Operazioni sotto copertura, l’influenza della Corte Edu sull'applicabilità della scriminante. Provocatore o infiltrato?
26 Novembre 2015
Abstract
Dopo anni di interpretazioni che confondevano natura e funzioni dell'agente sotto copertura, la dottrina, prima, e la giurisprudenza della Corte Edu, poi, hanno progressivamente fatto chiarezza, distinguendo l'agente infiltrato (soggetto che, appartenendo alle forze di polizia o collaborando formalmente con esse, agisce nell'ambito di un'indagine preliminare ufficiale di cui le autorità sono al corrente, in presenza di plausibili sospetti a carico di una o più persone circa la futura commissione di un reato) dall'agente provocatore (soggetto che, anche al di fuori di una missione ufficialmente autorizzata e controllata da un giudice, al solo scopo di procedere all'arresto qualora l'istigazione sia accolta, pone in essere una condotta “attiva”, ossia di istigazione, induzione, ideazione o esecuzione di uno o più fatti penalmente illeciti, che senza il suo intervento determinante non si sarebbero mai verificati. Sul punto, Lettieri, Intercettazioni telefoniche, attività sotto copertura e agenti provocatori nella C.E.D.U.: rapporti con l'ordinamento italiano, in progettoinnocenti.it, 20). E dunque, nell'espletamento delle sue attività l'infiltrato, a differenza del provocatore, non si spinge a determinare effettivamente condotte criminose altrui che, senza la sua azione, non avrebbero avuto luogo, ma si limita ad un'opera “passiva” di osservazione e contenimento (Balsamo, Operazioni sotto copertura ed equo processo: la valenza innovativa della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Cass. pen., 2008, 2642; Cass. pen., Sez. V, n. 26763/2008). Tale distinzione è oggi ben ribadita anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di attività sotto copertura, onde apprezzarne la compatibilità con il principio del processo equo di cui all'art. 6 Cedu, come anche interpretato dalla Corte di Strasburgo, va distinta la figura dell'agente infiltrato da quella dell'agente provocatore. Il primo, la cui condotta è legittima, è un appartenente alle forze di polizia o un suo collaboratore che agisce in modo controllato nell'ambito di un'attività di indagine ufficiale e autorizzata con finalità di osservazione e contenimento di condotte criminose che, in base a sospetti, si suppone che altri soggetti siano in procinto di compiere. Il secondo, invece, è soggetto che, pur appartenente alle forze di polizia, al di fuori di un'indagine ufficialmente autorizzata, determina altri alla commissione di reati che, senza la sua azione, non sarebbero stati commessi: la sua attività non è consentita e, oltre a determinare la responsabilità penale dell'infiltrato, produce, quale ulteriore conseguenza, l'inutilizzabilità della prova acquisita (art. 191 c.p.p.) e rende l'intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell'art. 6 Cedu (Cass. pen., Sez. III, n. 17199/2011; in senso conforme, da ultimo, Cass. pen., Sez. III, n. 1258/2013). Tuttavia, si ammette l'esistenza di figure ibride, in cui l'attività di polizia pur non essendo riconducibile all'azione tipica dell'agente infiltrato, non può neanche essere ricondotta a quella non consentita dell'agente provocatore con gli effetti anche di inutilizzabilità di cui si è detto, come ad esempio nell'ipotesi in cui risulti che l'operatore di polizia non aveva affatto provocato gli imputati per indurli a vendere della droga, essendosi limitato a partecipare a un appuntamento solo preliminare, diretto a riscontrare l'attendibilità della notizia del traffico illecito di droga; mentre all'arresto degli imputati si era poi proceduto in conseguenza degli imprevedibili accadimenti della vicenda, caratterizzati dall'accertato possesso della droga e dall'offerta in vendita di questa proprio all'operatore