Vittima di reato deceduta. Con il d.lgs. 212/2015 “le facoltà e i diritti” sono esercitabili anche dal convivente

27 Gennaio 2016

Il legislatore italiano è intervenuto con il d.lgs. 212/2015 nel tessuto dell'art. 90 c.p.p., anche nel senso di ampliare l'ambito dei soggetti aventi diritto a fruire della tutela riconosciuta alla persona offesa in quanto deceduta in conseguenza del reato, mediante l'addizione della nuova figura del soggetto legato alla vittima da relazione affettiva caratterizzata da stabile convivenza.
Abstract

Nel recepire la direttiva Cee 2012/29/Ue, il legislatore italiano è intervenuto con il d.lgs. 212/2015 nel tessuto dell'art. 90c.p.p., anche nel senso di ampliare l'ambito dei soggetti aventi diritto a fruire della tutela riconosciuta alla persona offesa in quanto deceduta in conseguenza del reato, mediante l'addizione della nuova figura del soggetto legato alla vittima da relazione affettiva caratterizzata da stabile convivenza. Tuttavia, per effetto di una non marginale diacronia del novum legislativo rispetto al testo della Direttiva, affiorano problematiche interpretative e applicative con riguardo alla natura stessa della relazione affettiva e, conseguentemente, spazi per l'individuazione di ulteriori figure relazionali di soggetti legittimati che, esterni al novero dei prossimi congiunti, sarebbero pur sempre considerabili quali familiari stabilmente conviventi.

I “diritti” e le “facoltà” riconosciute dall'ordinamento alla persona offesa dal reato

Prima degli innesti operati in seno all'art. 90 c.p.p. mediante gli artt. 1 e 2 del d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, il rito penale, sin dal 1988, aveva riconosciuto alla persona offesa dal reato la possibilità, pur non essendo questa una parte processuale, di interloquire nel processo presentando memorie anche nel corso del giudizio di cassazione e, durante i gradi del merito, di indicare elementi di prova.

Tanto in aggiunta ai poteri propri, consistenti all'esercizio dei diritti e delle facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla legge (art. 90, comma 1, c.p.p.).

Laddove i diritti, sono diretta estrinsecazione di un potere riconosciuto alla persona offesa di avanzare richieste in relazione alle quali, il pubblico ministero o il giudice, deve adottare una decisione motivata (Cass. pen., Sez. unite, 16 dicembre 1998,n. 24), mentre, le facoltà, emergono in quanto correlate all'esercizio di attività che la stessa può svolgere nel processo in senso persuasivo nei confronti dell'organo decidente al fine di indirizzare, o addirittura vincolare, la emissione di una pronuncia.

Tra i primi occorre ricordare per la persona offesa: il diritto a ricevere la informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.); quello di ottenere, previa formale richiesta, le comunicazioni delle iscrizioni concernenti la notizia di reato a la persona cui il reato risulta attribuito (art. 335, comma 3, c.p.p.); quello di essere informata, sempre che ne abbia preventivamente manifestato l'interesse, della richiesta di proroga del termine di durata delle indagini per poter presentare memorie al riguardo (art. 406, comma 3, c.p.p.), ovvero della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero (art. 408, comma 2, c.p.p.) per visionare gli atti al fine di proporre opposizione richiedendo la prosecuzione delle indagini (art. 410); il diritto a ricevere tempestivamente l'avviso di celebrazione dell'udienza preliminare (art. 419, commi 1 e 4, c.p.p.) e, qualora assente o non altrimenti informata, quello di ricevere notifica del decreto introduttivo del giudizio quale che sia il rito adottato o prescelto (artt. 429, comma 4, 451, 456, comma 4, 458 comma 2, 465 comma 2, 467, 519, comma 3, 552, comma 3, 556 c.p.p.) .

Vi è poi l'autonomo potere di formulare la istanza di procedimento (art. 341 c.p.p.), quanto ai reati commessi all'estero contemplato dal codice sostanziale (artt. 9, commi 2 e 3, 10 comma 2, 130, c.p.).

Esprimono altrettante facoltà: la nomina di un difensore (art. 101 c.p.p.) mediante il quale partecipare anche con l'assistenza di consulente tecnico agli accertamenti tecnici non ripetibili (art. 360 c.p.p.) ovvero svolgere attività investigativa (art. 327-bis c.p.p.) nelle forme di cui al Titolo VI-bis del Libro V del codice di rito; la opportunità di chiedere al pubblico ministero di promuovere un incidente probatorio (art. 394 c.p.p.) e di parteciparvi in caso di ammissione (art. 401 c.p.p.); la richiesta al procuratore generale di avocare le indagini per l'inerzia del pubblico ministero (art. 413 c.p.p.); la impugnazione della sentenza di non luogo a procedere (art. 428 c.p.p.); la richiesta motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale (art. 572 c.p.p.).

L'estensione soggettiva della titolarità delle prerogative spettanti alla vittima deceduta a cagione del reato

Quando la vittima è deceduta, la trasmissione dell'esercizio delle prerogative riconosciute alla medesima, già prevista dall'art. 90, comma 3, c.p.p. a favore dei prossimi congiunti esclusivamente per i casi in cui l'evento morte risulti elemento costitutivo o almeno circostanza aggravante del reato per il quale si procede, è stata estesa alla persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente dall'art.1, comma 1, n. 2, d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 che ha cosi implementato la norma dopo le parole prossimi congiunti di essa che ne costituivano la iniziale chiusura.

