Richiesta di riesame cautelare reale presentata nella cancelleria del tribunale del luogo in cui le parti si trovano

27 Febbraio 2017

È ammissibile la richiesta di riesame cautelare reale presentata nella cancelleria di altro tribunale, in cui le parti si trovano, diverso dal tribunale del capoluogo di provincia in cui ha sede l'ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento?

È ammissibile la richiesta di riesame cautelare reale presentata nella cancelleria di altro tribunale, in cui le parti si trovano, diverso dal tribunale del capoluogo di provincia in cui ha sede l'ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento?

Al quesito sembrerebbe doversi darsi una risposta negativa. La più recente e maggioritaria parte della Cassazione non ammette, infatti, che il deposito dell'istanza possa presentarsi in luogo diverso da quello individuato dall'art. 324, commi 1 e 5, c.p.p. Segnatamente, si afferma che nel caso riguardante l'istanza cautelare reale non può trovare applicazione l'art. 324, comma 2, c.p.p. (del tutto analogo nella sua formulazione alla norma di cui all'art. 309, comma 4, c. p.p. in tema di misure cautelari personali) che richiama l'art. 582 c.p.p., per cui sembrerebbe non doversi ammettere la possibilità di proporre il ricorso per riesame anche nella cancelleria del tribunale del luogo in cui le parti si trovano.

Una tale conclusione, secondo l'orientamento più recente e maggioritario della giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. Sez. III, n. 53935/2016; ma anche Cass. Sez. III, n. 12209/2016; Cass. Sez. III, n. 31961/2015; Cass. Sez. II, n. 18281/2013), sarebbe conforme a quanto dispone l'art. 324, commi 1 e 5 c.p.p. Se, infatti, ai sensi dell'art. 324, comma 1, c.p.p., si prevede che la richiesta di riesame in tema di misure cautelari reali è presentata, nella cancelleria del tribunale indicato nel comma 5, il menzionato comma 5 prevede che sulla richiesta di riesame decide, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento, nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti: ne discende, così, che l'unico ufficio presso il quale (a pena di inammissibilità) l'istanza deve essere depositata è la cancelleria del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento.

D'altra parte, si afferma, a voler ritenere legittimo il deposito presso la cancelleria di altro tribunale, si darebbe luogo ad una interpretatio abrogans della specifica disciplina disposta dall'art. 324, comma 1, c.p.p. quanto alle modalità del deposito della richiesta di riesame (Cass. Sez. III, n. 12209/2016).

Alla luce delle considerazioni formulate, per la Cassazione è dunque irrilevante il fatto che l'art. 324, comma 2 c.p.p. stabilisca che la richiesta è presentata con le forme previste dall'art. 582 c.p.p., vale a dire che salvo che la legge disponga altrimenti, l'atto di impugnazione è presentato […] nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato e che le parti private e i difensori possono presentare l'atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all'estero. In tali casi, l'atto viene immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che emise il provvedimento impugnato.

Invero, una tale soluzione non appare del tutto scontata.

Va infatti evidenziato che, subito dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di rito penale del 1988, le Sezioni unite sono presto intervenute a fare chiarezza sul punto, seppur in tema di misure cautelari personali, affermando che il rinvio alle forme dell'art. 582 c.p.p. si estende ad ogni modalità procedurale della norma e concerne – si badi – anche la presentazione nella cancelleria della pretura (ora tribunale), poiché le disposizioni in questione hanno solo voluto indicare l'organo definitivo destinatario dell'istanza (Cass. Sez. Un., 18 giugno 1991, D'Alfonso). Il principio è stato mantenuto fermo anche da quella più risalente giurisprudenza che, esprimendosi in materia cautelare reale, si è opportunamente adeguata sostenendo che l'art. 324, comma 1 c.p.p. deroga solo alla regola contenuta nel comma 1 dell'art. 582 c.p.p. ma non a quella dettata dal successivo comma 2, con la conseguenza che l'istanza può essere depositata anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo ove si trovano le parti private e i difensori, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, o davanti ad un agente consolare all'estero. Tale indirizzo, oggi rimesso in discussione, pare sostenuto invero da una parte minoritaria della giurisprudenza che, anche in ragione del favor impugnationis, ha riconosciuto l'ammissibilità della richiesta di riesame presentata anche nella diversa cancelleria in quanto, una volta avvenuta la presentazione della richiesta di riesame in tali uffici – entro il termine di dieci giorni dalla data di esecuzione del sequestro – è del tutto irrilevante, ai fini della tempestività del gravame, che l'atto pervenga o meno entro lo stesso termine al tribunale competente del capoluogo di provincia nel quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato. D'altro canto, si sostiene, l'art. 582 c.p.p. è una norma generale in materia di impugnazioni e non vi è ragione, in mancanza di una deroga espressa prevista nell'art. 324 c.p.p., di non applicarla integralmente (Cass. Sez. II, n. 45341/2015).