in incognito (Cass. pen., Sez. III, n. 17199/2011, cit.). Invero, la giurisprudenza si è sempre chiesta quali siano i margini della responsabilità penale dell'agente under cover, facendo peraltro dipendere solo da quest'ultimo l'inutilizzabilità delle attività compiute (il legame conseguenziale è chiaramente esposto in Cass. pen., Sez. III, n. 37805/2013) e ritenendo ininfluenti sugli esiti del processo le altre irregolarità, come la carenza di requisiti soggettivi (Cass. pen., Sez. IV, 9188/2010), arrivando ad ammettere, ad esempio, la registrazione fonografica dei colloqui intervenuti tra agenti provocatori e il venditore di sostanze stupefacenti, a sua insaputa e pur in assenza di specifica autorizzazione dell'autorità giudiziaria (Cass. pen., Sez. IV, n. 41799/2009). Del resto, il legislatore enumerando tassativamente i comportamenti passivi o agevolatori, rientranti fra le attività scriminate dell'agente sotto copertura (non sono punibili coloro i quali danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego o compiono attività prodromiche e strumentali), esclude quelli attivi, ossia diretti a stimolare o a determinare causalmente la commissione di un reato, tipicamente riconducibili alla figura dell'agente provocatore in senso stretto. Ed è indiscutibile il divieto di interpretazione analogica dei presupposti sostanziali di cui all'art. 9 l. 146/2006, per cui risponde penalmente l'agente infiltrato che agisce per l'accertamento di un reato non contemplato dalla norma in quanto non può commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili dall'art. 9 della legge citata, o a esse strettamente e strumentalmente connesse (Cass. pen., Sez. III, n. 37805/2013; Cass. pen., Sez. III, n. 8380/2008). È recente la decisione della Cassazione sulla liceità e piena utilizzabilità delle attività svolte dall'agente infiltratosi in un'organizzazione dedita al traffico transcontinentale di sostanze stupefacenti, il quale aveva partecipato negli Stati Uniti ad una riunione preparatoria dell'attività illecita e, giunto in Calabria, aveva avuto contatti con esponenti del gruppo facente capo al ricorrente, acquistando partite di eroina (Cass. pen., Sez. IV, 11 dicembre 2014, n. 41006). I limiti della speciale causa di giustificazione secondo la giurisprudenza della Corte Edu
Sin dagli anni ‘90, la Corte di Strasburgo, affrontando più volte il problema dei limiti di liceità della condotta dell'infiltrato, ha ravvisato nell'utilizzo di metodiche investigative che si concretizzano in una vera e propria pressione od incitazione al crimine del soggetto sottoposto ad indagini sotto copertura la violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sotto il peculiare profilo processuale del principio dell'equo processo di cui all'art. 6, comma 1, Cedu. In particolare, con la nota sentenza Teixeira de Castro del 1998, la Corte Europea ha preliminarmente chiarito che nelle moderne società democratiche la funzione degli organi investigativi è quella di proteggere la collettività contro la criminalità esistente e pronta ad entrare in azione, non anche quella di creare criminalità, inducendo a delinquere soggetti che non avrebbero mai commesso alcunché di penalmente illecito se non fossero stati provocati. Una tattica realmente provocatoria, infatti, sarebbe tollerabile unicamente in un'ottica di positivismo criminologico da difesa sociale, non certo in un ordinamento dove vige il principio di colpevolezza per il quale ciascuno risponde solo in ragione della propria libera autodeterminazione a commettere un reato (si veda Corte Edu, 9 giugno 1998, Texeira de Castro c. Portogallo; sulla quale Vallini, Il caso “Teixeira De Castro” davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo ed il ruolo sistematico delle ipotesi legali di infiltrazione poliziesca, in Leg. pen., 1999, 197). Muovendo