È opportuno ricordare che la estensione della legittimazione in parola anche al familiare non parente di quella già prevista a favore dei prossimi congiunti, risulta finalizzata a consentire a ciascuno di costoro di esercitare diritti e facoltà come se fossero essi stessi persone offese. Quindi iure proprio.

La novella operata dal legislatore esecutivo nell'esercizio della delega affidatagli dalla legge 6 agosto 2013 n.96, dovrebbe aver attuato il recepimento della Direttiva 2012/29/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, istitutiva di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato.

In tal forma si è ritenuto di dare concreta attuazione ad una esigenza, tra le molte oggetto delle indicazioni aventi rango sovranazionale, diretta ad assicurare specifiche forme di tutela processuale e giurisdizionale in favore di un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona (art. 2, comma 1, lett. a) punto II), Direttiva 212/99).

Occorre tuttavia tenere conto che è la stessa direttiva ad imporre di inserire, appena dopo la figura del coniuge, così intervenendo con una significativa riperimetrazione del concetto di familiare, sia la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo ma anche i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima (art. 2 lett. b)).

Lo scostamento legislativo interno rilevabile nella riformulazione del perimetro soggettivo degli aventi diritto rispetto alla indicazione della Direttiva Cee 2012/29/Ue recepita dalla legge 96/2013, appare evidente.

L'art. 1, comma 1, lett. a) n. 2, d.lgs. 212/2015 ha implementato il comma 3 dell'art. 90 c.p.p. aggiungendo o da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente dopo le parole prossimi congiunti di essa.

Ed allora, per un verso si può cogliere la sostanziale differenza dell'ambito soggettivo di tale inserimento rispetto alla indicazione della Direttiva laddove il legame affettivo della persona convivente stabilmente con la vittima è il portato di una relazione intima, mentre il nuovo dato normativo interno, utilizzando l'espressione relazione affettiva, finisce per includere nell'ambito della legittimazione all'esercizio di diritti e facoltà già spettanti alla vittima anche il soggetto convivente affettivamente legato alla stessa da una relazione che non sia intima ma, pur se caratterizzata dall'affectio, risulti di genesi differente.

Per altro verso, la direttiva include nel concetto di familiare anche le persone a carico della vittima che, viceversa, non paiono semanticamente individuabili nell'innesto additivo operato dalla novella; innesto che, a ben guardare, risulta circoscritto alla sola persona che al momento della commissione del reato in danno della vittima risultava a questa affettivamente legata da stabile convivenza.

In conclusione

Quanto appena rilevato potrà far sorgere, in assenza di una clausola di esclusione di una graduazione preveniente, alcune difficoltà applicative per possibili dualismi o pluralismi tra figure analoghe i cui titolari potrebbero contemporaneamente rivendicare la legittimazione all'esercizio delle suddette prerogative; concorrendo, ad esempio, il convivente more uxorio con il coniuge non legalmente separato, ovvero la persona non parente ma stabilmente convivente con la vittima perché a questa legata da sentimenti di affezione diversi da quelli essenzialmente amorosi o sessuali, perché semplicemente caratterizzati da amicizia, attaccamento, devozione, benevolenza, che sono condizioni emotive parimenti idonee a connotare una relazione affettiva, tuttavia difficilmente compatibili con la indicazione di relazione intima che, come s'è visto, è stata indicata dalla direttiva ma non letteralmente recepita dal nostro legislatore.

Va da sé, invece, che quale possa essere il tipo di legame sentimentale della persona con la vittima, se al momento del fatto – reato risulta mancante il requisito della stabile convivenza, non può configurarsi alcuna legittimazione in capo al partner superstite.

Come è stato recentemente affermato dalla giurisprudenza in sede penale, l'ampliamento del concetto di famiglia in quello della c.d. famiglia di fatto costituisce il risultato della presa d'atto dell'evoluzione sociale e delle sempre più variegate modalità di organizzazione di vita personale, valorizzando a tali fini proprio quei caratteri di sostanziale stabilità ricavabili da condotte concrete come il condividere stabilmente una casa di abitazione, il prestarsi costantemente e con reciprocità ogni tipo di assistenza morale o materiale al punto da connotare spontanee e durature assunzioni di responsabilità (Cass. pen. Sez. VI, 27 maggio 2013, I., in Foro it., 2013, II, 449).

Situazioni, queste, tipiche di un contesto familiare in cui la convergenza di interessi personali, in quanto strutturati stabilmente, danno senso alla tutela legale in quanto rapportabile alla riconosciuta valenza costituzionale delle formazioni sociali (Cass. pen. Sez. VI, 7 – 22 luglio 2015 n. 32156).

Guida all'approfondimento

Amodio, Persona offesa dal reato, in, Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. Amodio-O. Dominioni, I, Artt. 1- 108 (Libro I ), Giuffrè 1989;

A. Sette, La persona offesa nel nuovo codice di procedura penale, in Cass. pen. 1991, I, 1907;

S. Tessa, La persona offesa dal reato nel processo penale, Giappichelli 1996;

Confalonieri, La persona offesa dal reato, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, 1.I, I soggetti, in Dean (a cura di ), Torino, 2009, 631.

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