L’applicabilità della sentenza di proscioglimento predibattimentale in appello

Daniele Livreri
26 Novembre 2015

Una pluralità di norme del vigente codice di rito consentono di ritenere che il giudice, preliminarmente all'accertamento della fondatezza dell'accusa, debba verificare l'esistenza di una serie di elementi alla cui presenza è legato il suo potere-dovere di scendere all'esame del merito e che, sinteticamente, vanno denominati condizioni processuali.
Abstract

Una pluralità di norme del vigente codice di rito consentono di ritenere che il giudice, preliminarmente all'accertamento della fondatezza dell'accusa, debba verificare l'esistenza di una serie di elementi alla cui presenza è legato il suo potere-dovere di scendere all'esame del merito e che, sinteticamente, vanno denominati condizioni processuali.

E ciò per incentivare ogni possibile risparmio di attività processuale e contenere […] l'approdo del procedimento alla più complessa e laboriosa fase dibattimentale (Bonetto).

Tra le norme ispirate alla ratio di economia e speditezza processuale si annovera l'art. 469 c.p.p. (Chinnici). Infatti la disposizione testé citata, posta tra quelle che disciplinano gli atti preliminari al dibattimento, prevede che se l'azione penale non doveva esser iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere.

Le ragioni dell'esclusione del meccanismo estensivo per il proscioglimento predibattimentale

Con giurisprudenza pressoché costante, la Corte di cassazione ha escluso che il meccanismo estensivo di cui all'art. 598 c.p.p. consenta ai giudici distrettuali di prosciogliere l'imputato prima del dibattimento ex art. 469.

Svariati gli argomenti addotti al riguardo.

Sul piano letterale si è rilevato che la sentenza predibattimentale è inappellabile e quindi non suscettibile di impiego al di fuori del primo grado di giudizio (Cass. pen., Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 18486).

Inoltre il rinvio operato dall'art. 598 c.p.p. alle disposizioni relative al giudizio di primo grado non riguarderebbe norme eccezionali, tra cui deve annoverarsi proprio l'art. 469, che introduce un meccanismo elusivo del giudizio ordinario (Cass., pen., Sez. III, 26 settembre 2007, n. 35577, nonché Cass., pen., Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 18486).

Peraltro, vi è da rammentare che l'applicabilità al giudizio di seconde cure delle disposizioni che regolano quello di primo grado, è comunque subordinata alla carenza di specifiche norme inerenti al processo di appello.

Orbene, gli atti preliminari al giudizio di impugnazione sono disciplinati autonomamente dall'art. 601, c.p.p. così come le ipotesi di decisione in camera di consiglio sono tassativamente previste ex art. 599 c.p.p., senza che alcuna di tali disposizioni richiami il proscioglimento prima del dibattimento (Cass., pen., Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 18486, Cass., pen., Sez. I, 19 giugno 2008, n. 26815).

Da altra angolazione prospettica, si è osservato che l'esigenza di economia e speditezza processuale, sottesa alla sentenza predibattimentale di proscioglimento, non ricorrerebbe nel giudizio di appello,contraddistinto da una fase dibattimentale di norma contratta (Cass., pen., Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 18486).

Inoltre, la suprema Corte ha escluso che i giudici del gravame possano rendere una sentenza di proscioglimento predibattimentale non soltanto sulla scorta dell'art. 469 c.p.p. ma anche in applicazione dell'art. 129 del medesimo codice. E ciò giacché la disposizione da ultimo citata presuppone necessariamente l'instaurazione di un giudizio in senso proprio (Cass., pen., Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 18486; Cass., pen., Sez. un., 19 dicembre 2001) o in altri termini un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio (Cass., pen., Sez. un., 25 gennaio 2005, n. 12283).

La dichiarazione de plano

Piuttosto isolati e comunque risalenti sono i precedenti che riconoscono l'applicabilità dell'art. 469 c.p.p. in appello (Cass., pen., Sez. I, 20 novembre 2003, n. 48914).

Tuttavia, anche nel caso da ultimo citato la suprema Corte ha pronunciato l'annullamento della sentenza dei giudici distrettuali, giacché adottata in violazione del principio del contraddittorio.

Ed invero da pressoché quasi tutte le pronunzie passate in rassegna emerge che il proscioglimento predibattimentale è stato dichiarato de plano. Al riguardo sembra quasi potersi affermare che i giudici distrettuali abbiano creato un istituto – ego quo nomine appellem nescio – che consenta, sotto le mentite spoglie dell'art. 469 c.p.p., il proscioglimento predibattimentale non soltanto in carenza di dissenso del pubblico ministero e dell'imputato (se questi non si oppongono), ma addirittura senza alcuna audizione delle parti ritualmente convocate, per come già previsto da una novella del 1955 al codice previgente. Del resto è agevole cogliere che l'istituto del proscioglimento predibattimentale in appello può svolgere una qualche funzione deflattiva soltanto lì dove esso consentisse di rendere la sentenza de plano, senza alcuna necessità di convocazione delle parti in apposita udienza in camera di consiglio; ove invece si dovesse dare piena esecuzione al disposto dell'articolo 469 c.p.p., di fatto non vi sarebbe, salvo le eccezionali ipotesi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, alcun risparmio processuale.

In conclusione

Pur non potendosi che censurare il ricorso all'art. 469 c.p.p., attraverso una rimodulazione delle sue cadenze processuali, appare chiaro l'intento deflattivo che anima le corti distrettuali .

Nondimeno, se ciò che si vuole schivare è la celebrazione di un'udienza per dichiarare l'intervenuta prescrizione del reato, si deve probabilmente rimeditare la effettiva portata dell'art. 129 c.p.p., rispetto al giudizio di appello.

Invero, se è lecito ritenere che il giudice di primo grado ante dibattimento non possa ricorrere alla norma testé citata, giacché non conoscendo egli gli esiti delle indagini, non può certamente apprezzare l'evidenza della prova dell'innocenza, si ché il riferimento ad ogni stato e grado del processo deve intendersi in relazione al giudizio in senso tecnico (Cass., pen., Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 4056), è anche vero che una tale valutazione è ben possibile al giudice di appello che conosce gli esiti del primo dibattimento, riletti anche alla luce dell'atto di gravame.

Tuttavia tale soluzione comporterebbe una chiara compressione della piena dialettica processuale tra le parti, proprio con riguardo alla possibilità di interloquire in ordine all'evidenza della prova dell'innocenza a fronte della causa estintiva maturatosi dopo la proposizione del gravame. Tutto ciò fermo restando comunque la impraticabilità di tale soluzione in caso di presenza nel processo della parte civile.

Guida all'approfondimento

G. Bonetto in Commento al Nuovo codice di procedura penale, coordinato da Chiavario, V, Torino, 1991, pag. 51, sub art. 469;

D. Chinnici, Il regime del proscioglimento dibattimentale in La Giustizia penale 2001, pagg. 339 e ss.;

C. Massa in Enc. Giur. Treccani, vol. XXV, Roma, 1991, p. 2, sub voce Proscioglimento.