da questi presupposti, si è così logicamente pervenuti alla conclusione che integra una violazione del principio del giusto processo statuito nell'art. 6 Cedu il comportamento di alcuni agenti di polizia giudiziaria, non consistente in una mera operazione di osservazione e contenimento ma in una vera e propria provocazione di una condotta criminosa che, senza la loro azione, non avrebbe avuto luogo (Bortolin, Operazioni sotto copertura e “giusto processo”, in Balsamo-Kostoris, Giurisprudenza europea e processo penale italiano, Torino, 2008, 403). Da qui la differenza fra l'infiltrato (agent infiltré) e il provocatore (agent provocateur): quando si oltrepassa la menzionata linea di confine, non limitandosi l'agente a tenere una condotta passiva ma realizzando vere e proprie condotte attive di istigazione al reato, il processo non sarà equo, poiché l'interesse pubblico alla scoperta e repressione dei reati, che legittima il ricorso a tali peculiari tecniche investigative, non può mai arrivare a giustificare l'utilizzazione di prove ottenute provocando la condotta illecita tramite un agente di polizia (Puglisi, Operazioni sotto copertura tra diritto al silenzio e principio di non dispersione della prova, in Cass. pen., 2009, 2963). La Corte Edu, dunque, oltre a chiarire definitivamente i contenuti della provocazione, individua un vero e proprio substantive test of incitement (si veda la Guide on article 6. Right to a fair trial (criminal limb), in echr.coe.int), mediante il quale indica i presupposti di carattere sostanziale e processuale che concorrono, assieme, a determinare la responsabilità dell'agente e il non coinvolgimento del soggetto su cui sono gravate le indagini sotto copertura. Secondo alcuni, la Corte, motivata dall'esigenza di esercitare in modo ampio il proprio controllo valutando la sussistenza della violazione del fair trial caso per caso, si è spinta oltre le sue funzioni ordinarie, poiché quei criteri di individuazione comportano implicazioni di carattere sostanziale, arrivando in alcuni casi a disegnare una vera e propria causa di non punibilità anche a favore del provocato (Di Martino, Concorso di persone nel reato, in Aa.Vv., Le forme di manifestazione del reato, a cura di De Francesco, Torino, 2011, 239). Successivamente, la Corte Edu ha avuto modo di chiarire che, quando le autorità si siano limitate ad osservare il comportamento di soggetti che si muovono in ambienti vicini alla criminalità e la commissione del reato è dipesa, in ultima analisi, dalla libera scelta del reo, non influenzata in maniera sostanziale dall'azione degli agenti di polizia, i loro comportamenti devono essere scriminati, poiché non integrano alcuna violazione del principio dell'equo processo (Corte Edu, 21 febbraio 2008, Pyrgiotakis c. Grecia; Corte Edu, 21 marzo 2002, Calabrò c. Italia/Germania; Corte Edu, 1 luglio 2008, Malininas c. Lituania; da ultimo, cfr. Corte Edu, 1 giugno 2011, Lalas c. Lituania nonché Corte Edu, 4 novembre 2010, Bannikova c. Russia, dove è stato ribadito che se l'attività dell'infiltrato rimane nei limiti del comportamento essenzialmente passivo non c'è alcuna violazione dell'art. 6 Cedu, diversamente, se li oltrepassa agendo illecitamente come agente provocatore, la violazione sussiste). Viceversa, è definita provocazione, o entrapment, quell'atteggiamento che non è riuscito a rimanere nei limiti di un azione essentially passive (Corte eur., 26 gennaio 2007, Khudobin c. Russia, n. 59696/2000) spingendosi sino ad influenzare ed incitare la commissione del reato (Corte Edu, Ramanauskas c. Lituania, 5 febbraio 2008). I parametri fattuali di cui dispone il giudice per valutare tale comportamento sono legati al soggetto indagato (la mancanza di precedenti penali, la non conoscenza dello stesso da parte della polizia), alle modalità con cui è posta in essere