È del tutto evidente, allora, come la riscontrata incertezza interpretativa nell'ambito di una materia, qual è quella cautelare reale, appare del tutto inaccettabile, posto che il difensore che si adatti ad uno piuttosto che ad un altro indirizzo giurisprudenziale potrebbe, in ragione del fatto che, a sua volta, il giudice del riesame ritenga di abbracciare l'uno o l'altra interpretazione esegetica, vedersi invalidare la domanda di controllo circa la validità dell'atto che dispone (in via provvisoria) l'ablazione dei beni o del patrimonio dell'indagato (o imputato).

Il principio di tassatività e di legalità che regolano la materia rendono, dunque, necessario che il contrasto interpretativo – peraltro, riconosciuto dalla stessa Sez. III nella recente decisione n. 55004/2016 che ha affrontato il differente tema della possibile trasmissione della richiesta a mezzo raccomandata ad altro tribunale – venga rimesso prontamente al giudizio delle Sezioni unite (pena, altrimenti, la perdita della tanto invocata “prevedibilità” delle decisioni) ovvero che, attesa l'importanza dei beni coinvolti, il legislatore, che si appresta a varare alcune modifiche del processo penale, faccia definitivamente chiarezza sul punto, omologando la disciplina reale a quella personale, posto che, come ha riconosciuto la stessa Sez. III, nel caso in esame ricorre una medesima formulazione letterale delle norme.

La lettura che qui si censura, infatti, in primo luogo depaupera la funzionalità del rinvio operato dall'art. 324 c.p.p. all'art. 582 c.p.p.; in secondo luogo, determina una forte iniquità rispetto a quanto previsto in sede di riesame cautelare personale e, soprattutto, fa ricadere sui proponenti il controllo sulla misura reale particolari e gravosi oneri temporali e logistici. Trattasi, peraltro, di una discrasia che non può trovare giustificazione sulla scorta dell'impostazione – più volte avanzata dalla Corte di cassazione – secondo la quale sarebbe proprio l'oggetto sul quale ricade la misura ad ammettere una lettura delle previsioni di segno diverso da quella consentita ogniqualvolta si verte attorno alla libertà personale: è chiaro che i criteri esegetici impiegati per l'interpretazione delle norme prescindono del tutto dall'oggetto sul quale “cade” il provvedimento cautelare. In altri termini, nessun rilievo può ai fini de quibus assegnarsi al fatto che i beni (o il patrimonio) sarebbero tutelati da garanzie inferiori, anche a livello costituzionale, rispetto al tema della libertà. A smentire un tale impostazione soccorre, fra l'altro, proprio il già evocato il principio di legalità e tassatività consacrato all'art. 272 c.p.p. che tratta, non casualmente, “delle libertà”. Nessun valore dirimente, inoltre, pare assegnabile al rilievo, pur prospettato dal Collegio, della diversa incidenza di misure che involgano direttamente la libertà personale rispetto a quelle che interessano esclusivamente beni, sì che un'interpretazione estensiva, ammissibile quanto alle prime – atteso il rango, anche costituzionale, dei valori coinvolti – non pare duplicabile anche per le altre. D'altronde – rileva ancora la Cassazione, ad esempio nella citata sentenza 53935/2016 – la compressione della libertà personale a fini cautelari deve essere contenuta entro predeterminati limiti temporali ex art. 13 Cost., limiti non previsti per le misure cautelari reali, per cui la lettura qui avversata non contrasta con alcun principio espresso dalla Carta fondamentale, atteso che lo statuto costituzionale della proprietà (artt. 42, 43, 44 Cost.) prevede significativi vincoli e pesanti (anche se eventuali) limitazioni. Come ammette la stessa pronuncia: è certamente vero che libertà e patrimonio sono entrambi beni “elastici”, quindi passibili di compressione e, poi, di riespansione ma non sembra sostenibile l'assunto secondo il quale la compressione della libertà (e la durata di tale compressione) non ha, per il titolare del bene, la stessa incidenza della compressione del patrimonio: nessuna norma processuale pare suffragare una tale conclusione; né, a nostro avviso, pare argomento dirimente la differente individuazione territoriale del giudice del riesame (v. art. 309, comma 7 e 324, comma 5, c.p.p.) che, secondo il Supremo Collegio, ben giustifica (ulteriormente) le distinte modalità di introduzione del riesame, trattandosi, in tal caso, di scelte legislative di carattere puramente funzionale e organizzativo proprie dell'amministrazione della giustizia ma estranee al tema de quo.

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