Effetti della sentenza Taricco: la Corte costituzionale (ri)rimette la soluzione al giudizio della C.G.Ue
27 Gennaio 2017
Con sentenza n. 24, depositata il 26 gennaio 2017, la Corte costituzionale, sospeso il giudizio di costituzionalità, ha disposto di sottoporre al vaglio della Corte di Giustizia dell'Unione europea (in via pregiudiziale e con la richiesta di una decisione con giudizio accelerato) le seguenti questioni interpretative:
La Consulta si è così espressa nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2, l. 2 agosto 2008, n. 130, promossi dalla Corte d'appello di Milano e dalla Corte di cassazione. In presenza di un persistente dubbio interpretativo sul diritto dell'Unione, necessario per decidere la questione di legittimità costituzionale, la Consulta ritiene opportuno un nuovo chiarimento da parte delle Corte di Giustizia sul significato da attribuire all'art. 325 T.F.Ue sulla base della nota sentenza resa in causa Taricco. Secondo quanto stabilito in questa sentenza, l'art. 325 T.F.Ue, chiedendo che l'Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione stessa, imporrebbe al giudice nazionale di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p.: ciò gli impedirebbe di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi dell'Ue ovvero nel caso in cui le frodi, che offendono gli interessi nazionali dello Stato membro, sono soggette a termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per le frodi che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. I giudici rimettenti, alla cui opinione aderisce anche la Corte costituzionale, ritengono che tale soluzione confligga con alcuni principi fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, tra cui principio di legalità:, il quale comporta che le scelte relative al regime della punibilità siano assunte esclusivamente dal legislatore mediante norme sufficientemente determinate e applicabili solo a fatti commessi quando esse erano già in vigore. Secondo i giudici rimettenti, invece, la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., che concerne anche le condotte anteriori alla data di pubblicazione della sentenza resa in causa Taricco, determina un aggravamento del regime della punibilità di natura retroattiva. Mancherebbe, inoltre, una normativa adeguatamente determinata: non è chiaro, infatti, né quando le frodi devono ritenersi gravi, né quando ricorre un numero così considerevole di casi di impunità da imporre la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., cosicché la relativa determinazione viene rimessa al giudice. La Consulta ritiene pertanto che: a) occorre verificare se la persona potesse ragionevolmente prevedere, sulla base del quadro normativo vigente al tempo del fatto, che il diritto dell'Unione avrebbe imposto al giudice italiano di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p. in presenza delle condizioni determinate con la sentenza Taricco. b) se è rispettata la riserva di legge e il grado di determinatezza assunto dall'ordinamento penale in base all'art. 325 del T.F.Ue, con riguardo al potere del giudice, al quale non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale. In particolare il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell'applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate. In caso contrario, il contenuto di queste regole sarebbe deciso da un tribunale caso per caso, in dispregio del principio di separazione dei poteri che l'art. 25, secondo comma, Cost. declina in maniera (particolarmente) rigida nella materia penale. Se riguardo al primo punto, i giudici delle leggi sono convinti che la persona non potesse ragionevolmente pensare, prima della sentenza Taricco, che l'art. 325 T.F.Ue prescrivesse al giudice di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p. ove ne fosse derivata l'impunità di gravi frodi in danno all'Unione in un numero considerevole di casi ovvero in violazione del principio di assimilazione; sulla seconda questione i giudici rilevano che non può certo escludersi che la legge nazionale possa e debba essere disapplicata quando ciò venga prescritto dalla normativa europea ma, al contrario, non è possibile che il diritto dell'Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest'ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo reinventato. In ragione delle considerazioni formulate, la Corte costituzionale reputa conveniente porre alla Corte di Giustizia la questione se essa abbia ritenuto che il giudice nazionale debba dare applicazione alla regola anche quando essa confligge con il principio cardine dell'ordinamento italiano. |