l'azione (eventuali pressioni della polizia, sul punto Corte Edu, 15 dicembre 2009, Burak Hun c. Turchia, n. 17507/2004, § 44; Corte Edu, Ramanauskas c. Lituania, cit., § 67; Corte Edu, 1 luglio 2008, Malininas c. Lituania, n. 10071/2004, § 37; Corte Edu., 25 dicembre 2005, Vanyan c. Russia, n. 53203/1999, §§ 11 e 49), alle circostanze del reato (Corte Edu, Milinienė c. Lituania, cit.; Corte Edu, Teixeira de Castro c. Portogallo, cit.), all'assenza di un'ipotesi di reato già iscritta (Corte Edu, 29 settembre 2009, Constantin and Stoian c. Romania, n. 23782/2006 e 46629/06; ipotesi da sola non sufficiente a dimostrare l'assenza di una provocazione, Corte Edu., 4 novembre 2010, Bannikova c. Russia, n. 18757/2006) e alla mancanza delle autorizzazioni previste dalla legge nazionale. L'onere della prova ricade sulla parte pubblica, alla quale spetta dimostrare l'assenza di incitement (Corte eur., Ramanauskas c. Lituania, cit.). La giurisprudenza della Corte Edu in ordine agli aspetti processuali
Sul piano processuale, a tutela dei principi del giusto processo, la Corte esige che la parte sia sempre messa in condizione di chiedere ed ottenere una verifica giurisdizionale di tali presupposti (il c.d. plea of incitement, si veda sul punto Corte Edu., 6 maggio 2003, Sequeira c. Portogallo, n. 73557/2001, in cui emerge chiaramente la duplicità di analisi, sostanziale e processuale, che la Corte deve svolgere in caso di operazioni sotto copertura. V., nel commento alla sentenza, Loiodice 2009, 45-68), senza la quale il processo penale si presumerà violato pur in presenza di un comportamento lecito dell'agente sotto copertura (Corte Edu, 27 ottobre 2004, Edwards and Lewis c. Gran Bretagna, n. 39647/1998 e 40461/1998, § 46. Analogamente, Corte Edu, 9 novembre 2010, Ali c. Romania, n. 20307/2002, § 101; Corte eur., 4.10.2005, Shannon c. Gran Bretagna, n. 6563/03. Si veda, altresì, Corte Edu, 26 ottobre 2006, Khudobin c. Russia, n. 59696/2000). La Corte, inoltre, si occupa dell'anonimato legato all'utilizzazione e protezione degli agenti infiltrati di cui legittima l'uso ma nel rispetto di alcuni diritti fondamentali di cui non si può giustificare la compressione (Corte Edu, 30 ottobre 1997, Van Mechelen c. Olanda, n. 21363/1993): non potendo ottenere informazioni circa le vere generalità della persona che viene sottoposta al plea of incitement (l'infiltrato), la difesa non può servirsi di questi dati per sollevare dubbi circa l'affidabilità, onestà e credibilità del testimone (Corte Edu, 15 giugno 1992, Ludi c. Svizzera,ove si biasima il rifiuto di procedere ad un qualsivoglia tipo di esame dell'agente infiltrato). Di conseguenza, la Corte ritiene che il privilegio dell'anonimato possa essere accettato solo se strettamente necessario: le autorità devono dimostrare che la misura corrisponde ad un oggettivo imperativo contingente e che misure radicali sarebbero state inefficaci. Il giudice, in particolare, dovrà essere informato circa le circostanze che giustificano la cautela e dovrà dimostrare di averle opportunamente vagliate e poste in bilanciamento con i diritti della difesa alla luce di tutte le specificità del caso concreto, dalle quali dovrà dimostrare di aver dedotto l'effettiva esistenza del pericolo di rappresaglie e/o dell'esigenza di riutilizzare l'agente provocatore in ambienti criminali vicini a quelli dell'imputato. Inoltre, è necessario che opportune garanzie siano attuate per compensare il vulnus processuale che l'anonimato pone alla difesa. La valutazione di siffatte garanzie non può farsi in astratto e varia, naturalmente, da caso a caso: la giurisprudenza europea le ha individuate, ad esempio, nella presenza all'interno delle legislazioni nazionali delle condizioni in cui l'anonimato può essere concesso e la previsione di rimedi giurisdizionali avverso le decisioni rese