo sbarramento della pena irroganda non inferiore a tre anni, il giudice non è, comunque, costretto a ricorrere al carcere, ove lo ritenga sproporzionato alle esigenze cautelari ravvisate nel caso concreto.
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