sul punto (Corte Edu, 1 febbraio 2002, Visser c. Olanda, n. 26668/1995); inoltre, il giudice nazionale che assiste all'esame del testimone anonimo deve essere messo nelle condizioni di verificare l'identità dell'agente e conoscerne i precedenti, in modo da poter operare un controllo sulla credibilità ed onestà del teste che la difesa è impossibilitata a fare a causa delle condizioni particolari in cui verte l'esame; infine, i giudici sono tenuti a valutare con estrema attenzione le dichiarazioni del teste “infiltrato” dando conto dettagliatamente, nella motivazione della sentenza, delle ragioni per cui le hanno ritenute attendibili. In conclusione
È, dunque, innegabile l'influenza degli orientamenti interpretativi della giurisprudenza sovranazionale sulla nostra giurisprudenza di legittimità, dal momento che la Corte di cassazione in più occasioni è pervenuta alle medesime conclusioni delle menzionate sentenze di Strasburgo: mentre il requisito per la non punibilità dell'infiltrato è rappresentato proprio dalla sua mera partecipazione passiva alla commissione di uno dei reati per i quali è stata disposta l'operazione sotto copertura, pone in essere prevalentemente un'attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui (Cass. pen., Sez. VI, n. 51678/2014; Cass. pen., Sez. I, n. 10695/2008; Cass. pen., Sez. VI, n. 12347/1999; Cass., sez. I, n. 6301/1999); integra, invece, un contributo rilevante ai sensi del concorso di persone eventuale la provocazione in senso stretto, cioè la induzione a commettere un reato che altrimenti il provocato non avrebbe realizzato, mediante azioni consistenti nell'incitamento o nell'induzione alla commissione di un reato o, meglio, sussistenti quando postulano un'adesione acritica e supina del reo al progetto dell'agente provocatore, che deve fungere da fonte ed occasione assoluta dell'illecito perpetrato (Cass. pen., Sez. III, n. 37805/2013; Cass. pen., Sez. VI, n. 17199/2011; Cass. pen., Sez. V, n. 11915/2010; Cass. pen., Sez. VI, n. 16163/2008; Cass. pen., Sez. IV, n. 11634/2000). Più di recente, si è poi specificato che è punibile l'agente che svolge un'attività che ha una diretta efficacia causale rispetto all'evento delittuoso, ovvero tradisce la fiducia degli inquirenti, non comunicando fatti rilevanti per la prevenzione e repressione dei reati, così da agevolare l'attività degli esecutori materiali e da impedire l'identificazione di quest'ultimi (Cass. pen., Sez. V, n. 16397/2014). Tuttavia, nella realtà, la distinzione tra l'infiltrato e il provocatore non è sempre agevole perché il discrimine è labile, soprattutto se la valutazione deve essere fatta dal giudice a posteriori: la condotta dell'agente sotto copertura spesso ricomprende comportamenti tipici di un'attività provocatoria perché in ogni processo di inserimento nel circuito criminale possono rinvenirsi forme lievi di istigazione. Non a caso, al di là del teorico orientamento della giurisprudenza, la tendenza del legislatore si è indirizzata verso un progressivo potenziamento degli spazi di azione all'agente under cover, al fine di rispondere alle esigenze di efficienza investigativa (si pensi all'art. 97 d.P.R 309/1990, che ha legittimato l'acquisto simulato di droga; l'art. 12-quater l. 356/1992, che ha consentito la ricettazione di armi, riciclaggio e reimpiego simulati; per finire alle modifiche introdotte dalla legge n. 136/2010 legittimanti tutte le attività prodromiche e strumentali a quelle già contemplate dall'art. 9 della legge 149/2006), provocando una evidente spaccatura fra il dato legislativo, voluto dalla realtà operativa, e quello ermeneutico, creato restrittivamente dalla giurisprudenza. E probabilmente, ha inteso superare tale contrasto quella giurisprudenza più recente che ha rimodulato i propri schemi addivenendo a soluzioni ermeneutiche di compromesso. Ebbene, al cospetto di sentenze che non hanno riconosciuto la responsabilità dell'agente infiltrato attribuendo valore probatorio pieno ai risultati investigativi raggiunti, con un'ultima pronuncia, in tema di concorso esterno in associazione mafiosa (Cass. pen., Sez. VI, n. 39216/2013), è stata ritenuta non punibile la condotta degli agenti consistita nell'interlocuzione con l'infiltrato per conto della cosca criminale al fine di assicurare la pace sociale alle imprese aggiudicatarie dei lavori per i treni ad alta velocità. La Cassazione ha concluso, in via teorica, che non è configurabile il reato impossibile, in presenza dell'attività di agenti infiltrati, quando l'azione criminosa non deriva solo dagli spunti e dalle sollecitazioni istigatrici pur se ne costituisce l'effetto. Allo stesso modo, in tema di reati contro la libertà sessuale, si è ritenuta lecita l'attività della polizia postale che aveva messo in rete, con offerta rivolta alla generalità degli utenti web, immagini pedopornografiche acquisibili da soggetti interessati alla pedopornografia, ritenendo tale azione non determinante per la commissione del reato, limitandosi a disvelare un'intenzione criminale esistente ma allo stato latente, fornendo l'occasione per concretizzare la stessa (Cass. pen., Sez. II, 7 febbraio 2014, Buriana). Purtroppo, questa visione meramente sostanzialistica della questione intimamente connessa alla verifica di ciò che è penalmente lecito comporta un'eccessiva astrattezza dei concetti che mal di adatta alla realtà operativa nonché una altrettanto eccessiva discrezionalità dei giudici, liberi di definire e valutare cosa sia lecito e cosa no. Di conseguenza, a pagarne è il processo penale dal momento che dalla decisione di carattere sostanziale dipende l'utilizzabilità o meno del materiale investigativo acquisito così come la qualifica processuale dell'agente con una diversa valenza probatoria delle relative dichiarazioni: far discendere le conseguenze processuali da valutazioni di carattere sostanziale rischia di produrre soluzioni troppo diverse tra loro, a discapito della correttezza dell'accertamento e del principio di eguaglianza, e di sottovalutare le esigenze di tutela dell'indagato, potenzialmente vittima di un abuso investigativo e processuale (Curtotti, Operazioni sotto copertura, in A.a.V.v., Le associazioni di tipo mafioso, a cura di Romano, Torino, 2015, 433). Non a caso, con una ricca e severa giurisprudenza (analizzando le sentenze del 2014 in tema di infiltrazione in reati relativi al traffico di sostanze stupefacenti, tra le quali, Corte Edu, 18 dicembre 2014, Scholer c. Germania, n. 14212/2010; Corte Edu 1 luglio 2014, Parenivic c. Moldavia, n. 17953/2008; Corte Edu, 25 febbraio 2014, Vaduva c. Romania, n. 27781/2006, emerge che, innanzitutto, in quasi tutte si riconosce la violazione dell'art. 6 Cedu; in secondo luogo, la maggior parte di queste riguardano la mancata giustificazione di una adeguata motivazione per il mancato contraddittorio con l'agente infiltrato; infine, in un caso, la violazione è stata integrata dalla commissione di un entrapment per aver, gli agenti, contattato l'indagato ancor prima che fosse iscritto regolarmente nel relativo registro e ci fossero sospetti contro di lui, Corte Edu, 23 ottobre 2014, Furcht c. Germania, n. 54648/2009), la Corte Edu decide di spostare la ratio della disciplina dalla responsabilità dell'agente infiltrato alla protezione dei principi del giusto processo sul presupposto che l'attività sotto copertura debba essere circondata da particolari cautele a tutela dell'imputato e del corretto accertamento dell'ipotesi di reato (si veda Corte Edu, 30 gennaio 2014, Nosko e Nefedov c. Russia, n. 5753/2009 nonché Corte Edu, 24 aprile 2014, Lagutin c. Russia, n. 6228/2009; Corte Edu, 2 ottobre 2012, Veselov c. Russia, n. 23200/2010). |